Brava Rossana Campo, brava e audace in questo suo ultimo breve romanzo in cui ci porta a Parigi a conoscere un gruppo di anziane ragazze – siamo intorno ai 60 anni – tutte amiche, tutte con un buon lavoro, tutte molto vitali e capaci di affrontare desideri, sconfitte e contraddizioni a muso duro. Per quello che sono, per quello che sentono. Libere e un po’ bastarde, come recita il titolo (Bompiani). C’è lei, c’è la sua voce in ognuna di loro. Una voce piena di vita, di allegria, fluviale nel raccontarsi al telefono nella chiacchierata che abbiamo fatto.

L’intervista a Rossana Campo

Ha scelto un titolo particolare per il suo nuovo libro. Perché quel “bastarde”? «Avevo trovato una scrittrice americana che in un’intervista diceva: “Sono una vecchia bastarda”. Ecco, mi piaceva quel “bastarda”, parola che di solito si usa per un uomo: è un bastardo, è un figo. Invece lei diceva: “Ho ancora tutta una serie di desideri, di belle età, anche di cazzate che faccio, e questo mi fa sentire viva. E poi “libere” mi piaceva, ma anche lì c’è di nuovo tutta una retorica, no? Pensati libera, sentiti libera».

Ma poi devi nascondere i segni del tempo. «E quindi libera anche di avere il coraggio di rivendicare: “Questa è la mia faccia. Non ho voglia di rifarmi. Non ho voglia di botulini”. Questa sarebbe una bella conquista. Non abbiamo visto proprio adesso un uomo di 78 anni diventare presidente degli Usa per la seconda volta? Accanto a sé ha, ovviamente, una moglie giovane. La immagina una donna che diventa presidente alla stessa età con un compagno che ne ha 30 di meno? Impossibile. Penso che noi donne siamo da sempre bombardate da luoghi comuni, da ruoli precostituiti. Ma chi può essere felice in un ruolo?».

Il valore della scrittura

Come si arriva, poi, a trovare se stesse? «A Genova, dove sono nata, lavoravo da supplente con una cooperativa. Avevo capito che mi sarebbe toccato fare 15 anni di precariato e allora mi sono detta: “Una vita così la faccio a Parigi, che almeno è più divertente”. Da lì è uscito il primo romanzo e, del tutto inaspettatamente, è andato bene. Alla fine sono rimasta quasi 20 anni a Parigi e poi sono andata a Roma, sempre scrivendo: l’unica costante vera della mia vita. Ecco: scrivere, forse, è la sola cosa in cui mi sento un po’ a mio agio».

Nel libro Betti, la protagonista, cita delle scrittrici. «Anche se non provengo da una famiglia di intellettuali, da adolescente ho letto Simone de Beauvoir, Virginia Woolf, Anaïs Nin: con loro ho avuto delle maestre, diciamo delle madri simboliche. Mi mostravano un tipo di vita che mi piaceva e anche questo essere… adesso si dice queer, no? Ne parlavano quando ancora la parola qui non esisteva. Non è che mi son messa lì a riflettere, ho semplicemente incominciato a scrivere e, non essendo di famiglia ricca, ho sempre pensato: “Dovrò fare anche un altro lavoro per mantenermi. E questo lavoro potrebbe essere l’insegnante o la cameriera”. Poi i primi libri sono andati bene e scrivere è diventato la mia vita».

Rossana Campo in un ritratto di Giovanna Noia
Rossana Campo, scrittrice genovese. Nel 2016 ha vinto il Premio Strega Giovani e il Premio Elsa Morante con Dove troverete un altro padre come il mio, edito da Ponte alle Grazie (Ph. Courtesy Giovanna Noia).

Rossana Campo: impariamo a tifare per noi

Tiene anche dei laboratori di scrittura. «Sono nati online I laboratori di scrittura femminile esorbitante. Dai testi ho capito che la cosa più importante è proprio imparare a tifare per noi, perché io credo che l’educazione per secoli ci abbia invece insegnato a disprezzarci. A svalutarci, a non sentirci all’altezza di niente, soprattutto di una vita come la vogliamo. Allora penso che il passaggio da fare sia questo: cercare veramente di volermi bene come sono, di volermi bene nelle mie qualità e nei miei buchi neri. In un pezzo bellissimo Natalia Ginzburg parlava dei pozzi di malinconia in cui cadono le donne. Dovuti, credo, alla nostra disponibilità e sensibilità».

Vivere nel pericolo della passione

Rossana Campo, lei scrive che le donne amano vivere nel pericolo della passione. È una qualità? «Secondo me è una qualità, però anche lì dobbiamo andarci con gli occhi aperti, cioè essere consapevoli che sono un po’ delle illusioni. Certo, in amore si parte in quarta, si farebbe qualunque cosa. E poi magari passa un anno, due, e ti dici: “Ma davvero ho perso la testa per questa persona?”. Si tratta, cioè, di sapere che sotto c’è sempre il nostro desiderio di vita».

Nel libro c’è parecchio sesso, scritto anche molto bene. «Grazie! Mi fa piacere. Per me è interessante scrivere di sesso, prima di tutto perché è difficile entrare nell’intimità dei personaggi, vederli in queste zone che sono di piacere, ma anche di oscurità. Dove incontri i tuoi fantasmi e incontri tante cose dell’altra persona».

Direi che gli uomini sono fuori gioco. «Sono sullo sfondo, volevo mettere al centro le donne e le loro storie di amore, di eros, di amicizia. Volevo anche raccontare il sesso fra di loro, perché si ripete sempre che le donne sono importanti, le amiche sono importanti. Però il sesso è con gli uomini».

Rossana Campo - cover libro - libere e un po' bastarde
La copertina del nuovo romanzo di Rossana Campo: Libere e un po’ bastarde (Bompiani).

Rossana Campo: la rivalità tra donne è una ferita del patriarcato

Lei ha avuto storie sia con uomini sia con donne. «Si dice: t’innamori delle persone, non di un genere. Per me è sempre stato così. Ho avuto una lunga relazione con un uomo, però ho continuato a essere attratta da entrambi i sessi. Tante donne hanno avuto storie importanti con altre donne. Io vedevo, che so, anche mia madre e le mie zie: c’era sempre l’amica del cuore. Probabilmente non facevano sesso, però il punto di riferimento che erano le une per le altre, l’intimità con cui si scambiavano esperienze, quella roba lì era amore, no? Di gioia fra donne io ne ho vista proprio tanta».

Fra donne c’è anche, però, dell’aggressività latente. «Da una parte non bisogna idealizzare l’essere amiche e sorelle. Come esseri umani abbiamo tutta la gamma dei sentimenti: la gelosia, l’invidia… Io credo che anche qui siamo state allenate a pensarci come rivali. C’è un libro molto bello di Sofie della Vanth, Il conflitto fra le donne (VandA Edizioni, ndr) che dice, in sintesi: la rivalità è una ferita del patriarcato, è qualcosa per cui siamo state addestrate. È la vecchia storia: il patriarcato così ci può comandare meglio. Da un gruppo di donne che si ritrovano insieme salta fuori un’energia pazzesca, una forza vitale, primordiale. E questo per me è più potente di un percorso di analisi, in cui per molte scuole non ci si può quasi neanche toccare una mano. Invece trovo che a volte è più importante mettersi lì, un pomeriggio sul divano, insieme, a chiacchierare, a piangere, a ridere. C’è un momento di tristezza, di disperazione, però poi si dice qualcosa e si scoppia a ridere».