Quello in edicola questa settimana è il ventesimo numero di Donna Moderna che raggiunge le edicole senza che la redazione abbia messo piede in ufficio. Da 5 mesi ci incontriamo in chat più puntualmente di quanto non facessimo dal vivo. All’inizio abbiamo imparato a conoscere le case di ognuno, i colori delle pareti, i quadri, le diverse stanze. Poi, liberi di muoverci, abbiamo iniziato ad apparire su sfondi diversi, con luci differenti, abbigliamenti sempre più informali che tradivano latitudini e altitudini di ogni angolo d’Italia. C’è chi è tornato nel paese d’infanzia, chi lavora dalla casa al mare, chi da un albergo in montagna. Ai figli si sono aggiunti nipoti e cugini che di tanto in tanto fanno capolino nelle videocall strappando sorrisi.
È la vita che ha invaso il lavoro o il lavoro che ha invaso la vita? Non lo so, di sicuro i confini sono spariti. Ma ci sono mai stati? Un tempo io pensavo di sì. A chi mi chiedeva come facessi a salvaguardare lo spazio per le mie passioni e la mia famiglia, spacciavo la formula della separazione netta. «Una volta entrata in casa, il lavoro smette di esistere» raccontavo agli altri e a me stessa. Ero sincera: le preoccupazioni professionali non sono mai state in grado di cambiarmi l’umore. Ma al tempo stesso mentivo: la cesura non è mai esistita. Perché se è vero che, tornata a casa, mi immergevo in famiglia, cucina, compiti, racconti, se è vero che mi disconnettevo per ore, è anche vero che quasi sempre riprendevo a lavorare la sera, una volta messe a letto le bambine. E se in ufficio ero solita tirar dritto, saltando pure il pranzo, di fatto staccavo appena potevo per il tempo di una corsa negli splendidi parchi là attorno. Vita e lavoro non sono mai stati due repubbliche autonome.
Roberta Benedetti, una manager che ammiro molto perché ha compiuto il miracolo di gestire un team internazionale dall’estero con due figli piccoli rimasti in Italia, ha dato un nome semplice a questa pratica empirica: pianificazione. Che non significa divisione rigida degli spazi, ma organizzazione quotidiana degli stessi.
Silvia Zanella questa cosa l’ha spiegata nell’ultimo libro che ha scritto. «La vera sfida è integrare vita e lavoro» mi ha detto. «Considerarli un tutt’uno nelle nostre giornate e stabilire volta per volta il gradiente da dare all’una o all’altro». Sembra teoria, ma pensateci bene. Significa svegliarsi e disegnare ciascuna giornata nel modo che ci faccia stare meglio possibile.
Per poterlo fare, occorre avere un capo che non ci bombardi di urgenze quotidiane e che ci permetta di pianificare per tempo i nostri obiettivi. Il che implica una trasformazione culturale straordinaria nelle aziende. Ma mentre aspettiamo che essa avvenga, possiamo allenarci a prendere la regia delle nostre giornate. A diventare abili designer delle nostre piccole felicità quotidiane. Così, dice Silvia Zanella, si diventa imprenditori di se stessi. Ma, soprattutto, il lavoro smette di identificarci. Ed è il regalo più bello che possiamo fare a noi stessi in questo periodo storico.