C’era una volta la pagella, poi si è passati al documento valutativo o scheda personale. C’erano una volta i voti espressi in numero, che tanto facevano tremare gli alunni (ma anche preoccupare o gioire i genitori). Poi si è passati ai giudizi, ma solo fino al 2009 quando l’allora ministro dell’Istruzione, Maria Stella Gelmini, decise per il ritorno alle valutazioni numeriche in decimali. Adesso è il momento di un nuovo dietrofront. Ecco cosa cambia dall’anno scolastico 2020/2021.
Stop ai voti, tornano i giudizi
A prevedere il passaggio – anzi il ritorno – ai «giudizi descrittivi, alla scuola primaria, al posto dei voti in decimi» è il ministero dell’Istruzione con un’ordinanza firmata appena prima della fine dello scorso anno scolastico, già segnato dalla pandemia e alla chiusura delle scuole. Per non aggravare la situazione già caotica di quel momento in vista della compilazione proprio dei documenti valutativi di fine anno, si è deciso di far entrare in vigore la novità dall’anno scolastico 2020/2021. Scompaiono, dunque, i voti numerici (i classici 10, 9 8 o i più temuti 5 o 4, peraltro, nella pratica, mai assegnati alla primaria).
Al loro posto, invece, i giudizi descrittivi, che secondo gli esperti meglio rispecchiano la complessità nel dare una valutazione a bambini ancora piccoli per i quali occorre tenere in considerazione molti aspetti.
I 4 giudizi descrittivi
Gli insegnanti sono dunque chiamati a valutare gli alunni sulla base di una griglia che prevede quattro livelli:
Avanzato: secondo il documento ministeriale si tratta del giudizio riservato all’alunno che «porta a termine compiti assegnati in situazioni note e non note, mobilitando una varietà di risorse sia fornite dal docente, sia reperite altrove, in modo autonomo e con continuità»;
Intermedio: l’alunno «porta a termine i compiti solo in situazioni note e utilizzando le risorse fornite dal docente, sia in modo autonomo ma discontinuo, sia in modo non autonomo, ma con continuità»
Base: «l’alunno porta a termine compiti solo in situazioni note e utilizzando le risorse fornite dal docente, sia in modo autonomo ma discontinuo, sia in modo non autonomo, ma con continuità». Rispetto al livello precedente il bambino va stimolato a fornire risposte adeguate anche in situazioni non note e non guidate direttamente dall’insegnante;
In via di prima acquisizione: è il quarto livello in cui rientra chi «porta a termine compiti solo in situazioni note e unicamente con il supporto del docente e di risorse fornite appositamente».
Dsa e Bes
Il cambio nelle modalità di valutazione è stato motivato dal ministro dell’Istruzione, Lucia Azzolina, con l’esigenza di avere più «trasparenza». I nuovi criteri, però, terranno ugualmente conto di eventuali casi BES (Bisogni educativi speciali) o DSA (Disturbi specifici dell’apprendimento). Chi ha disabilità certificate sarà infatti valutato in base al raggiungimento dei singoli obiettivi, previsti dal Piano educativo individualizzato (Pei) o dal Piano didattico personalizzato (Pdp) nel caso dei Dsa.
Come funzionava finora
In principio i voti erano previsti da un Regio Decreto degli
anni Venti, in base al quale ad assegnarli in occasione dello scrutinio di fine
anno era il preside, dopo che i docenti avevano espresso un giudizio sul
rendimento scolastico e disciplinare per ciascun alunno. Era il dirigente,
insomma, a trasformare quelle parole in numeri. In una scala da 10
(equivalente a Eccellente) a 6 (sufficiente) si potevano trovare
fino a pochi anni fa anche sfumature espresse con + o – , oppure anche
con il ½. Successivamente, si è introdotta una differenziazione a seconda del
grado di scuola e per le elementari (oggi primaria) dal 1977 si sono introdotti
i giudici dall’insufficiente, al moltissimo, passando per sufficiente o molto,
mentre alle medie si è fatto ricorso alla scala eccellente (10 e lode), ottimo,
distinto, buono, discreto, sufficiente e non sufficiente.
È invece dal 1993 che si è tentata anche la strada delle lettere, come nel sistema statunitense (A, B, C, D, E), in qualche caso utilizzata con una certa autonomia anche alla primaria. Il vero spartiacque, però, è stato il 2009, quando la legge 169 firmata dall’allora ministro dell’Istruzione, Maria Stella Gelmini, ha stabilito il ritorno al voto in decimi. Il mondo scolastico, però, non ha mai gradito quel ritorno al passato, ritenendo il sistema valutativo numerico non in grado di tenere conto delle molte sfumature presenti nelle situazioni dei bambini più piccoli (ma talvolta anche in quelli delle medie e superiori).
Favorevoli e (pochi) contrari ai giudizi
Proprio il nuovo corso viene salutato con favore da molti esperti che finora hanno sottolineato l’esigenza di tenere conto delle difficoltà individuali degli alunni, soprattutto in un momento storico nel quale sono aumentate le certificazioni per Dsa e Bes, per non parlare di chi ha necessità del sostegno» spiega Alessandro Giuliani, direttore de La Tecnica della Scuola.
Restano però i nostalgici del voto numerico – come sono definiti dai promotori del giudizio descrittivo – che ricordano come invece il mondo anglosassone prediliga da sempre i decimi. E mentre si ricordano altri metodi valutativi, come le faccine o le stelline utilizzate in Finlandia e in altri paesi nordici ritenuti tra i migliori nel campo didattico, il dibattito rimane aperto perché in realtà i voti numerici non spariranno del tutto, almeno fino a metà anno.
Il pasticcio della valutazione a metà
A risollevare la polemica nelle scorse settimane era stata invece la presa di posizione del Capo dipartimento del ministero dell’Istruzione, che aveva ricordato come le valutazioni dovranno rimanere numeriche quantomeno nei cosiddetti “pagellini” di metà anno, le schede personali della fine del primo quadrimestre. Il motivo era legato a un passaggio del testo con cui si è approvato il ricorso ai giudizi. L’articolo 2 comma 1 del Decreto legislativo (62 del 13 aprile 2017) recepito nel disegno di legge approvato la scorsa primavera, prevede che «la valutazione finale degli apprendimenti degli alunni delle classi della scuola primaria (…) è espressa attraverso un giudizio descrittivo». La valutazione finale, appunto, non quella intermedia.
Un cavillo? Forse, ma che rischia di complicare la situazione agli insegnanti, già alle prese con la gestione dei casi Covid. «La vicenda si sta trasformando in una querelle politica. È vero che il testo non fa riferimento esplicito alle valutazioni di metà anno, ma ce n’era davvero bisogno? Sembra evidente che, scomparendo i voti dal giudizio finale, scompaiano anche da quello intermedio. Francamente ci sembra una retromarcia a metà che arriva in un momento quanto mai inopportuno, con tutti i problemi che ha la scuola, dalla mancanza di supplenti, banchi, mascherine, ecc.» aveva osservato Giuliani, alla vigilia dell’ordinanza ministeriale che invece sembra far diventare operativo il cambio di valutazione fin dagli scrutini di metà anno (salvo parere contrato del Consiglio superiore della pubblica istruzione, che non dovrebbe però opporsi).