Greta Thunberg lo ha detto più volte durante i suoi discorsi. I ragazzi della Generazione Z hanno molto a cuore il tema del cambiamento climatico non perché cercano continue scuse per scioperare, come spesso viene loro rimproverato, ma perché sono la prima generazione, assieme ai Millennial, ad aver assistito in diretta ai danni provocati dalla crisi ambientale.
La giovane attivista svedese in questi giorni è a Milano per Young4Climate, la conferenza dei giovani sul clima organizzata dal governo italiano come evento introduttivo alla Pre-Cop26, l’evento che si tiene a Milano dal 30 settembre al 2 ottobre e che precede la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021, detta anche Cop26, che invece si terrà a Glasgow, in Scozia, dal prossimo 31 ottobre al 12 novembre, sotto la presidenza del Regno Unito. E in preparazione al grande summit gli studenti sono già scesi in piazza lo scorso 24 settembre per i Fridays for Future, il movimento lanciato dalla stessa Thunberg nell’agosto del 2018 che ha mobilitato migliori di giovani nel mondo per la giustizia climatica. Un altro sciopero è previsto per venerdì primo ottobre.
Le mobilitazioni in preparazione alla Cop26
Youth4Climate ha riunito a Milano quasi 400 giovani da tutto il mondo, tutti tra i 15 e i 29 anni, con l’obiettivo di preparare una carta negoziale con proposte concrete per il clima che dovrà essere recepita dai 59 ministri dell’Ambiente in rappresentanza dei Paesi partecipanti alla Cop26. Il coinvolgimento dei più giovani non è casuale, considerando quanto il tema sia sentito tra le nuove generazioni e come, soprattutto negli ultimi anni, abbia rimodellato il modo di intendere l’attivismo, che non si riunisce più intorno a bandiere politiche ma si focalizza invece sulle grandi questioni che interessano la società oggi, come appunto il ruolo della attività umane nel peggioramento delle condizioni ambientali del pianeta e le diseguaglianze che il modello di sviluppo predominante provoca sulle comunità più fragili. Al suo arrivo a Milano, Thunberg ha sottolineato come, per quanto questo tipo di eventi siano utili per risvegliare la coscienza collettiva, spesso si riducano solo «in chiacchiere» fra politici, mentre per i ragazzi il tema è sempre più fondamentale e condizionerà tanto il loro orientamento politico quanto le loro prospettive di vita futura.
I bambini nati oggi soffriranno maggiormente gli effetti del cambiamento climatico
L’interesse verso la questione ambientale è più che giustificato, considerando come, secondo un recente studio pubblicato sulla rivista Science e riportato dal Guardian, le persone che nascono oggi soffriranno molto di più a casa di ondate di calore estremo e altri disastri climatici rispetto alla generazione dei loro nonni. È la prima volta che una ricerca si sofferma a valutare l’esperienza contrastante provocate dai degli estremi climatici da parte di diversi gruppi di età e mette in evidenza «l’ingiustizia intergenerazionale» posta dalla crisi climatica.
Secondo le proiezioni dai ricercatori, infatti, un bambino nato nel 2020 sopporterà una media di 30 ondate di caldo estremo nella sua vita, anche se i Paesi che si sono impegnati sul fronte climatico manterranno i loro attuali impegni per ridurre le future emissioni di carbonio. Si tratta di sette ondate di calore in più di cui un ragazzo di vent’anni nel 2040 farà esperienza rispetto a una persona nata nel 1960. I bambini di oggi, inoltre, subiranno il doppio delle conseguenze causate da siccità e incendi e tre volte di più quelle provocate da inondazioni di fiumi e raccolti andati a male rispetto a chi ha oggi sessant’anni. Non è una sorpresa, allora, che chi è adolescente o ventenne oggi sia preoccupato per il suo futuro: ha già visto il cambiamento radicale dei fenomeni climatici e il loro diventare sempre più estremi e, grazie ai social e alla possibilità di comunicare con coetanei da tutto il mondo, è molto più esposto a ciò che succede lontano dal proprio Paese d’origine.
Lo studio rileva infatti una significativa variazione regionale nei risultati: i 53 milioni di bambini nati in Europa e in Asia centrale tra il 2016 e il 2020 sperimenteranno eventi circa quattro volte più estremi nella loro vita secondo gli attuali impegni sulle emissioni, ma i 172 milioni di bambini della stessa età nell’Africa subsahariana affronteranno eventi 5,7 volte più estremi. Dall’analisi emerge anche che solo chi ha meno di 40 anni oggi farà in tempo a vedere le conseguenze delle scelte fatte sui tagli alle emissioni, mentre quelli più anziani saranno morti prima che l’impatto di quelle scelte diventi evidente nel mondo. Secondo il Guardian, ridurre rapidamente le emissioni globali per mantenere il riscaldamento globale a 1,5°C dimezzerebbe quasi le ondate di calore che i bambini di oggi sperimenteranno, mentre mantenerle sotto i 2°C ridurrebbe il numero di un quarto. Capito perché scendono in piazza?