«Avevano il mare a 200 metri. Così mi sono detta: per i miei bambini dopo questi mesi difficili ci vuole un’aula davvero speciale». Chiara Cassanelli è una maestra di scuola primaria dell’istituto comprensivo Caputi di Bisceglie, in Puglia. Alla fine dello scorso settembre, insieme alla collega Giusy Camero, si è inventata “le lezioni sugli scogli”. Presi cartelle, quaderni e penne, i bambini si sono seduti davanti al mare ad ascoltare le insegnanti per tutta una mattina.
«L’aula non può essere l’unico luogo deputato al sapere. Oggi usciamo ogni volta che possiamo: torniamo al mare, andiamo nei parchi, camminiamo tra le strade del quartiere» spiega la maestra Chiara. Anche i risultati sono palpabili: «I miei alunni stanno imparando a guardare il mondo. Memorizzano le strade che percorrono a piedi e poi disegnano le mappe, stanno apprendendo come calcolare la distanza e il tempo che ci vuole per arrivare da un punto A a un punto B».
A Napoli si studia chimica dal panettiere e tecnologia dall’artigiano
Aperta, innovativa, diffusa: sono queste le parole d’ordine della scuola che cerca di rinnovarsi per vincere la sfida della pandemia. Poco alla volta stanno nascendo, da Sud a Nord, esperienze straordinarie. Come a Napoli, nei Quartieri Spagnoli, una periferia al centro della città. Qui il 34% dei ragazzini tra gli 8 e i 14 anni abbandona gli studi.
«Nei mesi del lockdown totale» spiega Rachele Furfaro, dirigente del network di scuole “Dalla parte dei bambini” e presidente della Fondazione Quartieri Spagnoli «con la didattica a distanza abbiamo perso contatto con l’80% dei ragazzi della zona. Così a maggio, appena è stato possibile, con il corpo docente siamo andati a prenderli a casa per portarli a fare passeggiate didattiche in giro per la città. Nei quartieri fragili come questo la scuola rappresenta l’ultimo baluardo di tutela dei diritti e la didattica tradizionale non funzionava prima dell’emergenza sanitaria, figuriamoci adesso. Qui non esistono spazi neutri, e se la scuola “espelle” questi ragazzi, se non “li sa trattenere”, se non riesce a creare affezione, allora li consegna all’industria dell’illegalità, che li usa come mera forza lavoro».
Il network di scuole “Dalla parte dei bambini” basa il suo lavoro su una consapevolezza precisa: educazione si fa ovunque e in qualunque momento. Per strada, nei boschi, nei parchi, dall’alba al tramonto. «Portiamo i ragazzi dal panettiere per studiare la chimica, dagli artigiani di quartiere per imparare la tecnica, di notte sulla spiaggia per raccontare com’è nata la costellazione dell’Orsa maggiore» racconta Furfaro. «Andiamo a raccogliere le castagne in montagna. Stiamo il più possibile all’aperto. Per noi non esistono voti o libri di testo. La questione non è più “cosa insegno ai miei alunni?”, ma “come offro ai bambini gli stimoli e gli strumenti per far emergere i loro talenti?”».
A Vo’ Euganeo negli agriturismi si apprende cos’è un’impresa green
«L’esperienza di questi mesi ci indica che si deve passare dall’insegnamento all’apprendimento» dice Dario Ianes, docente di Pedagogia e Didattica speciale all’università di Bolzano. «Apprendimento significa crescere grazie ad esperienze significative che l’alunno può fare fuori dalle aule con gli insegnanti, la comunità, la famiglia, le imprese del territorio». Secondo Ianes, questo è davvero il momento per una rivoluzione totale nel modo di fare scuola. «Bisogna avere il coraggio di cercare spazi inaspettati e ammettere che la lezione frontale è sorpassata. Ora dobbiamo creare una scuola più flessibile che esca dai libri di testo».
I cambiamenti non stanno avvenendo solo al Sud, dove la condizione di fragilità sociale dei bambini è purtroppo più diffusa. Prendiamo il caso dell’Istituto Comprensivo Lozzo Atestino, in Veneto. Una scuola con 9 plessi (infanzia, elementari e medie) che copre 70 km quadrati e 3 Comuni tra i quali Vo’ Euganeo. «Siamo stati la prima scuola d’Italia a chiudere lo scorso 21 febbraio» racconta il dirigente Alfonso D’Ambrosio «e la prima a riaprire il 7 settembre, ma in classe i ragazzi ci stanno poco».
L’Istituto Lozzo Atestino in questi mesi ha costruito patti formativi territoriali con i Comuni e le aziende del territorio: «Gli alunni quasi tutti giorni fanno lezione fuori dalla scuola: nei giardini che abbiamo trasformato in orti, negli agriturismi locali dove apprendono i processi produttivi, il ciclo di vita degli animali, e come nasce un’impresa green. In tutte le nostre scuole stiamo abolendo i voti e rivoluzionando gli spazi: non siamo un’aula, siamo un’agorà».
Dagli artigiani di Napoli ai colli veneti è importante, per fare una scuola nuova, imparare a guardare lo spazio che ci sta attorno, sfruttarlo. «L’esperienza sul campo è tutto» conclude Chiara Cassanelli. «Anche a scuola: non si può spiegare partendo da nozioni astratte. I bimbi devono imparare a imparare».
La rete delle “fuoriclasse”
Dal 2016 esiste in Italia la Rete nazionale delle scuole all’aperto, che comprende 25 istituti (www.scuoleallaperto.com). Tra i capofila, l’Istituto comprensivo 12 di Bologna dove un terzo delle ore si svolge fuori dalle aule. Nel network ci sono anche l’Istituto Giovanni XXIII di Acireale, che fa lezione nel parco “Il Bosco di Aci”, e la scuola Giuseppe Caprin di Trieste: qui la matematica si impara pedalando in bici.