E va bene, c’è chi rifiuta il ricovero anche se sta male perché dice che «il Covid non esiste», com’è capitato qualche giorno fa al Pronto soccorso di Jesolo. Ma ora che si parla di quarta ondata, terza dose, immunizzazione dei bambini, più dei no vax diventano cruciali gli italiani che si dichiarano non abbastanza informati e rassicurati. Secondo l’Osservatorio Scienza Tecnologia e Società, a febbraio il 59% degli intervistati riteneva che la confusione regnasse sovrana per i troppi e discordanti interventi degli esperti.
Oggi le percentuali potrebbero essere cambiate, ma resta il segnale forte per gli scienziati che, dopo 2 anni di prime pagine, telecamere accese e hashtag in tendenza, hanno materiale per una sana autocritica. Prova a farla Telmo Pievani, professore ordinario di Filosofia delle Scienze Biologiche all’Università degli Studi di Padova ed esperto di divulgazione scientifica, che a Next, 13esima Conferenza Mondiale Science for Peace and Health della Fondazione Umberto Veronesi (in streaming dal 15 al 18 novembre) parla oggi dei 10 errori sulla comunicazione della scienza da non ripetere mai più. Le sue osservazioni sono utili a tutti per capire a chi dare ascolto quando la pandemia ci chiede di fare scelte cruciali per noi stessi e per gli altri.
Ne sono stati fatti tanti di errori? «Sì. All’inizio delle pandemia c’era fiducia nelle parole degli scienziati, poi è crollata. Del resto non era mai successo prima, se non per rari eventi e brevi periodi, tipo lo sbarco sulla Luna, che parlassero tutti i giorni su tutti i media. Ora bisogna mettere in fila gli errori in modo costruttivo».
Ma ci sono esperti che sanno comunicare bene al pubblico gli aspetti scientifici della pandemia? «Secondo me, l’immunologo Alberto Mantovani, perché ha sempre mantenuto la calma, non ha fatto previsioni azzardate, non ha dato certezze assolute. Quando è andato da Fabio Fazio a Che tempo che fa ha tranquillizzato il pubblico e spiega- to. Anche Silvio Garattini, presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, esprime autorevolezza e indipendenza di pensiero con semplicità e chiarezza».
Pessimi esempi? I due consiglieri medico-scientifici del governo britannico Chris Whitty e Patrick Vallance, che hanno spalleggiato Boris Johnson nella conferenza del 12 marzo del 2020, quando hanno dato come obiettivo l’immunità di gregge annunciando che non ci sarebbero state misure restrittive ma che tutte le famiglie avrebbero affrontato dei lutti. Poi hanno fatto marcia indietro dimostrando quanto sia letale la confusione tra scelte politiche e valutazioni scientifiche».
E in Italia? «Il momento più basso si raggiunge quando virologi, immunologi ed epidemiologi litigano platealmente. Lì anche il pubblico meno avveduto si accorge che prevalgono il narcisismo, il personalismo, l’odio accademico».
Lo scienziato deve rimanere sul piedistallo per essere credibile? «Sul piedistallo mai, anzi considerarsi sopra gli altri è un altro sbaglio. La frase che dà fastidio a tutti è: “Ti dico le cose perché ho studiato. Tu non sei medico e stai zitto”».
Come deve far valere la sua autorevolezza, allora? Non è facile per il pubblico fidarsi, per esempio nei dibattiti in tv. «Chi fa una buona comunicazione argomenta le sue affermazioni, facendo capire che non ci sono certezze assolute ma conoscenze in continuo aggiornamento. In questo modo, chi ascolta comprende che si può fidare di quell’esperto perché non sta parlando solo per opinione o per sentito dire. Anche quando lo scienziato si confronta con qualcuno che ha posizioni antiscientifiche non dovrebbe zittirlo con dati calati dall’alto e rinunciare a spiegare. Magari non convince quell’interlocutore, ma può convincere chi sta dall’altra parte dello schermo. L’obiettivo non è sconfiggere l’avversario, bensì raggiungere il pubblico. Questo tanti se lo dimenticano quando partecipano ai talk show».
Sbagliamo se preferiamo chi ci dà certezze e risposte definitive? «Lo so, se dico che la scienza si basa sul dubbio, uno pensa: “Ma allora vale tutto”. Invece è con il dubbio e la revisione continua delle conoscenze che si arriva a saperne sempre di più».
Ora siamo in una quarta fase della pandemia, si parla di terza dose. Co- me comunicarlo? «Gli scienziati non dovrebbero perdersi in discussioni sui social ma fare riferimento a una voce unica, coordinata, che dà il quadro del consenso scientifico e formula dei suggerimenti. Poi tocca alla politica prendere le decisioni. Mentre lo sto dicendo so che molti, anche tra i miei colleghi, non sono d’accordo perché si ritiene che la libertà di espressione debba essere assoluta e ognuno debba poter dire quello che vuole. Ma in un momento così particolare, dove le opinioni influiscono sulla vita delle persone, la responsabilità deve prevalere».
