«Il robot avvicina lo scaffale alla mia postazione. Salgo sulla scala, 3 gradini, ogni ripiano ha un suo codice, parto da quello in alto, conto gli oggetti riposti: a volte libri, a volte trapani, a volte santini votivi, tanti, tantissimi santini, piccoli, incollati tra loro, li conto uno a uno. I santini sono il mio incubo, ma vanno contati anche quelli. Quando ho finito, inserisco nello scanner il numero di oggetti del ripiano e premo invio. Poi, ricomincio. Scendo dalla scala, la sposto più in là, verso l’altro scaffale che mi ha assegnato l’algoritmo: primo, secondo o terzo gradino, arrivo al ripiano, scansiono il codice, conto gli oggetti, individuo il numero, lo inserisco, invio. Conto, conto, conto tutto il giorno e quando torno a casa so che, alla fine, io non conto niente».

Parla tutto d’un fiato Sabrina, che ci ha chiesto di usare in questo articolo un nome di fantasia per timore di ritorsioni. Da 3 anni lavora come magazziniera nell’Hub Amazon di Passo Corese, 30 chilometri a Nord di Roma, uno dei più grandi d’Italia: 1.600 dipendenti fissi e 1.000 lavoratori somministrati (cioè assunti a tempo attraverso le agenzie interinali) che nei periodi più caldi per l’e-commerce, come il Natale o il Black Friday, arrivano anche a 2.000.

Sabrina ha 46 anni, 2 figli minorenni e «un gran bisogno di lavorare, altrimenti avrei già lasciato questo posto» spiega

«E, invece, soprattutto oggi, non posso perderlo. Amazon mi garantisce uno stipendio, è l’unica azienda che di certo non fallirà, nonostante la pandemia». In effetti nel 2020, il colosso fondato da Jeff Bezos ha raggiunto i profitti più alti di sempre, con il valore delle azioni che – da fine febbraio – è cresciuto di circa il 60%. Hanno contribuito a questa espansione proprio Paesi come l’Italia dove, durante il lockdown, l’e-commerce ha avuto un boom: oggi, i 9.500 dipendenti Amazon Italia e i 31.000 lavoratori della filiera preparano, smistano e consegnano fino a 1 milione di pacchi al giorno. All’aumento dei volumi, però, non è corrisposto un miglioramento delle condizioni contrattuali.

Le trattative con l’azienda sono saltate sui temi più cari ai lavoratori: aumento dell’indennità di trasferta e riorganizzazione dei carichi per i drivers e rimodulazione dei turni per i magazzinieri. Così il 70% dei lavoratori della filiera – secondo le stime dei sindacati – lunedì 22 marzo ha proclamato, per la prima volta nella storia dell’azienda, uno sciopero nazionale. «Ho chiesto più volte di modificare i turni, pesanti per tutti, ma quasi impossibili per una madre» racconta Sabrina. «Mi hanno risposto di no. Esiste un turno dedicato alle mamme, però solo per chi ha figli appena nati».

Nella prima settimana del mese, la sveglia per lei suona alle 4,30 del mattino:

leggings, maglietta, scarpe comode e via. Alle 6.30 timbra il cartellino, entro 10 minuti deve azionare la propria postazione per rispettare la regola del “Fast Start”, una delle tante che in Amazon si applicano per velocizzare i gesti dei dipendenti. Alle 14.30 il turno è finito, dopo un’ora torna a casa. Per le successive 2 settimane, il turno è pomeridiano, dalle 14.30 alle 22.30. In questo caso, «i bambini non li incontro neanche. Dormo quando loro si svegliano. Ritorno quando stanno già dormendo». L’ultima settimana del mese c’è quello che lei definisce “il turno dei lupi”: dalle 22.30 alle 6 del mattino. «Esco dallo stabilimento che albeggia, intorno a me il nulla. Amazon lì è una cattedrale nel deserto. Il tempo di arrivare a casa ed è giorno. I ragazzi stanno facendo colazione, ci diamo il buongiorno, loro vanno a scuola e io a letto. In quella settimana, sono uno zombie».

