Secondo Albert Einstein «l’arte suprema dell’insegnante è risvegliare la gioia della creatività e della conoscenza». Un compito non certo facile, a cui si unisce quello che pensava una delle voci più importanti della pedagogia italiana e non solo, quella di Maria Montessori, che sosteneva che «il più grande segno di successo per un insegnante è poter dire: i bambini stanno lavorando come se io non esistessi».
Ma come si capisce, quindi, se un insegnante riesce nel suo lavoro? Come si fa, quindi, a premiarlo? Oggi, che si sta discutendo su come incentivare i docenti, necessariamente si pensa a un aumento del loro stipendio, considerando anche che maestre e professoresse sono tra le meno pagate d’Europa. A far discutere, però, è il criterio che è stato individuato nella legge di Bilancio, cioè la “dedizione dell’insegnante”.
Cos’è la dedizione dell’insegnante?
La definizione è contenuta nell’articolo 108 del testo approvato dal consiglio dei Ministri, che tiene banco perché sarà uno dei tre criteri per determinare un ritocco alle buste paga dei più meritevoli nel corpo docenti italiani. Come si legge nel ddl, infatti, vengono stanziati fondi «Al fine di valorizzare la professionalità dei docenti delle istituzioni scolastiche statali, premiando in modo particolare la dedizione nell’insegnamento. Ma cosa significa? «Non significa nulla e infatti faremo in modo che venga cambiato: si tratta di una caratteristica non misurabile e di nessuna utilità per stabilire compensi e gratifiche ai docenti» chiarisce Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi (ANP).
Come si misura la bravura di un insegnante?
«È un argomento delicatissimo, perché anche l’idea di considerare la dedizione del docente può essere plausibile in via teorica, ma difficilmente applicabile nella realtà: come si valuta la performance di un insegnante? Qualche anno fa si era provato tramite sondaggi tra gli studenti, ma non è certo un criterio oggettivo, come non lo sono i risultati di alunni e studenti, perché sappiamo che subentrano molti fattori: i livelli di partenza di ciascuno, i contesti scolastici e le differenze geografiche, che nei casi di aree disagiate influiscono molto» premette Carlo Mazzone, professore di Benevento, tra i primi 10 finalisti del Global Teacher Prize 2020, una sorta di Nobel degli insegnanti. «Tra l’altro, giudicare gli insegnanti ai fini dell’aumento dello stipendio potrebbe avere un effetto negativo tra colleghi: si può sempre pensare che esistano favoritismi da parte del dirigente preposto alla valutazione, che può essere visto come un erogatore di benefit, ma non dovrebbe essere così. Ad essere valorizzata dovrebbe essere la figura dell’insegnante in sé, rivalorizzato» aggiunge Mazzone. Certo anche lo stipendio conta, visto che i nostri docenti sono pagati meno rispetto alla media europea.
Gli altri requisiti per valutare un insegnante
Quanto agli altri parametri per poter misurare la qualità dell’insegnamento, il ddl fa riferimento all’aggiornamento professionale, che già esiste, e alla «promozione della comunità scolastica». «Anche in questo caso è molto difficile una valutazione. Io, ad esempio, l’altro giorno sono rimasto chiuso a scuola, erano le 18 ed era rimasto l’unico a scuola, ma non è per il fatto che passo molto tempo qui che si può dire se io sia o non sia un bravo insegnante – spiega Mazzone – Noi facciamo un lavoro che necessita di umanità, passione ed energia, c’è bisogno di serenità e condivisione di intenti, sia con gli studenti che con i colleghi e il dirigente. Piuttosto, secondo me occorrono interventi differenti, che riguardano la scuola e la figura degli insegnanti in generale».
Presidi più presenti e meno classi pollaio
«Purtroppo, anche quando arriveranno, gli aumenti per gli insegnanti si tradurranno in concreto in pochi spiccioli. È un riconoscimento soprattutto simbolico. La questione, piuttosto, è investire davvero nella scuola: solo pochi giorni fa si parlava, invece, di togliere il bonus da 500 euro ai docenti, che è una cifra ridicola se spalmata sui 12 mesi. Solo di fronte a una dura reazione dei docenti si è tornati indietro» dice Mazzone, secondo cui servirebbe cambiare altro: «Sarebbe più utile tornare ad avere un dirigente per ogni plesso, perché occorre più presenza fisica costante: in molti paesi all’estero, il preside dirige la scuola e insegna, così ha una maggiore conoscenza delle dinamiche didattiche concrete e anche degli altri insegnanti, per poter premiare quelli più meritevoli. E poi bisogna ridurre il numero di alunni per classe. Per me l’ideale è 15. Se di investimenti si vuole parlare, queste credo che siano le priorità» conclude l’insegnante.
Pochi soldi e tanta demotivazione
I fondi stanziati dalla legge di Bilancio per valorizzare la professionalità ammontano a 30 milioni di euro per il biennio 2020-2021 e per ciascun anno, mentre per il 2022 saliranno a 240 milioni. Ma a cosa serviranno? Per finanziare corsi di formazione, ampliare le strumentazioni e le dotazioni scolastiche (laboratori, devices, ecc.) oppure solo per aumentare gli stipendi? «Le proposte sono tante, ma penso che dovranno essere fondi sia per la formazione, sia per gli aumenti retributivi, dal momento che gli insegnanti sono tra i lavoratori meno pagati in Italia. Non serve andare all’estero: i dirigenti scolastici hanno stipendi molto inferiori rispetto ad altri dirigenti pubblici e i docenti rispetto alla media dei funzionari ministeriali. Prima occorre equiparare le retribuzioni in Italia, poi si possono fare raffronti a livello europeo, altrimenti il personale rimarrà demotivato» dice Giannelli.