Going flat. È il movimento nato negli Stati Uniti composto da donne che non hanno voluto la protesi dopo l’intervento di mastectomia radicale, vale a dire, di asportazione del seno. Le ragioni? Molte, come raccontano loro stesse. Di sicuro, il rifiuto di altri interventi chirurgici necessari per la ricostruzione. Chi non attraversa questo dramma, infatti, non può rendersi conto della sofferenza necessaria prima di arrivare all’inserimento delle protesi: interventi, alto rischio di infezioni, drenaggi. Mesi (e a volte addirittura anni) di visite e controlli prima di avere un nuovo seno. Sicuri che ne valga davvero la pena?
Le foto di queste donne coraggiose e controcorrente, intanto, hanno fatto il giro del mondo.
Le immagini, inutile dirlo, colpiscono al cuore, per il coraggio e l’umanità che trasmettono. Quante donne avrebbero scelto di farsi fotografare così? Eppure, la decisione di queste pazienti potrebbe diventare quella di molte altre, anche in Italia (in parte lo sta diventando, come raccontiamo qui). Da noi è normale, scontato che dopo un tumore al seno si passi attraverso la ricostruzione. Ma se ci pensiamo, quante di noi sono davvero a conoscenza di tutto ciò che comporta questa serie di interventi (perché sì, si tratta di più operazioni)? Quante di noi sanno cosa avviene dopo un’operazione come la mastectomia? Sappiamo sicuramente in cosa consiste l’intervento di rimozione del tumore, alcune di noi magari ci sono passate, altre hanno o hanno avuto un’amica o una donna vicina che ha subito questo trauma. Ma su tutto ciò che avviene dopo, in genere cala un silenzio assordante.
Si può scegliere di non mettere le protesi?
Eppure, si può scegliere di non mettere le protesi. La possibilità esiste ed è contemplata dai medici, anche se poco consigliata.
«La mastectomia senza ricostruzione è fattibile», dice Alberta Ferrari, chirurga senologa al Policlinico San Matteo di Pavia. «E’ una scelta inconsueta, certo, che però i medici hanno il dovere di accettare senza stigmatizzazione. Anch’io mi sono trovata spiazzata quando una mia paziente mi ha comunicato la sua decisione. Però l’ho rispettata. L’importante è sempre la serenità della donna».
A conti fatti, però, le pazienti raccontano che i medici in genere “pilotano” la scelta sulla protesi. E che le donne stesse, se avessero saputo le controindicazioni del post mastectomia, e se potessero tornare indietro, rivedrebbero la loro decisione. Lo raccontano nelle sale d’aspetto degli oncologi e su un blog che è diventato la loro voce, Afrodite K.
Alcune, poi, ci hanno contattato in redazione. Come la signora che (ci scrive) ha deciso «di togliere le protesi al terzo tentativo di inserimento fallito. Mi hanno tagliato troppa pelle sul torace e avevo perfino difficoltà ad alzare le braccia. Così sono stata operata di nuovo e mi è stato inserito nuovo tessuto prelevato dall’addome. Ma anche così non ha funzionato, per cui adesso sto valutando di togliere la protesi». Oppure un’altra paziente racconta di aver dovuto fare la radioterapia che, “cuocendo” pelle e tessuti interni, aveva provocato delle aderenze, per cui si rese necessario un altro intervento.
Oppure ci sono le giovani che, di fronte a una mastectomia monolaterale, decidono di sottoporsi all’intervento anche per il seno sano. «Sono sempre poche, e questo va sottolineato», continua la dottoressa Ferrari. «Ma chiedono la bilaterale per simmetria. C’è una frase di una blogger italiana “Going flat” che cito quando devo spiegare questa filosofia di pensiero: la simmetria non è solo due seni, ma anche l’assenza contemporanea dei due seni».
Perché il movimento Going flat nasce in America?
Nelle loro dichiarazioni, alcune delle fondatrici del movimento americano sottolineano che talvolta è una scelta dettata da questioni economiche. Negli States, si sa, l’assistenza sanitaria è coperta dalle assicurazioni, diverse a seconda della persona: chi paga di più, ha sicuramente un trattamento di qualità maggiore. E quindi, non tutte le donne possono permettersi la ricostruzione, magari doppia. Da noi la situazione è per fortuna diversa e la protesi mammaria in caso di mastectomia radicale per tumore, è “passata” dal Servizio Sanitario Nazionale. «Il nostro obiettivo resta comunque quello di garantire la migliore ricostruzione possibile», conclude l’oncologa. «Pertanto, alla donna spieghiamo i pro e i contro delle varie opzioni, per permetterle di fare la scelta in tranquillità».
