La scuola sta attraversando un momento molto difficile, soprattutto a causa dei recenti casi di violenze contro i professori, di bullismo tra studenti e con le agitazioni delle maestre d’asilo per le sentenze che mettono a rischio il lavoro di molte precarie.
Per risolvere alcune di queste difficoltà, secondo il giornalista Giovanni Floris, non occorrono altre riforme, bensì una “rivoluzione” che parta dalla testa, dalle mentalità con la quale tutti gli attori in campo devono rapportarsi con il mondo scolastico e tra di loro. “Occorre ridare valore alla scuola e agli insegnanti, che sono coloro che hanno il compito di spiegare la realtà, non solo le materie. Ridiamo loro fiducia, restituiamogli il loro ruolo, anche da un punto di vista economico, e contribuiamo tutti, genitori e studenti, a ricominciare daccapo” spiega a Donna Moderna il giornalista tv, autore del libro Ultimo Banco (Solferino Ed.).
La svalutazione della scuola
“L’ignoranza non è più un tabù”. Parte da questa considerazione Giovanni Floris, nell’analizzare cosa è successo e come è cambiata la scuola negli anni. “È in corso una svalutazione della scuola” spiega l’autore, che nel suo libro-reportage, frutto di un lungo viaggio negli istituti italiani, tra incontri con gli studenti e racconti di insegnanti e dirigenti, parte da una valutazione più generale: “La scuola è in grado di determinare il futuro di un cittadino: anche negativamente. Se non fornisce gli strumenti adeguati per realizzarsi, insegnerà la frustrazione. Se non offre modelli positivi di autorità, insegnerà il disprezzo per le istituzioni. Se non formerà il popolo, formerà il populismo” scrive il giornalista.
Proprio il declino della scuola, secondo Floris, si accompagna a quello della politica: “La scuola è importante per i cittadini, tutti i cittadini: se si toglie valore a questa istituzione e al docente – spiega a Donna Moderna – si rinuncia ad avere persone che hanno più strumenti per capire il mondo intorno a sé. Si vive male, si vota male e, se si è un politico, si guida male un paese”.
Cos’è la scuola?
“L’ignorante non si conosce mica dal lavoro che fa, ma da come lo fa”: è la citazione di Cesare Pavese scelta da Floris all’inizio del suo viaggio nel mondo della scuola, che ha una premessa: “L’ignoranza non è data dagli studi che si sono fatti, ma dalla capacità di capire il mondo. Se si studia, si hanno più armi per comprenderlo e la scuola è l’istituzione che più delle altre ha questo compito” spiega il giornalista. Ma è indubbio che la scuola stia vivendo un momento di sofferenza: “Sta andando a catafascio, ci siamo trasformati in somari”.
La colpa è di tutti
“Della tv? Dei videogame? Dei social? Delle cavallette? Io dico di tutti. Certo il web ha il suo peso, soprattutto nei casi di violenza crescente”, secondo Floris: “La rapidità e la viralità proprie dei social non giocano certo a favore degli insegnanti e basta guardare su YouTube per avere l’impressione di un’escalation di violenza, non solo verbale. È come se si fossero allentati i freni inibitori, di colpo, in ogni aula. Ragazzi che perdono la calma, professori che perdono la pazienza. La bravata in classe, poi, viene ripresa e condivisa”. “La responsabilità è collettiva. La politica, le istituzioni, gli studenti, i genitori, i professori: tutti devono aver fallito almeno un colpo” sostiene il giornalista, aggiungendo: “Ciascuno di noi ha il dovere di rimediare. E se ogni ricostruzione comincia da un necessario primo passo, in questo momento il passo deve essere fatto in favore degli insegnanti”.
Gli insegnanti sono sviliti e sottopagati
“Ho conosciuto molti insegnanti affetti dal cosiddetto burnout, la sindrome di chi non riesce più ad affrontare la quotidianità del suo lavoro. Di chi non ce la fa più. Sognavano un’altra vita, una qualsiasi, possibilmente altrove. Li ho capiti. Quando sulle tue spalle grava il peso non solo di una generazione (e di un’altra, e di un’altra ancora) ma dell’intera società, e quando quest’ultima è ingrata, è chiaro che sogni di emigrare”. Al problema del ruolo, si aggiunge quello degli stipendi: “I loro stipendi, infatti, in Italia sono mediamente tra il 10 e il 20 per cento inferiori a quelli di altri lavoratori a tempo pieno con lo stesso livello di istruzione (la situazione peggiora dalla scuola dell’infanzia alle superiori)” scrive l’autore: “In Europa, solo i docenti di Slovacchia, Grecia, Ungheria, Repubblica Ceca, Lettonia, Estonia e Polonia hanno buste paga inferiori”.
