Un giorno Laura, una lettrice di 28 anni, mi ha scritto: «Mi hanno lasciata perplessa le storie delle due donne che hanno scelto l’aborto, in particolare i motivi che hanno addotto (su Donna Moderna n. 23). Possibile che passi come normale, legittima, la decisione di uccidere un altro essere umano perché “un rapporto occasionale mi ha catapultata nel mondo della maternità, non ero pronta”? Quale idea si sta diffondendo? Che è giusto divertirsi e che, nel caso capitasse un “incidente” di percorso, non bisogna preoccuparsi ma grattarlo via come fosse una crosticina? Il messaggio che si sta passando è molto pericoloso: cioè che la mia vita è più importante di quella di un altro essere umano, e per difendere la mia libertà ho diritto di uccidere un essere indifeso». Le sue parole mi sono tornate in mente mentre leggevo quelle di Papa Francesco al Forum delle famiglie: «L’aborto dei bambini malati assomiglia alle pratiche naziste per curare la purezza della razza».
Sia Laura sia Francesco hanno ragione, in un mondo teorico. Poi c’è il mondo vero, quello in cui viviamo.
Dove i figli sono ancora un affare esclusivo delle madri. Dove la maternità spesso coincide con la perdita del lavoro. Dove generare un disabile significa mettere in pausa la propria esistenza, combattuti tra l’accudimento che richiede e la necessità di lavorare per sostentarlo. Essere madri, in troppi casi, è un atto eroico. E non possiamo indignarci se questo eroismo non appartiene a tutte le donne, non possiamo colpevolizzarle se “la nozione patriarcale della maternità”, per dirla con Adrienne Rich, rappresenta per loro ancora un giogo. E non solo per loro. Amy Westervelt qualche settimana fa sul Guardian osservava che: «Idee e aspettative attorno all’essere madri impattano su tutte le donne, che abbiano figli o no. Non solo chi non è madre si sente spesso chiedere il perché, ma deve anche caricarsi il peso invisibile della generale mancanza di sostegno alle madri lavoratrici. In silenzio, copre i loro congedi lavorando più del dovuto e senza essere pagata di più, ci si aspetta che sia presente alla sera e nel weekend perché non deve andare a casa a badare ai figli». No, Laura, l’aborto non è l’ennesima colpa delle donne. Ma la responsabilità di un’intera società.