Sono arrivata in Senegal a pochi giorni dall’insediamento del nuovo presidente Bassirou Diomaye Faye. È il quinto democraticamente eletto dal 1960, data d’indipendenza dalla Francia, e il più giovane di sempre. Di origini contadine e con una laurea in Legge, ha stracciato al primo turno il presidente uscente Macky Sall, promettendo lotta alla corruzione, rilancio dell’economia locale, promozione dell’istruzione, incremento dell’occupazione giovanile. Ma soprattutto proponendosi come candidato del cambiamento.
Video Alberto Rinonapoli
Senegal: i giovani alla guida del cambiamento
Un’istanza sentita con urgenza in particolare dalle nuove generazioni, il gruppo numericamente più rappresentativo della Nazione e il più esposto agli stimoli che arrivano dal web. In Senegal il 60% della popolazione ha meno di 25 anni, la metà di chi abita l’intero continente non supera i 20. Immaginate lo choc, per una che viene da uno dei Paesi con il più alto indice di vecchiaia (l’Italia è al secondo posto dopo il Giappone), di entrare in contatto con la società più giovane del Pianeta.
È come se l’aria vibrasse di vita. Ci sono giovani ovunque. Sciami di scolari che trascinano lo zaino all’uscita della scuola sotto un sole assassino; grappoli di ragazze che ridono tra loro lasciando intravedere dentature bianchissime sotto i foulard colorati; poco più che maggiorenni che sgommano sulle moto o ingannano il tempo guardando lo struscio dei passanti lungo le strade; bambini che rincorrono il pallone su campetti improvvisati di polvere ed erba. Il 22% sono adolescenti, tra i 10 e 19 anni. È su di loro che il governo ha deciso di investire per mettere il turbo alla trasformazione. Una generazione strategica per impiantare semi di futuro e far germogliare una nuova cultura che, senza rinnegare il buono delle proprie tradizioni, si apra al progresso, abbattendo stereotipi e vecchi retaggi.
Per questo dal 2013 la Ong Amref lavora sul territorio, in collaborazione con i ministeri della Salute, della Gioventù e dell’Istruzione, per promuovere una corretta nutrizione, migliorare la salute sessuale e riproduttiva, abbattere antiche consuetudini che legittimano la violenza di genere, affidando alla meglio gioventù il compito di parlare ai propri pari. È su questi pilastri che si basa il progetto Girls. Choice. Future, finanziato dalla presidenza del Consiglio dei ministri con l’8×1000 dell’Irpef, che ho avuto l’occasione di conoscere sul campo in Casamance. Una missione condivisa con Sofia Viscardi, ambassador della Generazione Zeta e ponte ideale tra due mondi all’apparenza lontani e invece più vicini di quello che sembra.
Senegal: le sfide da vincere
La prima tappa del nostro viaggio è Goudomp, capoluogo dell’omonimo dipartimento nella regione di Sédhiou, uno dei distretti più poveri di quest’area schiacciata tra il Gambia e la Guinea-Bissau, dove il tasso di adolescenti s’impenna sopra la media nazionale, toccando il 57% della popolazione locale. Ci arriviamo dopo un giorno a Dakar e diversi imprevisti, tra ritardi dei voli e valigie recuperate il giorno dopo grazie a provvidenziali reti di parentele e conoscenze.
Mi bastano le prime 24 ore per capire che la prima dote da collaudare in Africa è la pazienza. E un certo fatalismo. Inshallah, “sia fatta la volontà di Dio”, è la parola magica che smorza sul nascere nervosismi e intemperanze, lasciando che le cose si risolvano da sé. Un miracolo che, contravvenendo alle più cupe aspettative, si ripete sempre. Se intorno alla capitale il paesaggio era roccioso e arido, qui in Casamance è un susseguirsi di foreste e di risaie, alberi da frutta e baobab giganti, una natura primitiva e rigogliosa, attraversata da un fume imponente, che attrae turisti ma non solleva i suoi abitanti sopra la soglia della sopravvivenza.
