Il sole è ormai basso sul “miglio d’oro” a cavallo di piazzale Fellini, dove un secolo e mezzo fa nacque il concetto dei bagni di mare e della villeggiatura estiva. Alle sette e mezza sulla spiaggia di Rimini restano soltanto gli appassionati del tuffo al tramonto. «Quest’anno si lavora poco. C’è davvero da fare solo nel weekend» spiega con un’ombra di rammarico Marco, 20 anni, studente di Economia del turismo e aiuto-bagnino presso uno degli stabilimenti più titolati di Marina Centro, la porzione nobile del lido. Indica con una smorfia la battigia, e aggiunge costernato: «Il più è mandare via i russi che si piazzano da abusivi davanti alla prima fila» sospira. «Io non so. I soldi ce li hanno, e mi risulta che a casa le regole le rispettino. Ma qui si divertono a fare come pare a loro».
Sulla Riviera adriatica, 30 milioni di persone
A ben vedere, però, sono russi anche una buona quota dei clienti regolari del medesimo stabilimento e di quelli vicini. Si fanno notare soprattutto per la carnagione che vira in pochi giorni dal latteo al carminio e per alcune discutibili scelte d’abbigliamento: ragazzini in panama candidi da tenori, fanciulle già slanciate in precario equilibrio su zeppe ardite come trampoli, signore dai costumi da bagno luccicanti che scendono in acqua ingioiellate come madonne barocche. Il fatto è che moscoviti e pietroburghesi sono ormai da tempo la croce e la delizia di Rimini e di tutta la Riviera adriatica, un sistema turistico che l’anno scorso ha fatto registrare oltre 30 milioni di presenze (il doppio, per intenderci, di una città trendy come Barcellona). Dall’inizio degli anni ’90, quando sono apparsi nello sconcerto generale i primi menu e le prime insegne in caratteri cirillici, i turisti dei Paesi ex sovietici hanno eletto la storica “capitale delle vacanze italiane” a destinazione favorita, rimpiazzando i tedeschi come comunità straniera di riferimento.
Da ormai 7 anni ho scelto Rimini come seconda casa. I motivi sono tanti, pratici e ideali, e sono presto detti: dista appena un centinaio di chilometri dalla mia Bologna, il che permette un agile pendolarismo. È un luogo dove fui molto felice da ragazzo (memorie di vacanze infantili con secchiello e paletta si mescolano a quelle dell’esame di maturità festeggiato al Rock Island), il che la carica di buone vibrazioni e la rende adatta alle lunghe sessioni di scrittura in tranquillità, specie fuori stagione.
E non dev’essere un caso che sia l’unica città d’Italia a chiamarsi come un romanzo del mio scrittore preferito, Pier Vittorio Tondelli. Già all’epoca della pubblicazione di Rimini, con una scintillante presentazione al Grand Hotel magistralmente ricordata da Roberto D’Agostino, era chiara la sua natura di luogo al tempo stesso onirico e popolare. Cercando di mettere a fuoco questo concetto, mi è apparso chiaro cosa mi conquista della sua natura: il suo essere un enorme teatro a cielo aperto, dove nessuno si presenta come farebbe in città ma si trova in maniera più o meno consapevole a vestire un ruolo.
I russi, croce e delizia
Un luogo di appuntamenti clandestini e addii al nubilato, di zingarate e placide vacanze in famiglia, di meeting lavorativi e manifestazioni consacrate al frisbee, alla zumba, alla maratona. Da nessuna parte come qui l’anima è inseparabile dal corpo, la fisicità dalle pulsioni dello spirito, la vita ordinaria dallo storytelling che sgorga naturale e irrefrenabile. Ho 4 figlie fra i 6 e i 14 anni, e i caffè affacciati sullo struscio sono la sede d’uno dei nostri giochi preferiti. Le ragazze lo chiamano people watching; si tratta di osservare i passanti e provare a immaginare le loro vite. Da dove arrivano quei due? Come si sono conosciuti? Quale mestiere fanno?