Chi dovrebbe avere questa voce unica in Italia? «Un’istituzione autorevole ma indipendente dalla politica. Potrebbe essere l’Accademia dei Lincei».
Ci sono informazioni scientifiche che è meglio tacere al grande pubblico? «No, la reticenza viene interpretata come tentativo di nascondere una verità segreta e manipolata. Sull’origine naturale o artificiale del Sars-Cov2, per esempio, gli scienziati sono stati timorosi proprio per non fomentare i complottismi, ma hanno ottenuto il risultato opposto. Invece credo si dovesse dire più apertamente che i virus vengono manipolati in laboratorio ma, date le conoscenze attuali, è probabile che il Sars-Cov2 sia stato trasmesso da un animale. Poi il pubblico si fa la sua idea».
Questo richiede una certa responsabilità anche da parte di chi ascolta. «Tutti dovremmo avere strumenti per capire cos’è una fake news. Si tratta di tecniche, non di sensazioni su ciò che è vero o falso. È difficile ma indispensabile, visto che quasi un quarto degli italiani si informa sui social. Bisogna saper risalire alle fonte di una informazione ed essere in grado di capire quanto è stata strumentalizzata o distorta. La buona notizia è che oggi queste tecniche si insegnano. Gli studenti le apprendono con ottimi risultati, il loro senso critico si affina e riconoscono subito le bufale».
Chi non conosce queste tecniche di cosa dovrebbe diffidare in particolare? «Per esempio, del vittimismo sui social: chi si presenta come eroe solitario o membro di un piccolo gruppo di resistenza della “verità” contro i poteri forti. È istintivo parteggiare per una vittima che si oppone alle istituzioni e infatti è un modo efficace per influenzare le persone e fare propaganda. Ma quasi mai dietro c’è qualcosa di attendibile scientificamente».
Anche dei numeri dobbiamo diffidare? Mai come durante la pandemia sono stati manipolati. Dati, statistiche e sondaggi hanno validato idee opposte. «I dati possono essere rovesciati e strumentalizzati perché sembrano facili da capire, immediati. Invece sono informazioni complesse. Sarebbe necessario che pubblico, giornali e politici, facessero riferimento a dati istituzionali, autorevoli, con fonti chiare».
Le posizioni sul vaccino sono sempre più rigide, può capitare di improvvisare un discussione scientifica con familiari e amici. Cosa consiglia? «È un dialogo difficile perché si vengono a creare i cosiddetti bias di conferma, cioè quell’atteggiamento mentale che porta a rovesciare qualunque argomento in modo da autoconvincersi di avere ragione. Non resta che rimanere aperti, accogliere il dubbio».
Niente battute sarcastiche? «Se la battuta squalifica l’altro non serve a niente. Però un pizzico di ironia può aiutare. A me piace giocare sull’assurdo, per esempio, prendendo una posizione antiscientifica e portandola alle estreme conseguenze. Mi viene in mente il caso delle proteste di Trieste. A causa del focolaio che si è creato in città, la pretesa di libertà dei manifestanti si è concretizzata nel suo contrario, cioè in quarantena. Un simile paradosso diventa ancora più evidente se si racconta con un velo di ironia».
Così riconosci l’esperto di cui ti puoi fidare
1. Dà sempre una speranza. Tiene conto anche delle emozioni che trasmette, non solo dei dati. Parlare in termini catastrofici dei problemi alla lunga crea assuefazione, senso di impotenza, disinteresse.
2. Ammette ciò che gli scienziati non sanno e spiega perché. Tacere
i limiti e fallimenti della scienza fomenta i complottismi e la sfiducia.
3. Spiega i dati ma anche i processi. Una conoscenza scientifica è accolta meglio se si sa quali studi e anche quali studiosi sono coinvolti e hanno portato a un certo risultato.
4. Condivide le sue conoscenze in modo coinvolgente. Chi è bravo a divulgare non spiega “al volgo che non sa le cose” calando dall’alto le nozioni. Per raggiungere il pubblico usa anche altri luoghi, oltre alle università e i convegni, e altri linguaggi, dal teatro al fumetto.
5. Non si espone sui temi di altre discipline. Non ha senso, per esempio, che un virologo parli dell’impatto psicologico della pandemia. Non si può essere credibili su tutto.
6. Non dà certezze assolute. La scienza non è una “verità” ma un percorso verso la conoscenza fatta di modelli, ipotesi, probabilità.
7. Non fa previsioni azzardate. Nessuno può dire: «Tra 6 mesi saremo qui, tra un anno succederà questo o quello». Si possono solo fare proiezioni sulla base di ciò che si conosce al momento.
8. Non squalifica l’interlocutore. Non zittisce chi lo contraddice vantandosi del suo ruolo o dei suoi riconoscimenti accademici.