Dopo un primo incontro con i rappresentanti locali del ministero dell’Educazione, l’appuntamento è con Awa Sow, direttrice del CDEPS (Centre départemental d’éducation populaire et sportif) e coordinatrice dell’uffcio per l’adolescenza di Goudomp. Ha 25 anni, grandi occhiali che danno autorità ai lineamenti gentili e un piglio deciso. Le sfde da affrontare nel suo distretto, dice, sono molteplici e partono dai più piccoli. «Molti bambini alla nascita non vengono censiti, perdendo senza saperlo diritti e identità. Non possono ricevere cure mediche né iscriversi a scuola o fare esami. Di fatto, per lo Stato non esistono. E più vengono esclusi dal “sistema”, più la malerba delle false credenze e del pregiudizio prolifera. Per questo il primo obiettivo dei Centri per la gioventù è sconfiggere l’ignoranza. L’unico modo per dare alle persone valore e dignità». Cominciando dalla fasce più deboli, ovvero le ragazze. E dai bisogni fondamentali, come l’alimentazione.
Stop alla malnutrizione
Quando si parla di denutrizione in Africa, di solito si pensa ai bambini e alle mamme, sottovalutando le esigenze del corpo che cambia durante la pubertà, soprattutto femminile. In quest’area il 15,7% delle donne in età riproduttiva risulta sottopeso e il 52,6% è anemico. Non solo per via di una dieta povera e poco diversificata, ma anche per un fabbisogno maggiore di certi nutrienti nei giorni del ciclo o durante i mesi di gestazione, che qui spesso avviene prima della maggiore età. Ecco perché l’educazione alimentare non può prescindere da quella sessuale e riproduttiva.
Nessuno in famiglia spiega alle ragazze come evitare di restare incinte o cosa fare quando arrivano le mestruazioni. Le scarse condizioni igieniche, il costo elevato degli assorbenti, la vergogna e la paura di essere derise e bullizzate quando c’è il flusso portano molte di loro ad abbandonare la scuola o a seguire gli studi in modo discontinuo. Alimentando quel circolo vizioso di analfabetismo culturale e sottomissione che lascia campo libero a gravidanze indesiderate, matrimoni precoci e mutilazioni genitali, l’altra grave piaga di questo Paese.
Senegal: piccole attiviste crescono
I CCA (Centre conseil adolescent), ci spiega Awa, sono luoghi in cui le ragazze possono parlare liberamente e imparare ciò che nessuno altrove gli insegna. «Noi siamo in una zona di etnia mandinga in cui l’escissione è una pratica ancestrale. Tante ragazze ancora oggi la subiscono. La pressione sociale è molto forte e non è facile opporsi. A volte sono le stesse tagliatrici a chiedersi se sia giusto eseguire la mutilazione, ma è la loro unica fonte di sostentamento e, anche se ne riconoscono la brutalità, la portano avanti per sopravvivere».
«Possibile che le nuove generazioni digitalizzate accettino questo sopruso senza fare resistenza?» chiedo. «Molte ragazze si ribellano, ma sono spesso sole contro la famiglia e la comunità. Tra i nostri compiti c’è quello di istruire giovani leader capaci di dialogare con loro e con gli adulti di riferimento, organizzando incontri e visite a domicilio. L’unico modo per abolire questa pratica è far capire che è sbagliata e che causa traumi fisici e psicologici difficili da superare. Facciamo il possibile per sensibilizzare su questo tema».
Appeso al muro c’è un calendario con i giorni e i mesi degli incontri. Si discute di violenza e stupro, matrimoni precoci, igiene mestruale, escissione… Materie che neppure la più evoluta delle nostre scuole si sognerebbe di insegnare. E men che meno di affidare a giovani donne dai 13 ai 20 anni.
Le campionesse di Amref
Accanto ai formatori adulti, infatti, sono una serie di ragazze “scelte” che si fanno carico di istruire ed educare le coetanee. Sono le “Champions” di Amref. Adolescenti che si sono distinte per impegno e partecipazione alla vita comunitaria e che vengono segnalate dalle scuole, quindi formate per diventare divulgatrici e “role model” per le altre. Alcune di loro ci accolgono nelle loro case e ci raccontano quello che fanno. Ndéye Khady Marèna è la più loquace. Ha 16 anni e una faccia da prima della classe. Da grande, dice, vuole fare l’ingegnera. Nella sua famiglia le ambizioni volano alto – la sorellina, 10 anni, punta alla Presidenza della Repubblica! – e la cultura è tutto. Ce lo precisa orgoglioso il padre, che è assistente del prefetto e non resiste al bisogno di dire la sua mentre la figlia ci spiega cosa prevede il suo ruolo di “campionessa”.
