Dati che preoccupano e fanno riflettere, tanto più dopo se li si associa a quelli – sempre pessimi – sui test Invalsi nelle scuole del Sud Italia. Secondo il Rapporto annuale dell’Istat, l’Italia presenta livelli di scolarizzazione tra i più bassi dell’Unione europea, anche con riferimento alle classi d’età più giovani, nonostante negli anni la diffusione dell’istruzione sia considerevolmente cresciuta. Nel 2019, infatti, nell’Ue27 (cioè senza il Regno Unito), il 78,4% degli adulti tra i 25 e i 64 anni possedeva almeno un diploma secondario superiore. In Italia, l’incidenza è del 62,1%. Certo, se si guardano i dati del 2004 eravamo messi decisamente peggio: si è infatti registrata una crescita del 13,5%, che riflette la fuoriuscita dal campione della fetta di popolazione nata nel dopoguerra, la cui scolarizzazione è stata difficile, e il progresso nella scolarizzazione delle fasce più giovani.
Siamo il Paese con meno diplomati e laureati in Europa
Tuttavia, il confronto con gli altri stati membri non lascia spazio a considerazioni positive: in Italia hanno almeno un diploma quasi i tre quarti dei giovani tra i 30 e i 34 anni (+11% rispetto al 2009), ma nell’Ue27 la media è dell’84%. Il divario è ancora maggiore se si guardano i 30-34enni con titoli universitari, pari al 27,6% nel nostro Paese (ultimo nell’Unione insieme alla Bulgaria), contro il 40,3% per l’Ue27. Un altro dato di cui tener conto è la differenza di scolarizzazione tra maschi e femmine. Sia in Italia che nella maggioranza dei Paesi Ue, le ragazze sono infatti più scolarizzate dei ragazzi. Questo divario è andato crescendo nel tempo: tra le persone in età compresa tra i 30 e i 34 anni nel 2019 avevano un titolo universitario il 33,8% delle donne e appena il 21,6% degli uomini, eppure neanche le donne italiane sono allo stesso livello della media europea, mentre oggi la dispersione scolastica, che pure si è ridotta negli anni, sembra interessare principalmente i maschi.
Le differenze tra Nord e Sud sono ancora marcate
Come già per i test Invalsi, le performance di scuole e studenti cambiando drasticamente a seconda della regione di provenienza. I laureati superano il 30% dei giovani tra i 30 e i 34 anni in Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia e nella provincia di Trento. In queste ultime due aree l’incidenza del titolo universitario è cresciuta molto nell’ultimo decennio ed è minima la quota di giovani con al più la licenza media (intorno al 15%, contro il 26,7% per l’Italia). All’opposto, in Sicilia, Puglia e Calabria si osservano i valori più bassi per i laureati, quelli più elevati per la popolazione meno istruita e, insieme, i progressi minori. Nel caso della Calabria c’è addirittura stata una diminuzione del numero di giovani che hanno conseguito la laurea.
Per quanto riguarda la dispersione scolastica, invece, per quanto si siano fatti degli enormi progressi – è infatti diminuita dal 35,1% nel 1994 al 13,5% nel 2019, riducendo il distacco con l’insieme dei Paesi dell’Unione dal 7,3 al 3,3% tra il 2002 e il 2019 – l’incidenza del fenomeno cambia di molto a seconda del territorio. Nella provincia di Trento e in Veneto, Friuli e Marche, così come rilevato nel quadro degli studi universitari, i livelli sono simili a quelli dei Paesi più virtuosi dell’Unione, grazie a una diminuzione molto marcata nell’ultimo decennio. La riduzione è stata ampia anche in Piemonte, Lombardia e nella provincia di Bolzano, che nel 2009 avevano un’incidenza pari o superiore al 20%. Molto diversa la situazione man mano che si scende nella penisola. Gli abbandoni, infatti, sono rimasti stabili o sono addirittura cresciuti in regioni come la Basilicata, il Lazio e la Calabria, così come in Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna, nonostante i progressi degli ultimi anni. Una situazione preoccupante, tanto più dopo la prolungata chiusura dovuta all’emergenza Covid-19 e una riapertura ancora avvolta da dubbi e incertezze.