Stop al rito abbreviato per i reati gravissimi
Traduzione concreta: gli imputati accusati di un omicidio punibile con il carcere a vita (quindi non di tutti i tipi di omicidio) dovranno sempre essere processati in aula, con un pubblico dibattimento, davanti alla Corte d’assise. E non potranno più avere la riduzione automatica della pena (il passaggio dall’ergastolo a 30 anni di reclusione o la cancellazione dell’isolamento diurno, se associato all’ergastolo) prevista invece quando i il processo è accelerato (davanti al giudice per l’udienza preliminare, senza dibattimento, con un terzo secco di sconto).
Stesso discorso, ad esempio, anche per i sequestri di persona che si concludono con la morte della vittima e per le stragi. Per i reati sanzionati con altre pene (compresi alcuni tipi di omicidi, puniti in modo meno pesante) l’abbreviato continuerà ad essere in vigore, così come il taglio d’ufficio di un terzo della condanna.
Commenti contrastanti
La nuova norma è stata fortemente voluta dalla Lega. Per arrivare a questo risultato si sono battute anche alcune associazioni schierate a difesa delle donne e i familiari e gli amici di molte vittime di omicidio di genere femminile, ammazzate da mariti gelosi o da fidanzati possessivi, compagni violenti, ex partner senza freni. Per il composito fronte pro, si tratta di una vittoria. Per il fronte contro, invece, rappresenta un arretramento della giustizia.
Un esempio concreto
Un esempio concreto. Giulio Caria, a Bologna, la notte del 9 giugno 2013 uccise crudelmente la fidanzata Silvia Caramazza, spiata di nascosto, derubata, spaventata e finalmente decisa a lasciarlo. Poi mise il corpo in un congelatore domestico e si diede da fare per trovare il modo di liberarsi dei resti. Fermato in Sardegna, chiamato a rispondere anche di stalking e altro ancora, scelse di essere processato con l’abbreviato, senza aver mai confessato. La pubblica accusa chiese l’ergastolo, sia in primo grado, sia in appello. La condanna, per effetto del rito e dalla riduzione di pena, fu di 30 anni, confermata. Con la nuova legge sarebbe rimasto l’ergastolo.
Non tutti gli omicidi rientrano nella nuova legge
Per gli omicidi volontari puniti con pene base più basse (da 21 a 24 anni o da 24 a 30 anni, a seconda dei casi) il rito abbreviato sarà ancora possibile (salvo il riconoscimento e la prevalenza di aggravanti da ergastolo), idem la riduzione automatica della condanna. Per l’assassino di Riccione che ha ottenuto le attenuanti generiche e 16 anni di reclusione (perché è stata presa in considerazione anche la “tempesta emotiva”, ma non solo) con la nuova legge non sarebbe cambiato nulla. O meglio, l’uomo sarebbe stato processato con il rito ordinario in primo grado. Ma in secondo grado, caduta l’ipotesi dell’ergastolo, avrebbe avuto diritto al meccanismo di calcolo della reclusione previsto dal rito abbreviato (e alla riduzione della pena massima a lui applicabile in base al codice e alla situazione specifica: aggravante dei futili motivi compensata dall’attenuante, 24 anni al lordo dello sconto, ridotti a 16 anni per il taglio di un terzo dovuto al rito).
A breve l’ergastolo sarà esteso
Il ddl sul “codice rosso” e la “revenge porn”, appena approvato dalla Camera e in attesa di essere votato dal Senato, estende il campo di applicazione dell’ergastolo (e della non ammissione al rito abbreviato e agli sconti). In futuro si potrà dare la condanna a vita sia se il colpevole conviveva con la vittima, sia se aveva con lei una relazione stabile pur senza abitare sotto lo stesso tetto.
Dalla parte delle vittime
L’avvocato Anna Ronfani, fondatrice e vicepresidente di Telefono Rosa Piemonte, commenta positivamente la nuova legge: “Gli sconti di pena anche molto consistenti, automatici e obbligatoriamente legati a mere scelte processuali dell’imputato, suonano sempre incomprensibili, ingiusti e spesso persino provocatori alle persone offese da reati gravissimi. È istintivo pensare che non risponde a un criterio di razionale giustizia premiare il colpevole dei crimini più gravi solo perché fa perdere meno tempo a un tribunale. È quindi confortante che nei casi di reati di massima gravità (e i femminicidi sono tali, anche perché spesso sussistono circostanze aggravanti) il giudice non sia più obbligato a ridurre automaticamente la pena, ma possa graduarla sul caso concreto. Credo che in taluni processi anche i magistrati abbiano applicato con disagio lo sconto di un terzo della condanna, fino a ieri obbligatoriamente previsto dal codice”.