Non solo dare informazioni di base su igiene e nutrizione, ma anche scardinare credenze e convinzioni, contro il corpo delle donne, che si tramandano di generazione in generazione. Nella sua famiglia nessuna è escissa, ma tante sue compagne sanno che sarà quello il loro destino. Sta a lei far capire che è loro pieno diritto rifiutarsi. «L’escissione è un crimine a tutti gli effetti» le fa eco il papà. «Ma finché si continua a coprire chi la pratica e a non applicare le sanzioni previste, è impossibile sconfiggerla».
Lotta all’escissione
Anche se la mutilazione genitale in Senegal è vietata per legge, ancora resiste in tante zone rurali, con la complicità della comunità e dei parenti. Spesso la “tagliatrice” è in casa: una nonna, una mamma, una zia… Tutte in qualche modo vittime di una tradizione che non ha radici religiose, ma che vede nella rimozione parziale o totale dei genitali esterni il lasciapassare di purezza e remissività che viene richiesto alle donne al momento del matrimonio.
Rifiutare questa pratica significa mettersi contro tutta la famiglia, addirittura condannarla al carcere, in caso di denuncia. Per questo è così difficile sradicarla. L’Oms stima che abbiano subito l’escissione più di 200 milioni di donne nel mondo e che 3 milioni di giovani sotto i 15 anni siano a rischio ogni anno. Quello che fa Ndéye, insieme alle altre Champions, è aiutare queste ragazze ad aprirsi e spezzare la catena di omertà e violenza. Non basta intervenire sul singolo, bisogna fare una comunicazione intergenerazionale.
A volte ci vogliono mesi, perché il tema è sensibile e va affrontato con tatto. Ma i successi non mancano e restituiscono senso e motivazione al lungo lavoro che queste giovani attiviste fanno. Ndéye e le sue sorelle non sono state escisse grazie al padre. È lui che ha interrotto una consuetudine, che nella famiglia della moglie, di origine mandinga, era ineludibile. In Senegal circa il 20% delle donne subisce la mutilazione genitale, molto dipende dall’etnia di appartenenza, perché ognuna ha il proprio bagaglio di credo e abitudini. Quelle più conservatrici arrivano a portare le bambine nei paesi vicini per fare l’escissione, aggirando la legge. Il ruolo del contesto e della famiglia, nel bene e nel male, è fondamentale.
Il ruolo degli uomini
Ce lo confermano le storie delle altre “campionesse” che andiamo a visitare nel corso della giornata, tutte circondate durante la nostra chiacchierata da padri, madri, sorelle, fratelli, nonne, zie. Il compito degli uomini, ci dicono tutte, non è da poco. Al CCA di Kolda, in cui ci rechiamo il giorno dopo, i ragazzi si mischiano alle ragazze e battono con loro le mani mentre un coordinatore ripete in coro il refrain di una canzone che fa “Je suis forte, oui c’est vrai!”, “Je suis dynamite, oui c’est vrai!”.
La lotta alle ingiustizie e agli stereotipi di cui si nutre una cultura ancora fortemente maschilista passa anche dalla presa di coscienza del proprio valore e dall’empowerment. Ne è un esempio Adrien, 17 anni, che quando la canzone finisce prende la parola per spiegare alla platea di ragazze in ascolto cosa sono le mestruazioni e come comportarsi quando arriva il ciclo. Ha con sé un kit che comprende una saponetta, bicarbonato, slip e assorbenti di stoffa lavabili. A fine lezione, ognuna avrà il suo “necessarie”, chiuso in una sacchetta di stoffa wax da portare a casa.
