I primi a tornare a scuola dovrebbero essere alunni e studenti delle classi prime di ogni ordine e grado, seguiti dagli altri in un secondo tempo, che potrebbero ripartire a settembre con una didattica a distanza diversa. È una delle proposte formulate al ministero dell’Istruzione da un gruppo di dirigenti scolastici.
Mentre i genitori sono molto preoccupati per la gestione dei figli nella fase 2 (il ritorno al lavoro), ecco che alcuni presidi, Laura Biancato, Amanda Ferrario, Antonio Fini e Alessandra Rucci hanno elaborato un piano concreto. «In una condizione di estrema incertezza, in cui è difficile ogni tipo di programmazione, abbiamo proposto soluzioni di buon senso che tengano conto di alcune criticità della scuola italiana, come gli spazi ridotti che non permettono il distanziamento di alunni e studenti, né un riavvio dell’anno scolastico tutti insieme» spiega Alessandra Rucci, Dirigente Scolastico dell’IIS Savoia Benincasa di Ancona, nelle Marche, una delle scuole fondatrici del movimento «Avanguardie Educative» guidato da INDIRE (Istituto Nazionale Documentazione Innovazione Ricerca Educativa), movimento aperto a tutte le scuole che vogliano ripensare e riorganizzare la didattica in modo nuvo e dinamico.
A scuola prima le classi iniziali
Tra i Top 100 della classifica degli innovatori italiani stilata da Repubblica nel 2003, Rucci fa parte dell’Associazione Nazionale Presidi ed è sostenitrice dell’innovazione didattica e di nuovi metodi di apprendimento. A proposito della scuola post emergenza Covid-19, dice: «Se il ritorno dovrà essere scaglionato, non crediamo sia possibile sdoppiare le classi (metà con didattica in presenza e metà a distanza) perché le metodologie sono differenti. Piuttosto ipotizziamo che le prime a tornare siano le classi iniziali di ogni ciclo: la prima elementare, la prima della secondaria di primo grado e la prima della secondaria di secondo grado, a gruppi di 6/7 e con la possibilità di turni pomeridiani, ma in modo da costituire i gruppi classe e allo stesso tempo garantire il distanziamento» spiega Rucci, che aggiunge: «All’infanzia, invece, si dovrebbe fare il contrario, per garantire la continuità dei più grandi con la primaria».
Lezioni online massimo di 40 minuti
Dopo una prima fase di disorientamento e dopo che la didattica a distanza (DAD) è diventata obbligatoria per decreto, molti docenti si sono attrezzati, ma restano ancora incertezze: «Se proseguiremo con la didattica a distanza, bisognerà chiarire bene cosa sia la DAD, che non può essere 4 o 5 ore in videoconferenza sincrona, dunque in diretta da piattaforme varie. Devono essere messe a punto linee guida il più possibile omogenee a livello nazionale. È necessario sapere che più di 2 ore di collegamento consecutivo sono nocive per tutti, docenti e studenti, anche più grandi. Secondo noi non si dovrebbe andare oltre i 40 minuti, ma possibilmente anche meno: l’ideale sarebbero lezioni di 20/25 minuti, lasciando poi una pausa agli studenti per lavorare individualmente, per poi magari riprendere dopo una mezz’ora. Le videolezioni registrate, invece, non dovrebbero superare i 15 minuti» spiega Rucci.
No alle mascherine anche in classe
«Io fatico a immaginare un ritorno in classe con le mascherine, sia per la gestione – soprattutto per i più piccoli – sia dal punto di vista economico: chi dovrebbe sostenere i costi di questi dispositivi? Le scuole non hanno le risorse necessarie, ma neppure le famiglie possono farsi carico di questo onere a lungo» osserva Rucci, che fa parte della task force per l’emergenza coronavirus del Ministero dell’Istruzione.
Una biblioteca nazionale per i docenti
Secondo la dirigente sarebbe utile avere una piattaforma nazionale dalla quale tutti gli insegnanti, pur nella loro autonomia didattica, possano attingere materiali (videolezioni di altri colleghi, link utili, ecc.). «Un esempio è la piattaforma francese CNED. Non si tratta di una didattica di stato, uguale per tutti e in tutte le scuole, bensì di una sorta di biblioteca nazionale. I docenti stanno producendo molto materiale, se fosse messo in una banca dati integrabile e rieditabile, eviterebbe di disperdere energie e risorse» spiega l’esperta.
La scuola anche in tv
«In Italia abbiamo anche il problema della connettività a macchia di leopardo con alcune zone montuose, come ad esempio in Molise, non raggiunte in modo efficace da internet. La tv potrebbe essere quindi essere uno strumento molto utile, in particolare per infanzia e primaria, con contenuti di qualità. Ci sono già alcuni esempi, come Luna Tv a Sarzana in Liguria, o i programmi avviati su Rai Scuola e Rai Educational, pur ricordando che sono sussidi che aiutano, ma non sostituiscono la scuola in presenza» spiega la preside.
La Flipped classroom: videolezioni a casa e attività insieme online
L’approccio proposto dai presidi si basa sul concetto di Flipped classroom, letteralmente la “classe capovolta”, nella quale la lezione tradizionale in classe viene appresa e studiata a casa, tramite videolezioni o materiali forniti dagli insegnanti, mentre il tempo in classe è usato per attività collaborative, laboratori, dibattiti e condivisione di esperienze e/o dubbi. «Questo metodo ha senso soprattutto se c’è anche una didattica in classe, dove ci si dedica al lavoro insieme. Altrimenti la si può sostituire con attività su piattaforme specifiche, fogli di scrittura collaborativa e di lettura condivisa».
Ma i docenti sono pronti? «La capacità di adattamento che stiamo vedendo è molto elevata: noi come istituto facciamo anche formazione sulla didattica digitale e abbiamo webinar ai quali si sono iscritti anche 1000 insegnanti. Non tutti, però, hanno le stesse capacità, occorre che i docenti rivedano la propria professionalità e cambino approccio» spiega Rucci.
Tema addio: come si daranno i voti?
«Quello delle valutazioni è un falso problema: se si è compreso con chiarezza che le attività con gli strumenti digitali sono diverse da quelle tradizionali, si intuisce che anche le valutazioni devono cambiare: non si può pensare di fare i classici temi in classe o solo due/tre compiti scritti come fatto finora. Servono piuttosto valutazioni diffuse nel tempo, più su singole competenze o competenze trasversali acquisite man mano. Le interrogazioni, invece, si possono ancora realizzare, così i compiti di matematica, per esempio con lavagne virtuali condivise. Naturalmente serve una formazione tecnologica e anche metodologica: il compito dell’insegnante non sarà più quello di leggere, spiegare e interrogare» conclude la dirigente scolastica, che non nasconde un altro aspetto critico: «Alla funzione educativa, va poi associata quella sociale che svolge la scuola, di accudimento dei bambini soprattutto più piccoli. Ma in questo caso occorrono altre soluzioni. Al momento si può contare solo su iniziative di solidarietà sociale che stanno sorgendo in modo spontaneo».