Nei momenti bui, il fantasma delle estati passate torna a visitarmi come una pellicola teen dai colori saturi e sovraesposti. È un montaggio di istantanee invariabilmente felici, in comune hanno il fondale, un indistinto litorale del Mare Nostrum – Puglia, Croazia, Corsica – con spiagge e macchia mediterranea: luoghi in cui ho consumato le mie prime vacanze, in campeggio.
Se frugo a ritroso nella memoria, la prima emozione che mi raggiunge è fisica: la scarica lisergica delle corse a perdifiato lungo i vialetti, tra bungalow e roulotte, in mezzo a uno sciame di altri bambini; la sensazione di libertà sfrenata di chi è cresciuto in città e sperimenta l’assenza relativa di limiti che vige entro il perimetro del villaggio, nessun ostacolo a contenere la nostra esplosione di energia infantile… Se si esclude la fibbia dei maledetti sabot del Dr. Scholl’s, di cui mia madre era fan (fascetta rossa per me, bianca per i miei fratelli), che invariabilmente si sganciava quando prendevamo velocità e lungo la nostra scia furiosa restava uno zoccolo orfano che qualche adulto misericordioso raccoglieva.
Perché abbiamo bisogno dei riti d’estate
Campeggio o meno, quella sensazione di libertà assoluta sulla pelle è forse il rito primario dell’estate, l’iniziazione che abbiamo condiviso tutti negli anni dell’infanzia: quando, assolti gli obblighi scolastici e le corvée quotidiane, sapevamo di avere finalmente dalla nostra un tempo congruo e compensatorio per spogliarci di grembiuli e divise e finalmente giocare, oziare, scorrazzare e sguazzare. È una sensazione ancora nitida perché, in fondo, la convalidiamo ogni anno, sbiadita forse dal tempo, ma sempre gonfia di aspettative.
«L’esperienza clinica mi ricorda ogni giorno che per qualcuno l’estate rappresenta un momento di sofferenza: persone che non hanno accesso a queste opportunità, anziane, sole o portatrici di disabilità» spiega Mattia Cis, psicologo e psicoterapeuta. «Ma è innegabile che agli occhi di molti quei mesi siano un momento di stacco significativo, qualcosa di cui abbiamo proprio bisogno. E forse ciò spiega la necessità di ritualizzare questo passaggio. Come facciamo con ricorrenze sociali come il Natale, che celebrano l’alternarsi di momenti di impegno e tranquillità e ci ricordano che il tempo passa e che ha un senso».
Magiche liturgie d’estate
A proposito di liturgie, lo zenit delle mie estati erano le faraoniche tavolate di Ferragosto, in cui, lungo i vialetti comuni, si condividevano specialità regionali, dai canederli alla pasta alla Norma: era il momento di celebrare la pace sociale e dimenticare le baruffe di vicinato, di scompigliare i ranghi delle generazioni e scambiare due parole anche col granitico nonnino della roulotte dei vicentini che per l’occasione ci rifilava furtivamente cicchetti corrosivi di grappa.
Oppure di contaminare lessico e dialetti per scoprire che c’è chi l’anguria, solenne epilogo di ogni scorpacciata ferragostana, la chiama cocomero o mellone d’acqua, e altri che, se vogliono davvero un melone, chiedono il popone, per la nostra fin troppo facile ilarità. Affreschi del tutto simili popolano l’immaginario collettivo, insieme alle partite di volley all’ultima goccia di sudore o alle gite spericolate su pedalò perennemente sotto la linea di galleggiamento per il carico umano straordinario.
Intorno a questi riti l’estate diffonde una specie di magia, gettando polvere di stelle anche sui flashback più ansiogeni: la vigilia febbrile, con mia madre che accumula bagagli lungo il corridoio mentre mio padre batte convulsamente sui tasti della macchina da scrivere l’ultima consegna prima di partire, o l’onta incancellabile d’essere prelevata come un’evasa dal falò sulla spiaggia più cool dell’estate per sopraggiunti limiti d’orario.
Riti d’estate, ne hanno bisogno anche i ragazzi
«Nelle vite felici i ricordi più belli si situano spesso d’estate perché raccontano una pienezza assoluta in termini affettivi» commenta Cis. «È il momento in cui i bambini hanno a disposizione i genitori 24 ore su 24, in uno stato d’animo più sereno e giocoso: per questo, a livello psichico, li leghiamo a una sensazione di benessere. La stagione estiva poi ci permette di entrare in contatto con la corporeità: riti d’estate come quello del cocomero, della palla, del bagno al mare si alimentano di esperienze di corporeità felice, lontane dai mondi virtuali e intellettuali che di solito frequentiamo per lavoro o per studio.
Il rischio è che di queste abitudini, che ci riportano ad abitare felicemente il corpo, non approfittino abbastanza i più giovani, che vedo troppo spesso chini sugli schermi dei loro dispositivi anche sotto l’ombrellone». Un’eventualità alimentata dal fatto che i confini dell’estate – per noi una distesa incalcolabile di giorni che si spingeva fino ai primi di ottobre – si siano ristretti per i più giovani: i miei figli, per esempio, si sono abituati fin da piccoli ad approfittare dei tempi contingentati delle nostre ferie e a dividere il resto delle vacanze tra estenuanti corvée di campi estivi. A loro, come a molti, quell’eterna domenica è mancata: anche ora che sono grandi le vacanze che si concedono sono esperienze intense e limitate sparse durante l’anno.
Le aspettative alimentano i nostri sogni
Sembra che poco resti di quei riti d’estate, pigra terra di nessuno tra un ciclo scolastico e l’altro, porto franco per sedimentare, spogliarsi delle etichette e riscoprirsi nuovi, cresciuti, cambiati. «Un tempo infinito di possibilità, in preparazione dell’anno che verrà» precisa Cis. Per me, anche un territorio disseminato di rivelazioni: dovevo aver finito la prima media quando trovai il coraggio di lanciarmi su un dancefloor, una di quelle piste da ballo sotto le stelle che abbiamo calcato tutti. Nella mia notte di mezza estate, dalle casse una hit degli anni ’70 faceva deflagrare una raffica di sensazioni spiazzanti: la folla che ballava al mio ritmo; il turbamento di sentirmi guardata per davvero, una creatura distinta e luccicante nell’universo, non più l’appendice opaca dei miei genitori; l’effervescente leggerezza di un corpo che finalmente mi apparteneva.
Come un riflesso pavloviano, quell’euforica epifania mi scorta estate dopo estate, sempre pronta a riaccendersi. Poco importa se poi le attese restano deluse. «Tutti i momenti carichi di potenzialità ci portano in fondo a fare esperienze nuove» rassicura Cis. «Anche se poi vengono frustrate, le aspettative sono importanti, perché si portano dietro i desideri. Alimentano i sogni».