Hai il pin dello smartphone del tuo partner e ogni tanto cedi alla tentazione di sbirciare le chat su WhatsApp? Attenta: se lo fai sensa il suo consenso, è un reato. A maggior ragione lo è se il partner è ormai diventato un ex. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, confermando la condanna di un uomo che aveva prodotto in una causa civile le conversazioni tra la sua ex moglie e il suo capo.

Il caso

Davanti ai giudici, l’uomo ha spiegato di conoscere il codice di sblocco dello smartphone della sua ex moglie e che, secondo lui, proprio per questo non ci sarebbe stata alcuna violazione della privacy. Anche perché lui non avrebbe neanche utilizzato la password: lo smartphone era stato lasciato incustodito sul tavolo e con la chat aperta. Lui si era, dunque, limitato a sbirciare.

L’uomo ha poi aggiunto che le conversazioni tra la donna e il suo capo contenevano «informazioni importanti per tutelare la salute del figlio». Da qui la decisione di portarle davanti ai giudici. Le sue giustificazioni, però, non sono bastate a evitargli una condanna.

Sbirciare le chat su WhatsApp è reato

Infatti, i giudici della Corte di Cassazione hanno stabilito che «non rileva la circostanza che le chiavi di accesso al sistema informatico protetto siano state comunicate all’autore del reato, in epoca antecedente rispetto all’accesso abusivo, dallo stesso titolare delle credenziali, qualora la condotta incriminata abbia portato a un risultato certamente in contrasto con la volontà della persona offesa ed esorbitante l’eventuale ambito autorizzatorio».

Vietato usare il pin avuto dal partner

In pratica, anche se la ex moglie, quando stavano ancora insieme, aveva comunicato all’uomo la password del suo cellulare, lui non avrebbe mai dovuto accedervi contro la volontà della donna. Quindi, il reato si configura quando la password viene utilizzata contro la volontà del titolare dello smartphone. Avere ottenuto il pin in passato non ne autorizza l’utilizzo una seconda volta.

La condanna

I giudici hanno condannato l’ex marito per «accesso abusivo a sistema informatico e violazione di corrispondenza». Non solo, secondo la Cassazione il reato è anche aggravato dal fatto di avere utilizzato il contenuto degli scambi privati tra l’ex moglie e il suo datore di lavoro in una causa. Infatti, le informazioni fornite durante il processo erano state ottenute in modo illecito. In questi casi, la cosa che si dovrebbe fare è chiedere al giudice di acquisire, anche in via d’urgenza, il contenuto dello smartphone.