Non sempre però tutto avviene così. Spesso, ci scrive un’altra paziente, «prima di fare la mastectomia non viene spiegato bene a cosa si va incontro. Io, per esempio, ora mi ritrovo con una dolorosa infiammazione provocata dall’espansore, che va tolto. E i medici stessi discutono tra loro se sia il caso di inserire subito la protesi o lasciare invece il tessuto “a riposo”, prima di metterla. Io appunto sto valutando di non metterla proprio, di togliere questa specie di seno che il mio corpo non accetta e di restare “flat”. Il problema è che è una decisione irreversibile perché la pelle viene tagliata».
Perché i medici italiani consigliano le protesi?
Optare o meno per la protesi è una decisione che dipende anche dal tipo di seno e dal rapporto con la propria femminilità. «L’assenza di una delle due mammelle, se la taglia è importante, provoca sbilanciamenti nella postura e dolori di schiena e alle spalle», spiega Adriana Bonifacino, Responsabile Unità di Senologia, Policlinico Universitario S. Andrea di Roma. «A questo si può aggiungere l’impatto psicologico dato dalla mastectomia e il rischio di depressione. Proprio per arginare il trauma da mastectomia, si cerca di far uscire le pazienti dalla sala operatoria già con l’espansore leggermente gonfio».
Cosa succede subito dopo la mastectomia e prima dell’inserimento della protesi?
A fine intervento viene inserita una sorte di protesi provvisoria in silicone (chiamata appunto espansore): una specie di palloncino che viene collocato sotto il muscolo pettorale. La paziente tiene due tubicini per il drenaggio per qualche settimana e poi i medici a poco a poco (nel corso di 3 o 4 sedute a distanza di 10/15 giorni) gonfiano l’espansore con la soluzione fisiologica: in pratica utilizzano una siringa, che inseriscono nella valvolina di cui è dotato l’espansore. Tutto ciò è necessario affinché pelle e muscolo pettorale si allunghino per contenere la protesi definitiva. Ottenuto il volume desiderato si interrompe “il gonfiaggio” e si aspetta – normalmente dai 12 ai 18 mesi – prima di sostituire l’espansore con la protesi definitiva, anch’essa in silicone, che sarà più morbida e meno fastidiosa.
Dopo l’intervento di mastectomia, quindi, ci vuole tempo prima di tornare ad avere un seno simmetrico, cioè simile a quello non operato. In alcuni casi, poi, l’espansore provoca infiammazioni, che ritardano l’inserimento della protesi. Oppure può essere necessario seguire anche cure specifiche, come la chemioterapia o la radioterapia. Un percorso che in genere ci si immagina lineare, ma che spesso invece è accompagnato da sofferenza e profondi conflitti interiori.
Ci sono soluzioni alternative alla protesi e al flat?
La protesi oggi non è più l’unica opzione. La ricerca ha fatto enormi passi avanti nell’ambito della chirurgia plastica. «Una delle possibilità è la ricostruzione mediante lipofilling. Si tratta dell’iniezione di tessuto adiposo centrifugato della stessa paziente», spiega la professoressa Bonifacino. «Un’altra alternativa è la ricostruzione con il lembo DIEP, che consiste nell’uso di un’ellisse di grasso addominale, ed eventualmente di cute, sotto all’ombelico. Il vantaggio è che sono soluzioni permanenti, a differenza delle protesi che dopo 8-13 anni in genere vanno sostituite. In ogni caso, soprattutto negli interventi che necessitano di impianti con tessuto adiposo, è necessario sempre il consulto dell’oncologo iperché il grasso contiene cellule staminali, quindi potrebbe non essere sempre indicato».
A quali centri occorre rivolgersi?
«I punti di riferimento sono le Breast Unit, cioè i Centri di Senologia accreditati, come stabilito da una legge ben precisa, contenuta nel Decreto Ministeriale 70 del dicembre 2014» avvisa la professoressa Bonifacino. «Qui è presente un’équipe multidisciplinare, che comprende tutte le professionalità dedicate alla senologia, compreso il chirurgo plastico. La scelta del tipo di intervento va effettuata insieme in base a una serie di variabili, che vanno dal tipo di fisico della donna all’entità e caratteristiche del tumore asportato. Non esistono preclusioni, né limiti di tempo e di età. Una delle nostre ultime pazienti con protesi bilaterali da sostituire, ha attualmente il seno ricostruito con il lipofilling».