Cambiano i governi e si succedono le riforme della scuola ma ogni anno, a settembre, vediamo ripetersi le stesse scene: cattedre vuote e precari in piazza. Nonostante le nuove assunzioni (57.322 quest’anno), gli istituti sono costretti a ricorrere ai supplenti, circa 130.000 secondo i sindacati. Un paradosso che qui proviamo a spiegare con l’aiuto degli esperti.
Qual è la relazione tra assunzioni, supplenze e precariato?
«I nuovi assunti vengono presi per il 50% dalla graduatoria dell’ultimo concorso pubblico e per l’altro 50% dalle cosiddette “Gae”, le graduatorie a esaurimento formate nel corso dei decenni da coloro che hanno superato i concorsi ma non sono entrati in ruolo, oppure hanno preso l’abilitazione con una vecchia legge» spiega Sergio Govi della rivista specializzata Tuttoscuola. «Le assunzioni non bastano a coprire tutte le cattedre, sia perché al sistema didattico servono più insegnanti del previsto sia perché mancano alcuni requisiti: per esempio, docenti abilitati per la matematica nelle scuole medie e per i posti di sostegno. Così si ricorre ai supplenti, cioè ai precari».
Perché il Miur assume meno docenti del necessario?
«C’è un enorme scarto tra l’organico di diritto, cioè i docenti che secondo il ministero dell’Istruzione servono ogni anno alle scuole e che vengono assunti, e l’organico di fatto (819.049 docenti nell’anno scolastico 2017-2018, ndr), cioè quelli che effettivamente insegnano, in base al numero di studenti, alle necessità dei singoli istituti, ai progetti didattici…» continua Govi. «Nessun governo ha finora colmato il gap perché il supplente viene pagato fino a giugno e non ha scatti di carriera, così lo Stato risparmia. Con buona pace della continuità didattica».
Da cosa nascono le proteste?
«I concorsi non sono stati banditi in maniera costante e ogni legge ha stabilito regole diverse sul reclutamento dei docenti, causando i ricorsi di chi era stato abilitato con norme precedenti» spiega Francesco Sinopoli, segretario generale Flc-Cgil. «Questo nel tempo ha creato sacche di precariato difficili da gestire». Prendiamo il caso dei diplomati nei vecchi istituti magistrali. «Sono circa 50.000» precisa Govi. «Quel diploma dava l’abilitazione per insegnare alla primaria. Oggi rivendicano il diritto di farlo, in attesa di una sentenza definitiva del Consiglio di Stato. I laureati, che si sono visti superare in graduatoria, protestano e così il governo ha proposto un concorso ad hoc. Per smaltire la graduatoria che ne verrebbe fuori, secondo i nostri calcoli, servirebbero 40 anni».
Ci sono allo studio soluzioni per risolvere il problema definitivamente?
«Per le superiori è entrato in funzione il sistema unico Fit: dopo la laurea e il superamento del concorso inizia un percorso triennale di formazione e tirocinio retribuito che dà la specializzazione selezionando i nuovi insegnanti di ruolo» spiega Sinopoli. «Può funzionare, ma deve essere accompagnato da una programmazione sugli effettivi bisogni degli istituti e da investimenti per la formazione dei docenti di sostegno, che rimangono ancora troppo pochi rispetto alle richieste».
Pochi presidi
Al precariato dei docenti bisogna aggiungere quello del personale Ata, cioè tecnici, amministratori e assistenti: quest’anno ne sono stati assunti 8.000 ma, secondo i dati di Flc Cgil, ne servirebbero altri 17.000. All’appello mancano anche 2.000 presidi sostituti al momento dai “reggenti”, cioè da dirigenti che assumono la responsabilità di altre scuole oltre la propria: per loro si attende il concorso nel 2019.