Non mi interessa che venga dato l’ergastolo all’uomo che ha ucciso Sara di Pietrantonio. Molto più importante sarebbe capire perché di uomini come quello in Italia ce ne siano migliaia e picchino, violentino o uccidano altrettante donne ogni anno.
Non occorre cercare tanto: lo sappiamo da anni che le cause sono culturali. Vincenzo Paduan non è un folle, ma è il frutto del processo sociale, di una cultura, che costruisce e alimenta in tutti e in tutte noi l’idea che una donna sia una cosa (“sei mia/sono sua”) o una funzione (“la moglie/fidanzata/figlia/sorella/madre”), ma mai una persona dotata di autonomia.
Quella cultura è fatta di tante cose. La prima è il rifiuto di molti ad accettare che il maschilismo esista e faccia ogni anno decine di morti. Negare che esista è un modo per continuare a pensare che quelle morti sono tutti raptus, tutti gesti inconsulti, tutte eccezioni.
Poi c’è la resistenza ai programmi scolastici di educazione contro gli stereotipi di genere: a dire uomo, donna, amore e addio si impara, ma in Europa i soli paesi che non lo insegnano sono l’Italia e la Grecia.
Disastrosa è anche la leggenda che esista una “Famiglia Naturale” con ruoli maschili e femminili immutabili, e quindi guai a chi sottrae. Infine, ma non certo per importanza, c’è il vergognoso taglio dei fondi ai centri antiviolenza, gli unici dove le donne trovano consiglio e rifugio.
I risultati di questa cultura sessista sono visibili persino nel modo in cui è stata data dai giornali la notizia della morte di Sara di Pietrantonio, continuamente definita “fidanzata” o “ex fidanzata”, cioè proprio la funzione relazionale a cui si era sottratta. Se fosse chiaro che quella ragazza è morta perché non voleva più essere la fidanzata di Vincenzo Paduan, perché continuare a definirla quel che lei stessa non voleva più essere?
Allo stesso modo mettere la foto dell’assassino e della vittima insieme abbracciati realizza i sogni dell’omicida: ricomporre nella morte la storia d’amore che non c’era più. Accanto alla notizia dell’omicidio di Sara, ieri su un quotidiano on line c’era un boxino con la foto di una concorrente di Miss Italia misurata col metro da un compiaciuto uomo-giudice.
Era la migliore metafora del fatto che l’esatta misura di come debba essere una donna in questo paese la vuol decidere sempre qualcun altro, metro alla mano. Se permetti che a definire quanto vali sia un altro, quel metro può assumere tutte le forme che vuole, persino quella di una tanica d’alcool.