“No a logiche emergenziali e sicuritarie”
Anche la collega Rossella Mariuz, legale dell’Udi di Bologna, parte civile al processo per l’omicidio Caramazza, evidenzia gli aspetti ritenuti positivi. Ma esprime anche dubbi e timori: “Con la legge appena approvata, rendendo l’abbreviato inapplicabile ai delitti puniti con l’ergastolo, gli imputati a processo per l’uccisione della moglie, della compagna o della ex non potranno più, in astratto, ottenere la consistente riduzione di pena prevista. Questo a molte di noi pare rispondere ad un criterio di giustizia davanti a crimini efferati come i femminicidi, un fenomeno tanto frequente da costituire motivo di lutto sociale. Tuttavia questa riforma va presa con un atteggiamento critico: è stata fortemente voluta dalla Lega e non certo per affermare politiche giudiziarie a sostegno delle donne e contro i femminicidi, ma per ribadire la logica emergenziale e securitaria. Vedremo poi sul campo le applicazioni e gli effetti, posto che sentenze come quella della “tempesta emotiva” sono il frutto di meccanismi prettamente culturali.”
Il legale delle persone scomparse: “Un trionfo”
Esulta l’avvocato Antonio La Scala, presidente nazionale di Penelope, l’associazione che raggruppa e rappresenta i familiari di persone scomparse: “La nuova legge – dichiara – è un trionfo senza precedenti, che mi emoziona. E fa il paio con l’introduzione del reato di sfregio, l’omicidio dell’identità delle persone deturpate, quasi tutte donne. Mai come in questi ultimi cinque anni sono stati fatti tanti passi avanti nel contrasto ad un fenomeno criminale quale quello dei femminicidi. Si spera solo che non si creino poi interpretazioni che impediscano l’attuazione concreta delle norme”.
Le bordate dal fronte contro
Non tutti sono concordi. Anzi. Le critiche più aspre arrivano da altri avvocati, da giuristi e da chi sta portando avanti la battaglia per l’abolizione dell’ergastolo, oggetto di un disegno di legge depositato da Liberi e uguali, sempre alla Camera. Durissimo il commento dell’associazione dei penalisti, l’Unione delle camere penali italiane: “La Giunta dell’Ucpi ribadisce la più ferma censura ed il profondo sconcerto per le norme che hanno introdotto l’inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo”, una scelta che “segna un ulteriore arretramento del livello di civiltà della giustizia in Italia: il legislatore, anziché impegnarsi a riflettere sulla compatibilità tra la pena perpetua ed il principio costituzionale per cui la sanzione deve tendere al reinserimento del condannato nella società, interviene perfino sulle norme processuali per assicurarsi che l’ergastolo non possa mai essere evitato. E lo fa sottraendo all’imputato il diritto di essere giudicato sulla base degli atti e senza dibattimento, quasi che l’assoluzione sia un esito processuale nemmeno ipotizzabile in caso di gravi reati, nonché tacendo che fino a ieri la scelta del giudizio abbreviato poteva condurre comunque, nei casi più gravi, alla irrogazione della pena dell’ergastolo, con l’eliminazione dell’isolamento diurno”.
Manconi: “È populismo penale”
Secondo il sociologo ed ex senatore Luigi Manconi, presidente dell’associazione A buon diritto, la nuova legge “è l’ennesima manifestazione del populismo penale. Si rifiuta una procedura rapida ed efficace, che contribuisce non solo ad accelerare i processi, ma anche a garantire la certezza del diritto, per raccogliere consensi. I riti abbreviati sono una intelligente espressione della giustizia, sempre, e senza l’attenuazione delle garanzie per tutte le parti. Invece ora, alla celerità del processo e a risposte date in tempi brevi, si preferisce una procedura che spesso è lenta e la spettacolarizzazione dei processi”.
Sulla stessa lunghezza d’onda è Glauco Giostra, ordinario di diritto penale alla Sapienza di Roma e consulente ministeriali in precedenti legislatura: “Ad un problema esistente – sostiene, nell’intervista fatta dall’agenzia di stampa Redattore sociale – si è risposto, come troppo spesso capita, con una soluzione che non lo risolve, anzi, che ne genera altri, ma che può essere utile dare in pasto all’opinione pubblica. Un’alternativa? Si sarebbe dovuto lavorare sull’incentivo. Ad esempio prevedere che la riduzione è sì di un terzo, ma che non può essere superiore ad un certo tetto, tipo cinque anni”.
Tempi più lunghi per i processi
Comunque la si pensi, l’esclusione del giudizio abbreviato per i reati da ergastolo farà aumentare i carichi di lavoro delle Corti d’assise e anche per le Corti d’assise d’appello, collegi integrati dai giudici popolari, con ripercussioni sulla programmazione delle udienze e sui tempi di trattazione dei singoli casi, con il rischio di un ulteriore ingolfamento della macchina della giustizia. Anche alle procure, in parallelo, sarà richiesto un impegno maggiore e prolungato.