“Work hard, have fun, make history” – lavora duro, divertiti, fai la storia – è la grande scritta all’ingresso della sala mensa al pianterreno,

dove i magazzinieri trascorrono l’unica mezzora di pausa, a metà delle 8 ore di turno. Prima e dopo il pranzo, non si chiacchiera tra colleghi e l’uso dei cellulari è vietato. Il capo-area, dalla sua postazione, monitora le scansioni effettuate e «persino quante volte si va al bagno. Quando ero una “green badge” (così, in Amazon, si chiamano i lavoratori precari, dal colore verde del loro cartellino, ndr) non ci andavo. Sentivo la competizione. Ottimizzavo ogni minuto. Ora sono una “lavoratrice blu” (blu è il badge dei dipendenti fissi, ndr) e, se devo, ci vado. Ma se capita troppe volte in un giorno, chiedono spiegazioni». Il rischio, in questi casi, è ricevere un feedback negativo dal capo-area: un segnale di allarme soprattutto per chi, ancora “green”, punta a diventare un “blu badge”.

«Da noi c’è sempre ricambio di personale, qualcuno scappa, altri vengono mandati via» continua Sabrina. «Prima di lavorare qui, ho cercato in negozi e uffici, ma quando dicevo la mia età, non mi facevano neanche lasciare il curriculum. Amazon questo problema non ce l’ha. Per loro dipende tutto da te, da quanto produci». Senz’altro un’opportunità, in questo momento di crisi, che però rischia di trasformarsi a lungo andare in un boomerang.

Se la stabilizzazione è un traguardo raggiungibile per i più resistenti tra i lavoratori degli Hub, per i drivers è impossibile

La consegna dei pacchi è, infatti, interamente appaltata a società terze che gestiscono i corrieri. Tra drivers e magazzinieri cambia il contratto, la retribuzione (in media 1.500 euro netti per i primi, 1.200 euro per i secondi), persino il datore di lavoro diretto. Ma non cambiano le regole di quella che – sugli striscioni dello sciopero – i lavoratori hanno definito “Amazoncrazia”: una scansione al secondo se sei in magazzino, una consegna ogni 3 minuti se guidi un furgone; pollice verso se non hai fatto abbastanza; pollice in su se hai rispettato il “Passo Amazon”, sempre veloce, mai di corsa, secondo uno dei primi insegnamenti nei corsi di formazione aziendale.

«Sul display della postazione arrivano i giudizi del capo. “Stai andando bene” o “Puoi fare di più”. Positivi o negativi che siano, a me infastidiscono sempre» commenta Sabrina, che è una dipendente modello. L’unico richiamo lo ha ricevuto quando, a causa del lavoro, ha sofferto di tendinite. «Avendo sempre lo scanner nella mano destra, quella mano si è infiammata» ricorda. «Loro mi suggerivano di alternare con la sinistra. Ma, non essendo mancina, per me significava rallentare il ritmo. E, se lavori in Amazon, il ritmo è tutto».

Cosa sostiene l’azienda

Amazon ha investito in Italia, dal 2010 a oggi, 5,8 miliardi di euro, creando 9.500 posti di lavoro a tempo indeterminato. Come premio per non essersi fermati durante il lockdown, ha dato ai lavoratori 2 bonus una tantum (500 e 300 euro). In occasione dello sciopero nazionale del 22 marzo, con una nota, Amazon ha specificato: «Offriamo salari competitivi, benefit e ottime opportunità di crescita professionale». Quanto al controllo estremo denunciato dai lavoratori, risponde che «in tutti gli stabilimenti produttivi funziona così», ma smentisce che le pause per i servizi igienici siano monitorate. Per andare incontro alle esigenze di conciliazione dei lavoratori Amazon spiega di aver creato un sistema online, “Switch”, con cui è possibile scambiarsi i turni tra dipendenti.