Ho seguito uno spaccato della trasmissione “Amici”, andata in onda alcuni giorni fa, in cui appariva una ragazza giovane e bella, con un aspetto leggerissimamente florido, che veniva scartata dal progetto del programma, considerata non fisicamente idonea per fare la ballerina.
Il problema è che, a discesa, il discorso è slittato sulla fisicitá, sull’importanza dell’aspetto e, fra le righe, è arrivato il solito inno alla ragazza senza taglia, alla modella taglia invisibile.
E, purtroppo, se pensiamo agli adolescenti, arriva un messaggio molto più subdolo di quello, che, immediatamente, prende forma, ovvero di una sorta di istigazione, non verbalizzata e sicuramente non voluta, all’anoressia.
Io faccio parte dell’esercito che si rispecchia nell’altra faccia della medaglia, ovvero della schiera degli obesi. Ma essendo stata, prima di esplodere, una ragazza delle misure di quella indicata con sufficienza e poca delicatezza come sovrappeso, io mi sono riconosciuta.
Forse, e sottolineo forse, io non sarei arrivata a diventare una grande obesa, non sarei arrivata a una 64, se, con un peso ragionevolissimo, non fossi stata attorniata da persone, in primis mia madre, che sostenevano l’importanza della taglia 40.
Forse, e dico forse, non avrei visto il mio corpo come una trappola, lo avrei magari anche amato e non avrei avvertito ogni commento sulla mia fisicità come un commento sulla mia persona, in senso ampio.
Ora io non posso certo affermare che ogni storia sia la mia storia, ma, in menti fragili, in soggetti delicati in quella fase di crescita, è possibile che i risvolti possano diventare gravi. È possibile, non certo, ma se mi additi come sovrappeso, come tale io mi sentirò e, come tale, mi smonterò come un pessimo soufflé.
E se un giudice vede il mio limitatissimo esubero di peso come condizione determinante del mio futuro come ballerina, ma me lo espone come un problema di aspetto, in realtà mi sta inviando una notifica lapidaria: non solo non potrò mai fare la ballerina, ma lo tradurrò in un: “non mi merito nulla, io sono grassa.”
E ho 5 kg di troppo, forse neppure cosí tanti. Ma sono stata classificata in una categoria ben precisa: il diverso. Dove la parola “diversitá” non viene mai letta come un allontanarsi dal pensare e vivere come capre, ma solo come un “tu non sei giusta per questo mondo perfetto”.
D’accordo: il mezzo televisivo esigeva un caso clamoroso, voleva la sua sceneggiata mediatica, ma la realtá è forse cosí diversa? No. Io ero quella giovane taglia 44 che guardava vestiti in un negozio e la cui mamma sospirante, brandendo una 40, affermava: “Guarda che bell’abitino, peccato non ci sia la taglia per te.”
Peccato che non ci fosse un mondo per me, peccato aver scoperto tardi che, invece, esisteva: ero io il mio mondo.