Se hai mai visto una partita di rugby saprai già che nonostante la stazza dei suoi giocatori e l’intensità del gioco, che prevede un contatto fisico non proprio gentile (diciamola tutta: se le danno di santa ragione), in realtà è uno sport dove il fair play e il rispetto dell’avversario sono fondamentali. Come in molti altri sport, però, anche in questa disciplina esistevano delle differenze nel modo in cui gli atleti si presentano sul campo in base al sesso: mentre le donne, infatti, hanno sempre indossato collant e leggings aderenti, per gli uomini l’opzione era quella dei pantaloncini corti, indumento che, tra l’altro, li esponeva anche a ferite che potevano essere facilmente evitate.
Ora però le cose cambieranno, secondo quanto annunciato da World Rugby, l’organo di governo dello sport, che ha modificato le sue leggi per consentire ai giocatori di tutti i livelli di indossare collant o leggings durante le partite. Sembra incredibile, ma fino a questo momento la Legge 4 dello statuto disciplinare, cui si fa riferimento per l’abbigliamento dei giocatori, consentiva solo alle donne di indossare «collant o leggings in misto cotone, con singola cucitura interna sotto i pantaloncini e i calzini», ma è stata ora estesa a tutti i giocatori con effetto immediato, senza distinzione di genere.
Le ragioni dell’implementazione di questo emendamento sono molto specifiche e riguardano la sicurezza sul campo degli atleti, come riporta il Guardian: «Con alcuni giocatori suscettibili alle abrasioni su superfici artificiali, la decisione offre ai giocatori la possibilità di indossare collant o leggings come misura preventiva, massimizzando l’accesso al gioco», si legge nella nota ufficiale, che specifica anche come «World Rugby lavorerà con i sindacati e i fornitori di erba artificiale registrati per garantire che vengano osservati rigorosi programmi di manutenzione dei campi che minimizzino il rischio di abrasioni, in particolare in relazione alla spazzolatura e all’irrigazione, e specialmente in condizioni di caldo». Insomma, una ragione molto pratica che però mette ancora più in evidenza la divisione di partenza: perché fino a questo momento nessuno ci aveva pensato?
Durante la scorsa estate abbiamo molto parlato di sportivi e del loro abbigliamento: dal caso delle pallamaniste norvegesi che sono state multate per non aver indossato in gara lo slip del bikini ma dei pantaloncini – e che hanno ottenuto il cambio dell’assurda legge che impediva loro di usare i pantaloncini come invece fanno da sempre gli atleti uomini – fino alle polemiche, in gran parte ingiustificate, sul “sessismo” del body femminile nella ginnastica artistica, disciplina che in realtà permette alle atlete di scegliere tra diversi tipi di indumenti più o meno coprenti.
Il fatto che ora anche gli uomini del rugby potranno indossare un paio di leggings, un capo spesso considerato (a torto) solo femminile, per proteggersi dalle abrasioni – perché anche un corpo così muscoloso può ferirsi e perché la mascolinità non dev’essere abbinata all’invincibilità, che non esiste – abbatte l’ennesimo tabù: il comfort e la sicurezza degli atleti durante le loro prestazioni agonistiche non dipende certo dal loro genere di appartenenza.