«Sono stata sposata con Giulio 16 anni: da tempo la nostra relazione non funzionava più e il primo lockdown ci ha sorpresi proprio nel momento in cui avevamo deciso di separarci. È arrivata la pandemia, e ha congelato tutto. Avevamo presentato da poco il ricorso in tribunale ed eravamo in attesa della prima udienza. Non vedevo l’ora di mettere via il dolore e la fatica degli ultimi tempi, di riprendere in mano la mia vita, di ricostruire una quotidianità serena per Andrea e Martina, i miei figli di 11 e 6 anni. E invece ci siamo ritrovati chiusi in casa con le nostre tensioni a mille, lo smartworking, la Dad dei bambini, e nessun possibile conforto familiare a fare da contrappeso alla situazione generale creata dal Covid. Se avessimo voluto un’ultima prova del fatto che la nostra coppia era al capolinea, il confinamento ce l’ha data: vivevamo come in una pentola a pressione, sempre sul punto di esplodere».

Anna ha 48 anni, vive a Bologna ed è stata una delle centinaia di “quasi ex” che hanno vissuto in sospeso dall’inizio della pandemia. Il 2020 ha fatto registrare il 60% in più nelle richieste di separazioni e divorzi, dicono i primi dati raccolti dall’Associazione nazionale avvocati divorzisti di Roma. Ma se le separazioni aumentano ogni anno, l’attività dei tribunali è stata rallentata dal lockdown, anche se sta lentamente ritornando alla normalità grazie alle udienze online.

Separati in casa

Per Anna, quei mesi da separati in casa sono stati una prova durissima. «Quando ci siamo conosciuti, Giulio era un uomo sanguigno e molto passionale, forse mi piaceva anche per questo. A volte mi stava stretta la sua filosofia di vita a due, per esempio quando diceva che una coppia dovrebbe fare tutto insieme, pure la spesa. Non mi pesava accontentarlo, frequentare i suoi amici più dei miei, andare in vacanza dove proponeva lui, ma alla lunga quel carattere capriccioso e problematico ha esasperato anche una conciliante come me. Gli scontri hanno gradualmente oscurato i momenti piacevoli fino a cancellarli. Era contraddittorio, prima alzava la voce, poi veniva ad accarezzarmi per fare pace. Diceva sempre il contrario di quello che pensavo io e voleva pure l’ultima parola. Sullo sport dei figli, per esempio. Andrea voleva fare tennis? Meglio calcio perché è un gioco di squadra. Iscrivi Martina in piscina? D’inverno, guai, si ammala. Non gliel’ho data sempre vinta, intendiamoci, ma che fatica. Il primo a parlare di separazione è stato proprio lui, forse nella sua ottica era più una minaccia che una reale intenzione di procedere. O forse voleva solo farmi star male usando lo spauracchio della mia precarietà futura. Negli anni mi ha sempre detto cose tipo: “Ti faccio fare una bella vita” e in parte è stato così perché lui è un libero professionista molto affermato, mentre il mio lavoro di traduttrice ha un andamento incostante. Sperava che mi sentissi persa senza di lui, ma in questo modo anziché riavvicinarmi non faceva che sottolineare una certa crudeltà. Non sono mai emersi tradimenti. Entrambi avremmo voluto un matrimonio duraturo, io stessa sono cresciuta con il modello di una famiglia cattolica unita, ma questo non basta a stare insieme una vita. Una mattina all’alba mi sono ritrovata un messaggino con scritte le sue condizioni per la separazione: erano inaccettabili, avrebbe cambiato la vita dei bambini togliendoli dalle scuole private che frequentavano. Ero passata sopra a tante cose, quel WhatsApp è stata la scintilla che mi ha fatto esplodere. Mi sono rivolta a un avvocato, decisa ad affrontare se necessario anche una separazione giudiziale (l’iter più lungo previsto se manca l’accordo tra le parti, ndr)».

La pandemia ha esasperato le coppie e fatto esplodere i conflitti

La pandemia ha esasperato le coppie, ma soprattutto ha fatto esplodere i conflitti sulla gestione dei figli anche tra genitori già separati. Spiega Chiara Trolli, avvocato milanese dell’Aiaf, Associazione italiana avvocati della famiglia: «Nella maggior parte dei casi, i figli hanno la residenza dalle madri e il confinamento ha provocato litigi sul diritto di visita. Non sempre i genitori hanno trovato soluzioni elastiche, si sono viste situazioni molto diverse. Qualche esempio? Padri che hanno visitato i bambini restando in cortile, pur di vederli, non potendo andare neanche al parco. Altri che non li hanno visti per mesi perché l’ex coniuge li ha ostacolati, usando il pretesto della pandemia. E altri ancora che hanno lasciato la gestione interamente sulle spalle delle madri».

A casa di Anna, intanto, è ancora presto per definire l’affido congiunto e la situazione peggiora di giorno in giorno. «Non sapevamo quanto sarebbe durata la convivenza forzata, figuriamoci con il lockdown. Lui dormiva nella stanza degli ospiti ma i terreni di scontro erano in ogni angolo della casa. I bambini ne soffrivano – se ci sentivano discutere drizzavano subito le loro antenne mollando i compiti o i giochi – senza avere neppure la possibilità di distrarsi fuori casa. A cena aveva da ridire su come cucinavo e io cercavo di ignorarlo: chinare la testa davanti ai bambini mi faceva star male ma non volevo che lui spostasse l’attenzione su di loro e iniziasse a sgridarli per un nonnulla. Martina cenava senza fiatare. Andrea è arrivato a dirmi: “Mamma, non rispondergli”. Altre liti iniziavano da pretesti stupidi. Mi chiedeva di non fare ordine tra i suoi oggetti poi però mi accusava se non trovava qualcosa. Ogni tanto mi scriveva pure mail di insulti, ma non gli rispondevo per paura di veder sfumare quel divorzio che per me era l’unica luce in fondo al tunnel».


«Lui dormiva nella stanza degli ospiti, ma i terreni di scontro erano in ogni angolo. I nostri bambini ne soffrivano: se ci sentivano discutere, drizzavano subito le antenne mollando i giochi»


 

La fine dell’incubo

«L’udienza è arrivata con l’estate e con le nuove regole non abbiamo dovuto presentarci in tribunale. La fine dell’incubo, che sollievo: abbiamo trovato un accordo che ha trasformato in consensuale, e quindi più rapida, la separazione. Giulio si è trasferito. E per me è iniziata una nuova vita, molto diversa da quella che mi ero immaginata, ma comunque positiva. Anche se siamo di nuovo semi-confinati, mi godo la mia tanto desiderata libertà personale. Nel lavoro non posso fare progetti o “seminare”, dovrò aspettare, però lo smartworking ha molti vantaggi. Sto il più possibile coi bambini. Faccio attività fisica, sono tornata a correre. E non sarà bello dirlo, ma lo stop alla vita sociale è arrivato quando ne avevo più bisogno. Per riflettere, raccogliermi, ritrovare una stabilità. Anche volendo non avrei avuto la forza di rituffarmi nel mondo, truccarmi, mettere i tacchi e uscire con il sorriso per dimostrare a tutti che sto bene. Per l’adrenalina c’è tempo, ora ho solo bisogno di tranquillità».