Il sistema di reclutamento è sbagliato
Anche il sistema di reclutamento grava sugli insegnanti e sulla loro età: “In Finlandia, Svezia, Norvegia, Regno Unito, Paesi Bassi, Polonia, Repubbliche baltiche e gran parte dell’Europa dell’Est le assunzioni sono libere. Il sistema è quasi aziendale: sono le scuole a bandire i posti di lavoro (per i quali gli insegnanti presentano domanda) e a gestire le assunzioni (a volte con il concorso delle autorità locali). Questi sistemi scolastici, insieme a quelli di alcuni Paesi asiatici, compaiono regolarmente in vetta alle classifiche mondiali di eccellenza”.
In Italia si “ottiene la cattedra per concorso pubblico (oceanico e difficilissimo) e così si entra in graduatoria, dopodiché, a seconda della tua posizione (quindi anche di quanto sei stato bravo al concorso, attenzione: anche) aspetti che si liberi il posto che ti porterà all’assunzione. Possono volerci mesi, o anni; puoi essere costretto a cambiare città, a cambiare vita… Insomma, se la scuola invecchia non è perché i giovani non vogliano fare i professori”.
La scuola lontana dalla realtà e dal lavoro
Un altro nodo riguarda quello che è considerato il fallimento dell’alternanza scuola-lavoro: “Io credo che voler collegare a tutti i costi la scuola al mercato del lavoro sia una strada sbagliata: può essere un percorso aggiuntivo, ma non si può ridurre la scuola a un ufficio di collocamento” dice Floris. “Il messaggio da far passare non è solo che studiare ti aiuta a trovare più facilmente lavoro ed essere pagato di più. È che studiare ti aiuta, in generale. Che ti fa bene, che rende la tua vita migliore. Nessuna scuola, sono convinto, nemmeno quella tecnica, deve servire solo a orientarti verso una professionalità”.
Bullismo, cyberbullismo e studenti “fenomeno”
Secondo Floris il presupposto per contrastare bullismo e cyberbullismo è fornire alla scuola “una gigantesca iniezione di cultura della tolleranza, “in modo che i ragazzi si abituino ad accettare e apprezzare le differenze”. Esiste, però, anche una tendenza crescente a cercare a tutti i costi il “talento” e lo “studente fenomeno”. “Attenzione quando diciamo ai ragazzi che devono avere successo. Basta con l’eccellenza. Prima impegniamoci ad alzare l’asticella della normalità” racconta Floris, convinto che anche a scuola sia arrivata la cosiddetta “ansia da protagonismo” e da successo, e che “a pomparla dalle strade, dai posti di lavoro, dalle case, fin nelle aule siamo anche noi. I genitori, terzo lato di un triangolo a volte vizioso”.
Il protagonismo dei genitori
Floris è convinto che il protagonismo di padri e madri non giovi agli insegnanti né agli studenti, a partire dai “questionari di percezione”, coi quali esprimere un parere sia sul plesso scolastico che sui docenti, come in una sorta di Tripadvisor scolastico, dove genitori e ragazzi si sentono “clienti”. “In Italia non siamo solo tutti, e in certi casi molto dolorosamente, ct della Nazionale, siamo anche tutti esperti pedagoghi. Siamo in grado di giudicare il metodo di insegnamento dei docenti dei nostri figli. C’è quello che spiega poco, c’è quella che spiega e basta, c’è quella che dà troppo da fare a casa, c’è quello che a casa non li impegna abbastanza. E il programma è lungo, il programma è corto, è stato saltato il Settecento e si è perso troppo tempo sul Settecento, che poi, questo Illuminismo è sopravvalutato, vuoi mettere il Rinascimento? Il professore è appeso al giudizio del popolo”. Il tutto amplificato dalle famigerate chat di WhatsApp, che diventano “una sorta di gogna collettiva”.
Dalla scuola alla politica
Al decadimento della scuola, per Floris, si accompagna quello della politica e dei suoi rappresentanti. “Non dovremmo pretendere solo che siano onesti e preoccupati del bene comune. Dovremmo pretendere che sappiano. E se non sanno, che studino”. Secondo il giornalista, è in corso una deriva populista, alimentata dalla ricerca di empatia da parte dei politici con la gente e i suoi problemi.
Quale soluzione?
“Di riforme ne sono state fatte tante negli anni. Ora occorre una rivoluzione, da parte soprattutto di insegnanti e studenti. I professori ritrovando l’orgoglio del loro ruolo e mantenendo la qualità del loro lavoro, gli studenti tornando a capire che il valore della scuola è il qui e ora”. Da qui anche il motivo del titolo del libro, Ultimo banco: “Dobbiamo alzarci, prendere i libri e i quaderni, lasciare il nostro posto all’ultimo banco e accomodarci al primo (…). Sediamoci là, anche a costo di fare la figura dei secchioni. Certo non basta, come non bastava allora. È solo il primo passo, perché poi il primo banco bisogna meritarselo. Tocca impegnarsi. Ma studiare è meglio di non studiare, sapere è meglio di non sapere” constata Floris, che indica il secondo motivo del titolo nell’importanza del gruppo: “Un gruppo che non recuperi l’ultimo e non inserisca il diverso è destinato a implodere. Proprio come una classe cui venga presentato l’ultimo arrivato, quello nuovo. Una ricchezza se lo accogli, un problema se lo respingi”.