Amori, disamori e catastrofi del cuore ai tempi di social e smartphone. Per dimostrare un adulterio, in una causa di separazione, non è sufficiente una foto allusiva. Uno scatto non è ritenuto una prova inattaccabile nemmeno se immortala il presunto amante della moglie steso a torso nudo nel letto di lei. Lo ha stabilito di recente la Corte d’appello dell’Aquila, con una sentenza divulgata dal Sole 24 Ore. Le fotografie prodotte in giudizio dal marito, il coniuge che si è sentito tradito, secondo i giudici non mostrano alcun atteggiamento intimo e di particolare vicinanza tra la consorte e il potenziale rivale. Sono ambigue. Si prestano a spiegazioni alternative. Non possono confermare con certezza l’esistenza di una relazione extraconiugale. Per questo la colpa della separazione – l’addebito, nel lessico giuridico – non è stata attribuita alla protagonista della vicenda.
Gli scatti ambigui non sono prove
La Corte d’appello – come precisa il quotidiano economico milanese – ha confermato la sentenza di primo grado del Tribunale di Pescara e si è allineata all’orientamento generale in tema di addebito: la rilevanza del tradimento nelle cause di separazione è riconosciuta solo quando sia effettivamente dimostrato che abbia avuto un ruolo determinante nella crisi coniugale. Le foto (o i selfie) non possono di per sé dimostrare un rapporto intimo con la persona con la quale vengono scattati, né rappresentano un’offesa alla dignità dell’altro coniuge.
L’esperta: l’infedeltà va documentata
Conferma Katia Lanosa, vicepresidente nazionale dell’Ami, l’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti italiani: «La decisione dei giudizi abruzzesi si pone nel solco di una consolidata giurisprudenza. Si può procedere all’addebito della separazione solo se vengano fornite prove rigorose in relazione alla violazione degli obblighi coniugali e se la trasgressione sia davvero grave e pregiudizievole per il matrimonio. Inoltre l’infedeltà non dà luogo all’addebito della separazione se non è stata la causa della crisi coniugale, ma la conseguenza di una crisi già in atto. Le ricadute economiche non sono di poco conto. Il coniuge cui viene contestata la colpa perde il diritto al mantenimento, ma non agli alimenti se versa in condizioni di difficoltà, e pure i diritti successori su beni mobili o immobili, e quindi denaro, titoli e casa di proprietà dell’altro partner».
Difficile dimostrare il tradimento
E i selfie, quelli apparentemente eloquenti? «Una foto non basta, concordo con i giudici. Un tradimento – sempre parole dell’avvocata Lanosa – è difficile da dimostrare. Una fotografia “ambigua” che ritrae due persone insieme non può essere considerata prova rigorosa se non ritrae alcun atteggiamento intimo e di particolare vicinanza tra le parti, idoneo ad attestare l’esistenza di una relazione extraconiugale. Discorso simile per un soggetto seminudo immortalato nel letto altrui. La posa osé potrebbe essere uno scherzo, una scommessa, una intrusione non voluta. Il fatto che un testimone dichiari che uno dei due coniugi ha intrattenuto una relazione extraconiugale – altra situazione possibile e non rara – secondo la giurisprudenza prevalente è del tutto ininfluente, se ad esso non viene collegata anche la prova che sia stato proprio questo comportamento a generare la crisi dei coniugi».
Attenzione all’uso dei social
Premesso questo, l’uso incauto e imprudente dei social network può fare la differenza davanti ai giudici. «Se da un lato fotografie, status e messaggi pubblici possono servire a livello indiziario ma non bastano a ritenere comprovata una relazione adulterina – spiega ancora la vicepresidente dell’Ami – dall’altro possono aiutare a ricostruire le capacità economiche e patrimoniali del soggetto che, preso dalla smania di apparire, posta immagini che lo ritraggono in ristoranti di lusso, vacanze o fine settimana da favola, con evidenti conseguenze anche dal punto di vista fiscale. Nel momento in cui si pubblicano informazioni e immagini sulla pagina dedicata al proprio profilo personale, o in altre pagine aperte, si accetta il rischio che le stesse possano essere condivise e portate a conoscenza anche di persone al fuori della cerchia delle “amicizie” accettate dall’utente. Il che le rende conoscibili da terzi, per il solo fatto della pubblicazione, ed utilizzabili anche in sede giudiziaria per chiedere l’addebito alla controparte o per definire l’ammontare dell’assegno di separazione».
