«Una cosa gli uomini temono più di tutto: fare un passo nuovo, dire una parola propria». Questa frase ha più di 150 anni. Ma la profonda paura raccontata da Dostoevskij non è cambiata. E resta il grande nemico da abbattere nella strada verso il successo di ogni azienda e ogni team professionale. Lo sostiene Amy C. Edmondson, docente ad Harvard e protagonista di un Ted Talk da più di 2 milioni di visualizzazioni. È stata lei negli anni Novanta a scoprire il fattore chiave per un gruppo di lavoro vincente. L’ha chiamato sicurezza psicologica e lo racconta in Organizzazioni senza paura, un saggio cult che ora arriva in Italia.
Cosa c’entra la paura con il successo di un team?
«Per spiegarglielo le racconto come è nata la mia teoria. L’intuizione è arrivata per caso, mentre partecipavo a uno studio sugli errori medici negli ospedali. Le informazioni raccolte mi dicevano che i team migliori facevano il doppio degli errori degli altri. Era un dato inspiegabile, il contrario di quanto si potesse immaginare! Fino a quando non ho capito che non facevano più errori, semplicemente ne segnalavano di più…».
Mostrarsi fallibili autorizza gli altri a fare lo stesso e aumenta la fiducia nei nostri confronti
Ma che cos’è esattamente la sicurezza psicologica?
«È la libertà di dire quello che si pensa, di fare domande e di mettere in discussione lo status quo, senza la paura di essere messi in imbarazzo, esclusi o puniti in qualche modo».
Perché è così importante?
«Perché, come hanno dimostrato le neuroscienze, la paura, attraverso l’attivazione dell’amigdala, sottrae risorse fisiologiche a parti importanti del nostro cervello. Quando non ci sentiamo al sicuro, diventiamo meno smart: le nostre capacità di problem solving, apprendimento e cooperazione vengono inibite».
E questo è così determinante per il successo di un team?
«Le faccio un esempio, quello della famosissima Pixar, la casa di animazione capace di collezionare blockbuster senza un solo fallimento. Sa come ci riescono? Il suo fondatore Ed Catmull ha ammesso candidamente che all’inizio i film Pixar sono un vero disastro. Ma a trasformarli in successi, secondo lui, è quello che in azienda hanno soprannominato Braintrust, ovvero un gruppo di registi e sceneggiatori che guardano insieme la prima proiezione del film e poi si confrontano apertamente su cosa funziona e cosa no. Durante quei confronti così determinanti hanno una sola regola: la schiettezza».
Sembra semplice.
«Si sbaglia. Essere davvero schietti non è mai facile. Già dalle elementari i bambini cominciano a rendersi conto che l’opinione degli altri ha un certo peso e imparano ad abbassare il cosiddetto rischio relazionale, quello di essere rifiutati o presi in giro. Da adulti lo facciamo in automatico. La paura è un istinto che ci spinge a proteggerci. Ma è impossibile evolverci solo proteggendoci. E questa verità non vale solo sul posto di lavoro. La sicurezza psicologica è fondamentale nella vita di tutti i giorni. Proviamo a fare un test con lei e con tutte le persone che ci stanno leggendo in questo momento. Basta chiedersi sinceramente quante volte non si riesce a dire quello che si pensa, quante volte cerchiamo di nascondere un errore e dire un semplice “non lo so” ci sembra così tremendo. Sa perché lo facciamo? Lo ha ben spiegato una ricerca della New York University: tra le motivazioni c’è la paura di danneggiare le relazioni con gli altri e la mancanza di fiducia in noi stessi. Ma comportandoci così il danno è duplice: il resto del nostro team continuerà a ignorare informazioni utili e noi che abbiamo taciuto ci sentiremo frustrati e insoddisfatti. Insomma, un brutto circolo vizioso».
Essere davvero schietti non è mai facile. Già dalle elementari i bambini cominciano a censurare le loro opinioni per non sentirsi rifiutati o presi in giro
Allora come si fa a sviluppare la sicurezza psicologica?
«Prima di tutto non bisogna confonderla con la gentilezza. Mostrarsi sempre d’accordo con gli altri o aspettarci approvazione non porta a niente. La sicurezza psicologica non vuol dire “mettersi comodi”, ma impegnarsi in conflitti produttivi, così da poter imparare da punti di vista diversi dal nostro».
Nella realtà, però, nei conflitti spesso ci si arrabbia e ci si fossilizza sulle proprie posizioni.
«Perché ci si sente sotto accusa, attaccati e svalutati. La paura di essere puniti per i nostri errori ci paralizza e ci fa mettere sulla difensiva. Ma gli errori non sono un difetto del processo di apprendimento, sono una sua caratteristica! A Google X, il laboratorio di Google che si occupa di tecnologie avveniristiche, il fallimento di un progetto viene celebrato con i colleghi che applaudono e con un premio di produzione al gruppo di lavoro. Così tutti si sentono al sicuro quando pensano nuove sfide, anche quelle ad alto rischio di insuccesso».
Che cos’altro dovrebbe fare ognuno di noi per migliorare?
«Essere umile. Che non vuol dire falsa modestia, significa ammettere che nessuno ha tutte le risposte. È una regola che vale sempre e per tutti, per il capo sul posto di lavoro ma anche per un genitore con i propri figli. Anne Mulchay, l’amministratrice delegata di Xerox che ha risollevato le sorti dell’azienda di stampanti dopo la bancarotta, ha raccontato che era soprannominata la signora “non lo so”. La verità è che piccole frasi come “Ho bisogno di aiuto” o “Ho fatto un errore” sono molto potenti. Togliersi la maschera e mostrarsi fallibili autorizza gli altri a fare lo stesso e fa aumentare la fiducia nei nostri confronti. Ma è importante anche dimostrare un interesse autentico».
Cioè?
«Domande come: “Cosa ti preoccupa?” “Posso fare qualcosa per aiutarti?”. Ma anche apprezzamenti semplici, come “Grazie mille per aver parlato”. Tutto questo alimenta la collaborazione e lo spirito di squadra e incentiva la motivazione. Cose indispensabili nella nostra società, sempre più complessa e incerta».
Onesta, umiltà, fiducia… tutti valori che sembrano un po’ in declino. Crede che torneranno in auge?
«Ne sono convinta e la rivoluzione della pandemia ne ha già dato un esempio. Leader come Donald Trump, arroganti e auto-referenziali, si sono dimostrati incapaci di affrontare questa sfida. Altri, come Angela Merkel, hanno spiegato con chiarezza i dati, ammesso gli aspetti ancora sconosciuti e fatto affidamento su scienziati ed esperti, diventando così un modello. È questa la strada. Per le aziende, per la politica, per la società e per ciascuno di noi».
Un saggio da leggere
Come si aiutano i propri colleghi a dare il meglio? Quando un fallimento funziona? Si può essere un punto di riferimento anche se non sei un capo? A domande come queste risponde Organizzazioni senza paura (Franco Angeli), il nuovo libro di Amy C. Edmondson, studiosa eletta nei “Thinkers 50”, la classifica dei pensatori più influenti al mondo nell’ambito del business. All’interno c’è anche uno psico kit per migliorare le relazioni. Al lavoro e non solo.