Perché quella certa coppia si ostina a portare in carrozzina un bambino di almeno 5 anni che poche ore fa zampettava in spiaggia molestando chiunque a pallonate? Rimini è un nido di sogni, una fabbrica di storie, un palcoscenico a buon mercato, dove non si negano a nessuno le soddisfazioni che Andy Warhol sintetizzò come “quarto d’ora di celebrità”; qui se li può permettere chiunque, anche chi è disertato da qualsivoglia forma di talento. Non me ne vogliano gli amici di Riccione, Cesenatico e Cattolica, ma è un gioco che nella città di Federico Fellini riesce meglio che altrove. E in parte è anche merito dei russi, così trasparenti nei loro desideri da risultare teneri.
Basta una passeggiata fra il Grand Hotel e il rondò in fondo a viale Tripoli per contare le attività aperte da tour operator dell’ex Unione Sovietica e rivolte ai compatrioti in vacanza, scaricati direttamente in Riviera da charter low cost in arrivo dalla Grande Madre Russia: compitando le scritte in lingua sui manifesti che adornano le vetrine, emergono le proposte di escursioni in pullman verso San Marino e Venezia, Milano e Firenze, Roma e il lago di Garda, ma anche spedizioni guidate verso i luoghi da shopping selvaggio, gli outlet delle grandi marche e i centri commerciali di mezza Italia. Baristi e camerieri sollevano critiche non dissimili da quelle dell’aiuto-bagnino Marco (turisti cafoni abituati a trattare il personale di servizio come servitù, è il refrain) ma le generalizzazioni destano sempre sospetto. Questa strisciante avversione verso chi arriva dai Paesi che un tempo avremmo chiamato d’Oltrecortina, in fondo, non è così diversa dai sorrisetti ironici che negli anni ’80 si riservavano alle compagnie germaniche con il calzino sotto il sandalo, una bizzarra tendenza ad abbinare piada e cappuccino e una smodata passione per la birra. Un conto sono i mormorii delle maestranze per qualche ospite maleducato, un altro l’enorme giro d’affari d’una città chiamata a scrollarsi di dosso l’etichetta scolorita di chiassoso “divertimentificio” anni ’80 reso immortale proprio da Tondelli.
Non solo disco, ora vanno il fitness e la cucina rustica
I tempi sono cambiati, come ricorda spesso il primo cittadino Andrea Gnassi, ideatore di una serie di appuntamenti divenuti ormai classici, dalla Notte rosa alla Molo Street Parade, dal tendone da circo dello show cooking che vede come star lo chef Massimo Bottura alle ricorrenti manifestazioni dedicate allo street food, dalla fiera del Wellness al Capodanno più lungo del mondo. «Rimini ha dovuto reinventarsi come destinazione turistica per 5 volte in 150 anni» ricorda. «Il dinamismo e la valorizzazione delle eccellenze del territorio sono la chiave per mantenere i conti in ordine e la leadership del colossale sistema turistico romagnolo». Chi lo conosce sa bene che all’ormai stantio “modello Ibiza” che caratterizzava gli anni ’80 il primo cittadino affianca come riferimenti città d’arte e cultura tipo Berlino e la stessa Barcellona; finita l’epoca delle megadiscoteche, è cominciata quella dei dj set ospitati dai chiringuitos in riva al mare, delle fiere dedicate al benessere e alla cucina rustica. Se un tempo all’alba s’incontravano barcollanti compagnie di nottambuli dall’occhio spento, oggi basta portarsi alle 6 e mezza del mattino verso il faro giallo al termine del molo di Levante per contare a decine i runner e i ciclisti che s’allenano prima di lavorare o rilassarsi in spiaggia. Il “Sol dell’avvenire” non è più un’icona neppure sulla Piazza rossa; in compenso, come 30 e 50 anni fa, l’alba del futuro che arriva sorge dall’Adriatico. E anche quest’estate, in barba alla flessione delle presenze, il people watching regala grandi soddisfazioni.