Parlare ci viene così naturale che di rado riflettiamo su quanto sosteneva il filosofo Ludwig Wittgenstein: «I confini del nostro linguaggio rappresentano i confini del nostro mondo». Ecco perché una partita determinante per noi donne e i nostri diritti si gioca anche a colpi di parole: quelle che noi diciamo e quelle che ci sono rivolte o con le quali ci descrivono.

La parola sessismo indica l’atteggiamento di chi promuove l’idea dell’inferiorità delle donne

Ne è convinta Valeria Della Valle, accademica della Crusca e prima donna a dirigere un vocabolario, il Treccani, che al Festival Treccani della lingua italiana, appena concluso a Lecco (festivaltreccanidellalinguaitaliana.it), ha tenuto un intervento sul termine sessismo: «Una parola nuova che ci è arrivata dall’inglese» spiega «e che negli anni ’70 ha iniziato a imporsi nella lingua italiana. Si riferisce a quel tipo di discriminazione che passa non attraverso il gesto fisico, ma tramite il linguaggio e nasce dall’atteggiamento di chi tende a giustificare o promuovere l’idea dell’inferiorità del sesso femminile rispetto a quello maschile».

Il manifesto del Festival Treccani della lingua italiana

Nei social ci sono spesso parole volgari e violente contro le donne

Oggi – sui social in particolare, ma non solo – la violenza verbale verso le donne e le minoranze è spesso scrosciante. Quelle espressioni così volgari sono da condannare in toto, ma ha senso dare loro un posto nei dizionari? «Come cittadina, donna e linguista penso che il linguaggio non vada censurato: anche le parole più deprecabili devono essere conservate tutte, perché fanno parte della nostra tradizione» risponde la professoressa. «Sono presenti anche nei romanzi, nelle canzoni, nelle riviste, nei quotidiani: i cittadini del futuro hanno il diritto di sapere cosa erano e cosa significavano. Vanno mantenute, ma va precisato quello che sono: nell’ultima edizione del vocabolario di certi termini abbiamo segnalato che appartengono a un passato pieno di pregiudizi e sono portatrici di volgarità, offesa e violenza. È come mettere un semaforo che si illumina di rosso per dire “Attenzione!”».

La lingua può contribuire a cambiare la realtà

Non solo parole è il saggio di Valore D pubblicato da Feltrinelli Education

La chiave è la consapevolezza che ci permette di cogliere la piena portata dei vocaboli. Per difenderci, da essi o per diffonderli. Per questo, oltre che piacevole da esplorare per il tripudio creativo delle sue illustrazioni, è molto utile Non solo parole, il volume realizzato con Feltrinelli Education da Valore D, l’associazione no profit d imprese che è nata 15 anni fa per promuovere l’equilibrio di genere e che dal 2017 ha esteso il suo campo d’azione alla valorizzazione delle diversità e alla cultura inclusiva nelle organizzazioni. «Con questo libro abbiamo voluto dare un contributo di conoscenza, consapevoli che il linguaggio ha un ruolo importantissimo nella creazione della realtà e un potenziale enorme nel cambiamento della realtà stessa» spiega Barbara Falcomer, direttrice generale di Valore D.

Genitorialità è una parola che non si riferisce solo ai genitori biologici

«Abbiamo scelto alcune parole attinenti alla nostra missione. Ci sono, per esempio, termini che tornano alle nostre radici come patriarcato, che viene usato spesso ma non è detto che tutti ne conoscano significato e impatto. Dal punto di vista etimologico, deriva dal greco patér, padre, e arché, che vuol dire origine ma anche comando. Il patriarcato quindi veicola un modello di potere costruito prettamente al maschile. Altra parola proposta nel testo è genitorialità: non si riferisce solo all’essere madri e padri biologici, ma a una dimensione più ampia, in cui l’accento è sulla responsabilità genitoriale dell’educazione e della cura della prole ma può avere perimetri diversi e coinvolgere altri rispetto alla famiglia cosiddetta “tradizionale”. La parola genitorialità ci ricorda anche come il diventare genitore sia ancora un freno potente per la carriera delle donne, se non addirittura per la loro permanenza nel mercato del lavoro».

Usare parole chiare e precise aiuta a non cadere nel sessismo

La locandina del Festival DiParola.

Le donne stesse non vanno viste e rappresentate come un blocco marmoreo ma nella loro ricca eterogeneità, intersecando per ognuna tante voci: dal background culturale all’orientamento sessuale, all’età. Un elemento – quest’ultimo – che scatena sempre più discriminazioni catalogabili sotto la voce ageismo. Le parole vanno quindi usate con cura, bandendo ogni superficialità. E “Precisione” è il fil rouge, del festival DiParola, a L’Aquila il 3 e 4 ottobre (diparolafest.it). Lo ha organizzato l’Associazione Linguaggi Chiari, fondata dall’esperta di comunicazione Valentina Di Michele, che spiega: «Il linguaggio che descrive la realtà con precisione la rappresenta nella sua varietà e ricchezza, senza appiattirla in una visione polarizzata, che si riempie di stereotipi. Usare termini non chiari e imprecisi porta svantaggi proprio a quelle persone che appartengono a gruppi minorizzati, comprese le donne, tradizionalmente relegate in ruoli subordinati. La lingua che le ha rappresentate e le rappresenta lo conferma: se pensiamo a una persona che si occupa di incarichi di segreteria, diciamo “la segretaria”, se ci riferiamo a chi ha ruoli di potere diciamo “il manager”. Discuteremo anche di quanto parole e dati possano discriminare le donne e di come il linguaggio della scienza e delle attività tecniche possa essere alla portata di tutte, non solo di quante si occupano di discipline Stem».

Ora il dizionario Treccani registra le parole prima al femminile poi al maschile

Visto che la lingua è un organismo in continua evoluzione, è interessante capire come le nuove generazioni contribuiscano a vivificarlo. «Noto che le giovani che entrano in settori dove le loro madri non c’erano o erano minoranza» dice Di Michele «oggi vogliono sottolineare il loro ruolo al femminile e non usano il maschile sovraesteso, quello che, per esempio, porta a dire “buongiorno a tutti” inglobando nel “tutti” anche le donne». Su questo tema Della Valle aggiunge: «Il nostro ultimo dizionario è anche il primo che di sostantivi e aggettivi registra il genere prima al femminile poi al maschile, mentre quelli del passato declinavano le parole solo a maschile. Ci sono poi parole grammaticalmente corrette per riferirsi alle donne che fanno mestieri una volta declinati solo al maschile, come ingegnera o sindaca. Già un giornale come il vostro, che mette nel colophon redattrice e direttrice, fino a poco tempo fa era impensabile». Altra sfida aperta è quella con l’Intelligenza Artificiale, che è “nutrita” con termini quasi tutti al maschile e così talora rifiuta curricula di donne, perché la loro qualifica femminile non viene “letta”. «Pare incredibile: noi che lavoriamo artigianalmente abbiamo recepito i cambiamenti sociali, mentre questa tecnologia così potente ci deve ancora arrivare» conclude Della Valle. Persino all’IA servono lezioni linguistiche di parità.