Tommy, il primo robot infermiere dell’Ospedale di Circolo, a Varese, è arrivato in corsia a marzo 2020. Con altri cinque “colleghi” meccanici è stato integrato nello staff del reparto di Medicina ad alta intensità: entra nelle camere teleguidato e, armato di webcam, altoparlanti e microfoni, permette ai medici di monitorare a distanza e parlare ai pazienti Covid, blindati per colpa del virus. All’ospedale Infermi di Rimini un altro robot, con corpo su ruote e testa dotata di monitor, ha il compito di “visitare” i pazienti contagiati dal virus, consentendo loro di parlare a distanza con medici e infermieri. Ha iniziato in primavera e torna a farlo oggi perché quando, come in queste situazioni, i ricoverati sono tanti e costretti all’isolamento, il monitoraggio è necessario ma il personale non basta mai e l’intelligenza artificiale diventa un aiuto indispensabile.
Lo sa bene Antonio Bicchi, ordinario di Robotica all’Università di Pisa e senior scientist dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), che con Maker Faire, la fiera dell’innovazione di Roma, da inizio emergenza Covid coordina Techforcare, piattaforma dove ricercatori e aziende possono condividere conoscenze e scoperte per creare oggetti hi-tech in soccorso di medici e infermieri. Quando l’Italia era letteralmente chiusa per lockdown è qui che sono state messe online le istruzioni per creare i primi robot artigianali per televisite, assemblati con tablet, telecomandi, ruote e cavalletti, ed entrati in campo in diverse Asl toscane. «L’emergenza ci ha aiutato a comprendere che la tecnologia facilita i processi di assistenza, senza sostituire l’uomo. Oggi da parte dei sanitari c’è grande fiducia e grande richiesta di questi mezzi» spiega l’esperto.
I robot trasportano i farmaci al letto del paziente
Dalla Lombardia alla Puglia, dai reparti di pediatria a quelli di geriatria la robotica è nei team di cura, facilita il lavoro di portantini e medici, infermieri e fisiatri. Spesso dà una mano a ottimizzare le risorse. All’ospedale di Forlì, per esempio, otto robot si occupano del trasporto di tutte le merci nei padiglioni camminando su percorsi guidati, mentre un unico cervellone gestisce la distribuzione dei medicinali in fiala e per bocca nei reparti. «Ogni paziente ha un braccialetto con un codice, le prescrizioni quotidiane personalizzate partono dai tablet dei medici del reparto e arrivano al grande robot del magazzino, che per ogni codice imbusta la quantità prescritta, allegando la targhetta con il codice paziente. Entro le 11 i robot addetti al trasporto merci portano le buste sigillate ai reparti» spiega Elena Vetri della direzione sanitaria dell’ospedale.
Le scorte nei reparti sono state ridotte del 75%, abbattendo gli sprechi dovuti alle scadenze, la possibilità di errore per uno scambio tra farmaci o ricette è quasi azzerata, e portantini meccanici garantiscono la puntualità della consegna. Sono ormai parte del personale: prendono l’ascensore e chiedono permesso se trovano qualcuno lungo l’itinerario.
I robot intrattengono bambini e anziani
Ma robotica oggi significa avere anche veri e propri umanoidi empatici e intelligenti che si occupano dei malati. Uno di loro è Pepper, già sperimentato nella clinica pediatrica dell’ospedale di Padova per aiutare i bambini a distrarsi prima di un intervento o una procedura dolorosa. Ora che siamo in emergenza, spiegano dalla clinica, è stato dirottato in Pronto Soccorso, dove mostra ai bambini come indossare la mascherina e tenere le distanze.
Un fratello di Pepper è a San Giovanni Rotondo, all’Irccs Casa Sollievo della Sofferenza, dove da alcuni anni si sperimentano social robot nell’assistenza di pazienti anziani con demenza senile o difficoltà di movimento. Il nuovo amico supporta i degenti nei percorsi di riabilitazione cognitiva e fa loro compagnia. «È il più evoluto, perché ci dà la libertà di programmarlo e inserire applicazioni per svolgere più funzioni» spiega Francesco Giuliani, direttore dei sistemi informativi, innovazione ricerca dell’Irccs. «La sua grandezza è che è in grado di stimolare il cervello e di far sentire meno sole le persone con cui si interfaccia. Grazie al suo aspetto antropomorfo cattura la loro attenzione, per gli anziani è facile interagire con lui. Con Mario, qualche anno fa, abbiamo attivato le videochiamate via Skype con i parenti a casa, oggi con Pepper i pazienti cantano, si fanno dare le ultime notizie, possono fare ginnastica».
E domani? «Potremmo utilizzarli per monitorare la salute dei pazienti attraverso alcuni parametri, o programmarli per fare semplici test cognitivi ai pazienti. Possono già fare le domande, il passo successivo è insegnare loro a interpretare le risposte e assegnare un punteggio. Faciliterebbero il lavoro dei medici nelle diagnosi». Non manca molto, per arrivarci. «In Italia abbiamo sia la tecnologia sia le fabbriche per costruire questi oggetti. Dobbiamo fare quello ci è già riuscito per gli smartphone, farli diventare alla portata di tutti» dice Bicchi. Non è lontano il giorno in cui i robot saranno nelle nostre case, e aiuteranno gli anziani soli a misurare la temperatura, gli ricorderanno di prendere le medicine all’ora giusta e li assisteranno nelle telefonate a medici e parenti.
I robot più evoluti leggono le emozioni
I robot di ultima generazione sanno capire se siamo arrabbiati, stupefatti o contenti. La scoperta è stata fatta all’Irccs Casa Sollievo della Sofferenza, che ha condotto una sperimentazione su una quarantina di persone: messe di fronte a un robot, è stato chiesto loro di esprimere le sensazioni provocate dalle immagini trasmesse su un display. Nel frattempo la macchina analizzava i movimenti del loro volto, abbinandoli ai diversi stati d’animo.
«Il tasso di accuratezza è altissimo» spiega Grazia D’Onofrio, psicologa e ricercatrice all’Irccs e PhD student all’Istituto di Biorobotica della scuola Sant’Anna di Pisa. «Questa funzione può essere molto utile nell’assistenza a anziani e persone fragili. Se i robot, come crediamo, interpreteranno lo stato d’animo, potranno aiutarci a gestire emozioni negative come l’agitazione e la paura».