Adrien, una leader fatta e finita
Mi fermo a parlare con lei, al termine dell’incontro, mentre le partecipanti si stringono intorno a Sofia attratte dagli occhi azzurrissimi e dai modi affabili: si scambiano contatti, le chiedono selfie. Sono rimasta stupita dalla proprietà di linguaggio e dalla spigliatezza di Adrien, ha tratti da bambina ma la consapevolezza di un’adulta. Una vera leader. Anche lei è stata selezionata tra le migliori del suo liceo e ha seguito, nell’ambito della formazione, corsi di leadership e public speaking. Il suo compito è girare per le classi e sensibilizzare gli studenti sui temi della salute e dell’uguaglianza.
«Ci muoviamo in gruppi di 10» mi spiega. «5 ragazze e 5 ragazzi, per rispettare la parità di genere e perché i maschi sono parte attiva del cambiamento. È impossibile sconfiggere la cultura patriarcale se gli uomini non si assumono le loro responsabilità». Il suo sogno, da grande, è diventare medico e portare avanti le sue battaglie per vedere finalmente rispettati i diritti delle donne. La confronto alle sue coetanee italiane, e penso che avrebbero molto da imparare. Le ingiustizie che lei combatte nel suo Paese sono diverse per forma e gravità, ma simili nella sostanza a quelle che scontano le ragazze in tutto il mondo. Adrien ha imparato a farsi sentire e a dare voce a chi non ce l’ha. Sa che il futuro è tutto da scrivere. E non c’è tempo da perdere.
Più sane, più forti: l’empowerment comincia dalla dieta
Secondo l’OMS, l’adolescenza è un momento chiave dello sviluppo umano, la fase in cui avviene
la maturazione fisica, emotiva, sociale e sessuale, tanto più importante per le femmine, che non solo
diventeranno madri ma che sono più a rischio malnutrizione rispetto ai coetanei maschi. Perciò
Amref ha sviluppato, con il ministero della Salute e la collaborazione di quello dell’Istruzione, il progetto
Girls. Choice. Future (finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri – 8×1000 dell’Irpef a Diretta
Gestione Statale) – basato su un approccio integrato Nutrizione e SRAJ (salute riproduttiva di adolescenti
e giovani), nella Regione di Sédhiou, una delle più povere, dove si è registrato negli ultimi anni un
boom di parti precoci e conseguente abbandono scolastico femminile. L’iniziativa coinvolge oltre 40.000
adolescenti di scuole primarie e secondarie e si avvale del supporto delle famiglie, dei Teen Health Clubs
scolastici, di 300 Champions e di operatori formati.
L’obiettivo è informare sui benefici di una dieta corretta, garantire l’accesso a un’alimentazione diversifcata e di qualità, sensibilizzare sull’importanza della salute sessuale e riproduttiva e sulle buone pratiche igieniche. Il tutto con azioni concrete. Ovvero: corsi di educazione sanitaria e nutrizionale; distribuzione di pasti alle ragazze vulnerabili e integrazione di micronutrienti (acido folico, ferro e vitamine); installazione di strutture igienico-sanitarie e punti d’acqua per prevenire infezioni e invogliare le ragazze a frequentare la scuola nei periodi sensibili; produzione di farine e alimenti sani, col coinvolgimento di micro imprese del territorio.
L’associazione ha infatti avviato un partenariato con agricoltori locali in grado di produrre e trasformare alimenti ad alto valore nutrizionale da destinare alle famiglie più povere, in particolare quelle che si prendono cura delle adolescenti. Molte di queste imprese sono a conduzione femminile. Come quella di Diadia Balde, che da 12 anni trasforma i prodotti locali e crea nuove farine arricchite con materie prime a chilometro zero (riso, mais, niébé, arachidi). Oggi ha una decina di dipendenti e un negozio nel centro di Kolda, che rifornisce tutta la zona. «I vantaggi di incrementare la produzione locale sono duplici» ci spiega. «Supplire al crollo delle importazioni e al vertiginoso aumento del prezzo del grano che arriva da Russia e Ucraina, incoraggiando l’autosuffcienza alimentare del Paese; fare educazione nutrizionale, incoraggiando i giovani a privilegiare cereali e vegetali autoctoni, ricchi di nutrienti, contro il cibo spazzatura di produzione industriale».
Foto Alberto Rinonapoli