La riapertura delle scuole non spegne le polemiche, ma dopo i banchi con le rotelle, la carenza di insegnanti e il mancato invio di mascherine e gel, a far discutere è il Patto di corresponsabilità. In alcune scuole sono inserite clausole che prevedono, ad esempio, che se i genitori mandano a scuola i figli con sintomi di possibile contagio Covid, come febbre, mal di testa, nausea e vomito, possono incorrere in «risvolti civili e penali per culpa in educando», insomma per essere venuti meno ai loro compiti educativi. Di cosa si tratta? Cosa prevedono i patti e come sono modulati a seconda delle scuole? In alcuni istituti i genitori si rifiutano di sottoscriverli, in altri casi, invece, minacciano di chiedere un risarcimento in caso di allontanamento del figlio con sintomi, che risultasse poi negativo. Ecco cosa prevede la legge.
Cos’è il Patto di corresponsabilità
I Patti di corresponsabilità erano presenti già in diversi istituti prima dell’emergenza sanitaria, ma è con l’avvio del nuovo anno scolastico che sono diventati obbligatori in tutte le scuole, su indicazione del ministero dell’Istruzione. Se fino allo scorso anno si chiamavano Patti educativi e prevedevano una serie di impegni sia da parte della scuola (offrire modelli di comportamento corretti, realizzare curricoli disciplinari attenti alle competenze, garantire una valutazione trasparente, ecc.) sia da parte dei genitori (collaborare con la scuola, rispettare il ruolo dei docenti, prevenire e segnalare fenomeni di bullismo, cyberbullismo o vandalismo, ecc.) da quest’anno si sono arricchiti e adeguati alle indicazioni del Miur relative alle regole anti-Covid.
Previsti dal DPR n.235/2007, prevedevano un margine di flessibilità con la possibilità per ciascun istituto di aderire in tutto o in parte, mentre ora impongono alcune norme comuni relative al comportamento da tenere in caso di sospetto contagio, che devono essere rispettate da docenti, studenti, ma soprattutto genitori, perché in caso di minori sono proprio madri e padri a rispondere di eventuali inadempienze.
I patti e il Covid: cosa prevedono e cosa rischiano i genitori
Il documento, che i genitori sono chiamati a sottoscrivere a inizio anno (in alcuni casi in modo così ferreo da limitare l’accesso dell’alunno o studente in caso di mancata firma), recepisce alcune delle linee guida del Comitato Tecnico Scientifico, come ad esempio la misurazione della febbre a casa, ogni mattina. In caso di temperatura superiore a 37,5°C è previsto che lo studente non si rechi a scuola. Lo stesso vale per altri sintomi di sospetto Covid come mal di testa, nausea, vomito e diarrea. Ma è proprio su questo aspetto che sono sorti i problemi. In alcuni casi, come a Sestri Levante in Liguria, molti genitori di figli asmatici o con tendenza a contrarre raffreddori frequenti si sono rifiutati di sottoscrivere il documento, soprattutto perché tra le righe erano ricordati i «risvolti civili e penali per culpa in educando» in caso di inadempienza.
Ma è possibile rifiutarsi di aderire ai Patti? I genitori rischiano in prima persona nel caso in cui mandano i figli a scuola con la febbre? «Sì, i genitori di figli minorenni devono stare attenti perché potrebbero rispondere penalmente e civilmente nel caso violassero il Protocollo del Miur dello scorso 6 agosto, che ha espressamente previsto che, per contrastare l’epidemia ancora in corso, i bambini con febbre, tosse e in genere con sintomi associabili al Covid-19 non debbano andare a scuola» spiega l’avvocato Marina Marraffino.
«Il reato potrebbe essere quello di epidemia colposa previsto dall’art. 452 del codice penale, visto che i genitori violerebbero una norma cautelare di condotta espressamente prevista dal Ministero dell’Istruzione. Il reato prevede una pena da uno a cinque anni ed è procedibile d’ufficio, significa che gli insegnanti sarebbero tenuti a far scattare automaticamente la denuncia nei confronti dei genitori se si accorgono che il bambino è entrato a scuola già con i sintomi evidenti. Diverso è il caso dell’alunno che si sente male durante la lezione. In questa evenienza i genitori non potevano sapere di una eventuale infezione in corso e non saranno quindi responsabili per averlo mandato a scuola» aggiunge l’esperta. Tra l’altro il legale ricorda che, finché i figli sono minorenni, i genitori rispondono anche di eventuali danni in sede civile.
Risarcimento per la quarantena?
Nella giungla dei protocolli che i genitori hanno ricevuto nei giorni precedenti la ripresa delle lezioni scolastiche (in presenza o in didattica a distanza laddove si è resa necessaria), c’erano anche le circolari dei Dirigenti relative alle procedure di comportamento in caso di sospetto contagio di uno studente, una volta a scuola. Il protocollo prevede l’isolamento, il ritiro del ragazzo o del bambino da parte di un genitore e la valutazione da parte del pediatra o medico curante, che potrebbe decidere per un tampone. Ma se lo studente risulta poi negativo? Alcuni genitori hanno persino pensato di rivalersi in sede civile chiedendo un risarcimento per l’allontamento del figlio, poi risultato non ammalato, per aver perso giorni di scuola o per aver fatto ricorso a smart working o giorni di permesso dal lavoro.
Ma è legale? È possibile “rifarsi” contro insegnanti e scuola? «No, gli insegnanti sono tenuti a far rispettare a tutti le misure anti contagio previste dal ministero dell’Istruzione. Se gli alunni manifestano sintomi, anche se successivamente risultano non riconducibili al Covid-19, gli insegnanti sono tenuti ad attuare le procedure di isolamento previste dai protocolli ministeriali – spiega Marraffino – Il consiglio per i genitori è quello di fare subito il tampone ai figli che presentino sintomi, in modo tale da consentire loro di rientrare a scuola prima possibile se risultano negativi al Covid-19».
I doveri di genitori e scuola: chi misura la febbre?
Un altro punto particolarmente dibattuto riguarda la misurazione della temperatura. In Piemonte il Governatore Cirio ha deciso di non rispettare il protocollo del Ministero dell’Istruzione, procedendo con la misurazione della febbre fuori dall’istituto e non casa, a cura dei genitori. Ma la scuola può farlo?
«Sì, il Miur ha previsto che siano i genitori a misurare la febbre ai figli per evitare possibili contagi durante gli spostamenti degli studenti, ma nulla vieta che le scuole che abbiano i mezzi per farlo possano misurare anche all’entrata la temperatura agli alunni. Le scuole godono di un’ampia autonomia e possono prevedere misure di contenimento più rigide, se in grado di attuarle senza compromettere la didattica» risponde l’avvocato.
Troppa discrezionalità crea confusione
Resta però un aspetto critico: «Il vero problema è che ci sarà molta discrezionalità sui sintomi che non consentono l’ingresso a scuola. Basta un raffreddore per impedire a un minore di entrare in classe? Il provvedimento del Miur del 6 agosto scorso parla di febbre e/o sintomi di infezione respiratoria come la tosse, ma è prevedibile che negli altri casi (raffreddore, mal di pancia, disturbi intestinali) ciascuna scuola deciderà autonomamente e non sarà facile gestire la situazione sia per i genitori sia per gli stessi insegnanti. Sarà necessaria quindi la collaborazione di tutti, scuola e genitori, affinché vengano garantite tutte le misure di sicurezza necessarie, senza sacrificare oltre misura il diritto allo studio degli studenti» conclude l’esperta.