Alcune mogli, ad esempio, hanno scoperto su Facebook che i mariti (in realtà padri di famiglia) si spacciavano per scapoloni d’oro, senza figli, disponibili per flirt e avventure. Altre hanno visto immagini, apparentemente neutre, che indicavano dove il consorte si trovava davvero il tal giorno alla tal ora, anche perché a volte la data e il momento dello scatto vengono riportati in un angolo della foto. «Abbiamo avuto anche casi di uomini che dichiaravano redditi da fame, per non pagare il mantenimento, e poi condividevano video o foto di viaggi frequenti e in posti da sogno, segnali di una ricchezza celata alla partner e anche al fisco».
Cyber caccia agli adulteri
I tradimenti sono materia di cui si occupano, da sempre, anche i detective privati. La rivoluzione tecnologica – con l’avvento di internet, social, smartphone, sistemi di messaggistica istantanea, email, navigatori, geolocalizzazione e via elencando – ha cambiato pure il loro modo di lavorare, oltre al costume e alle abitudini di tutti. Racconta Vincenzo Francese, dirigente della divisione investigativa della Axerta, società storica del settore. «Stabilire le responsabilità di un tradimento durante il matrimonio non è certo cosa semplice, perché spesso moglie e marito tendono ad incolparsi reciprocamente per trovare ragione agli occhi di un giudice. In fase di separazione risulta di vitale importanza riuscire a stabilire con esattezza le motivazioni che hanno i coniugi a compiere uno o più atti di adulterio, sempre che ci siano stati e vengano dimostrati. La prima cosa da definire è se il tradimento si è rivelato come la causa della crisi stessa o se è stato solo la sua conseguenza. Questa differenza permette al giudice di decidere innanzitutto se imporre l’addebito della separazione al coniuge che ha tradito, che si troverà a dover sostenere le spese processuali solo nel caso in cui il suo tradimento abbia effettivamente fatto entrare in crisi il matrimonio. La presenza di prove concrete a favore di uno piuttosto che dell’altro coniuge, purché si tratti di riscontri solidi, può semplificare e di molte le cause».
Sconsigliato il fai da te
I modi per arrivare all’obbiettivo – acquisire “pezze d’appoggio” da portare in tribunale – sono mutati. Sostiene Francese: «Per stare al passo con i tempi abbiamo aperto una divisione ad hoc, dedicata alle indagini nel mondo digitale. Il modello di detective privato tradizionale, da film in bianco e nero, è superato da tempo. Adesso abbiamo i cyber investigatori, addestrati per scandagliare social, siti e deep web e trovare prove con tutti gli strumenti tecnologici disponibili e nelle forme previste dalla legge». Il fai da te, per chi si sente tradito, è sconsigliato da lui e da altri addetti ai lavori. «Il coinvolgimento emotivo – dice Francese – non aiuta. Affidarsi alle agenzie specializzate ha un costo, ma porta a risultati concreti e inoppugnabili. Comporta l’intervento professionale di personale specializzato, in grado di mantenere un atteggiamento terzo e distaccato, capace di vagliare gli indizi giusti al momento giusto e di raccogliere elementi concreti da presentare in fase processuale».
Attenzione ai rischi e alle ritorsioni
Rubare le password a un coniuge o entrare di nascosto in un computer lasciato acceso, per scaricare file sospetti o copiare mail o foto compromettenti, può costare caro. Si rischia di passare dalla parte del torto e di essere denunciati e perseguiti penalmente. «Un conto è scaricare o stampare la pagina Facebook di un comune amico, con le informazioni e i post – riguardanti il partner – che interessano. Un conto è accedere illegalmente ai contenuti del pc o dello smartphone del marito o della moglie».