Sabati di open day e di visite alle superiori: tra i tanti criteri per scegliere, in molti istituti c’è anche l’opzione settimana corta, ossia scuola dal lunedì al venerdì invece del tradizionale orario su sei giorni.
La settimana corta attira diverse famiglie perché garantisce un weekend più lungo e perché se ci sono fratelli e sorelle più piccoli che frequentano le elementari o le medie probabilmente il sabato non vanno a scuola e l’organizzazione familiare ha, almeno sulla carta, da guadagnarci.
Lo stesso ministro dell’Istruzione in più di un’occasione ha affermato di essere favorevole ai cinque giorni (anche perché è un fautore della diminuzione del carico di compiti a casa).
In Italia molte scuole propongono l’orario breve come sperimentazione sulla base dell’autonomia, ma va detto che in epoca di ristrettezze economiche tra le motivazioni che ingolosiscono la pubblica amministrazione c’è quella del risparmio di elettricità e riscaldamento: caloriferi spenti due giorni invece che uno fanno la differenza.
Le ragioni a sfavore
Eppure il coro dei no è ampio e variegato. I docenti, anche se è noto che in moltissimi desiderano il sabato libero, preferiscono più giorni con mattinate brevi: se l’orario giornaliero arriva a sei o sette ore di lezione con campanella d’uscita alle 14 o alle 15 la capacità attentiva dei ragazzi cala inesorabilmente (mentre la fame aumenta) e spesso le scuole non hanno strutture interne come bar o mense che vengano incontro alle loro esigenze.
Infatti circolano in rete petizioni di docenti per l’abolizione delle settimane corte sull’intero territorio nazionale e il TAR ha più volte dato ragione a chi (docenti e famiglie) ai cinque giorni si è opposto.
I genitori in qualche caso, specie se sono impegnati il sabato col lavoro, preferiscono sapere i propri figli a scuola e non in giro, magari fuori controllo.
Ma anche i ragazzi esprimono perplessità: non riescono a stare seduti tante ore per poi correre a casa e preparare lezioni di cinque o sei materie per il giorno successivo; chi prova a portarsi avanti, a metà settimana ha già perso il vantaggio. Anche loro insomma preferiscono diluire gli impegni e salvaguardare qualche spazio per uno sport o un’attività che li distragga e li arricchisca. Le attività pomeridiane offerte dalla scuola (certificazioni di lingue, teatro, cineforum, giornalino) rischiano di andare deserte: non c’è tempo per tutto.
L’impatto sulla didattica
La verità è che la settimana lunga e quella corta (adottata quasi ovunque nel mondo anglosassone, mentre in Francia si sperimenta addirittura la settimana con soli quattro giorni in classe) devono essere sostenute da due modelli didattici differenti.
I tempi più serrati comportano un diverso ritmo di apprendimento e non tutti i ragazzi sono capaci di accelerazioni quando devono studiare, né tutti hanno a quindici o sedici anni la maturità di organizzarsi. I cinque giorni richiedono inevitabilmente che la maggior parte del lavoro debba essere svolto a scuola e non con la sola lezione frontale: a mezzogiorno o all’una sbadigliano in tanti, e se da ore parla solo ed esclusivamente il prof, quasi nessuno prende appunti. È risaputo che i nostri ragazzi hanno un calo del picco di attenzione dopo venti minuti di ascolto: cosa chiedere loro dopo le tredici?
Ci vorrebbero quindi molte più lezioni partecipate e interattive e un potenziamento delle attività di laboratorio: siamo davvero pronti?
Quali aspetti valutare prima di decidere
La settimana corta funziona, ma a patto che la proposta non sia dettata da mere esigenze di bilancio; andrebbe scelta laddove ci siano strutture adeguate, nelle zone in cui trasporti efficienti permettano di spostarsi verso casa nel primo pomeriggio (non a caso il sabato in classe resiste in provincia più che nelle grandi città) e soprattutto dove sia chiaro, dal piano triennale dell’offerta formativa d’istituto, il progetto di operare una piccola rivoluzione copernicana del tempo-scuola, di voler lavorare sull’apprendimento e non solo sul concetto di programma.
In mancanza di queste condizioni le lezioni dal lunedì al venerdì orario (semi)continuato sono poco più che una moda: e magari i ragazzi finiscono per chiudersi in casa nel weekend a concentrare tutto il lavoro che durante la settimana la scuola non è in grado di garantire.