La cardiologa molecolare Silvia Priori ha ricevuto un finanziamento europeo di 2,5 milioni di euro per il progetto di ricerca sull’aritmia cardiaca. Nel suo team alla Fondazione Maugeri a Pavia ci sono 35 tra medici, biologi molecolari e biologi cellulari.
Ecco la nostra intervista a Silvia Priori
«Quando i miei figli erano piccoli, li portavo in ospedale a vedere i bambini ricoverati e spiegavo che la mamma, quando non c’era, si occupava di loro. Questo li ha aiutati a capire. Hanno passato tante di quelle domeniche nei laboratori a giocare con le provette e l’acqua». Oggi i suoi figli sono adulti. E Silvia Priori, 57 anni, cardiologa molecolare e direttore scientifico dell’IRCSS Fondazione Maugeri di Pavia, sorride ricordando i sacrifici da mamma-scienziata. «Ma quando ho dovuto lasciare il mio bambino di 40 giorni a casa per partecipare a un congresso negli Usa, c’era una portinaia che diceva: “Questi poveri orfani con la baby sitter…”. E io piangevo come una fontana» dice Priori, la scienziata italiana più citata nelle ricerche internazionali.
Cosa fa una cardiologa molecolare?
La medicina molecolare studia i meccanismi che a livello del Dna causano le malattie. Io mi occupo dei problemi legati al ritmo cardiaco: chi ne soffre può avere un’aritmia lenta, per cui il cuore rallenta o si ferma, oppure una rapida, che non permette al cuore di ossigenare gli organi pompando il sangue. Studio le malattie con base genetica che portano all’arresto cardiaco: sono come bombe a orologeria che possono causare la morte improvvisa di bambini piccolissimi o di giovani nel pieno delle loro forze che non sapevano di essere malati.
Il suo team ha ricevuto un finanziamento europeo di 2,5 milioni di euro per una ricerca che usa i virus come “arma” contro l’aritmia cardiaca. In che modo funziona?
Grazie ai virus stiamo lavorando a una terapia che corregga il difetto genetico. Il virus è un microrganismo che entra nella cellula e vi inietta il proprio Dna. Noi vogliamo che nelle cellule del cuore malato arrivi invece un Dna che prima abbiamo modificato in modo da curare una determinata patologia: lo inseriamo nel virus e usiamo quest’ultimo come “microsiringa”, che porta la cura nella cellula e poi muore senza replicarsi. Stiamo programmando i primi studi clinici, da eseguire nei prossimi 2-3 anni. La terapia non è ancora disponibile, ma facciamo continuamente dei passi avanti.
Che vuol dire, da donna e mamma, lavorare con piccoli affetti da malattie così gravi?
Non ho voluto fare pediatria, all’inizio della carriera, nonostante adorassi i bambini, perché temevo che non avrei avuto il coraggio. Poi la vita mi ha portato qui. Per fortuna riesco a separare la mia emotività dall’obiettivo che ho: alleviare il dolore dei piccoli e delle loro famiglie. Ciò non significa che non soffra quando un bimbo che ho in cura non ce la fa. Ma il pensiero finale è: devo sconfiggere questo mostro.
Quanto sono efficaci le cure?
Rispetto a 20 anni fa, con le medicine garantiamo una sopravvivenza più alta e una qualità della vita migliore. Ma c’è sempre un momento difficilissimo per i genitori: la diagnosi. Mamme e papà sono sopraffatti dai sensi di colpa, hanno paura di sapere chi dei due sia il portatore del gene malato e abbia quindi trasmesso la patologia al figlio. Io spiego sempre che, come non si ha merito per avere dato ai propri bambini un bel colore degli occhi, così non si ha colpa per avere trasmesso la malattia. È duro anche accettare che il figlio dovrà prendere medicine per sempre. In realtà i ragazzini si abituano e con queste terapie riusciamo a garantire loro una vita “di qualità”: possono anche fare un po’ di sport! Ci sono miei pazienti di un tempo che oggi mi portano i loro figli con la stessa malattia. È una scelta di speranza: sanno di aver avuto una bella vita, hanno potuto studiare, sposarsi… Il loro figlio, grazie alla scienza, avrà speranze ancora maggiori.
Lei è stata la prima donna a entrare nel board dell’ESC, la European Society of Cardiology.
Nelle facoltà di Medicina e nella ricerca il numero delle ragazze ormai supera quello dei ragazzi. Con le mie allieve insisto molto su un concetto: diventare ricercatrice non vuol dire rinunciare alla vita affettiva o alla maternità. Io ho ereditato la passione per la scienza da mio padre, che era un chimico. E l’ho trasmessa ai miei 2 figli: Gabriele, che ha 23 anni, è al quinto anno di Medicina e vuole fare il neonatologo; Andrea, che di anni ne ha 26, è ingegnere aerospaziale. È stato difficile, ma ho avuto la dimostrazione che si può crescere dei figli e fare ricerca senza che loro ne soffrano o abbiano problemi nelle scelte della vita. E le cose, davvero, stanno cambiando: quando sono entrata nel board della ESC, non mi ero resa conto che non ci fossero mai state donne prima di me e ne sono rimasta scioccata. Ma l’anno prossimo avremo la prima donna presidente: Barbara Casadei, una cardiologa italiana che da anni lavora in Gran Bretagna. Ecco, parlando di evoluzione, sarebbe bello che l’Italia si mettesse alla pari con il resto d’Europa: servono finanziamenti più consistenti e di lunga durata, e con strumentazioni più competitive. In modo da non costringere più le nostre ricercatrici, e i nostri ricercatori, ad andare all’estero.
3 parole per capire
ARRESTO CARDIACO È causato da una aritmia che porta il cuore a battere in modo irregolare e rallentato (bradiaritmia/asistolia) o in modo rapidissimo (fibrillazione ventricolare): in entrambi i casi il cuore non porta una quantità adeguata di sangue al cervello provocando uno svenimento. Se non si interviene con manovre di rianimazione, il cuore si ferma.
INFARTO MIOCARDICO È l’ostruzione improvvisa e prolungata dell’arteria coronaria, che porta il sangue che nutre il cuore: causa la morte delle cellule cardiache. Si avverte un dolore acuto al petto spesso irradiato agli arti, al collo o alla schiena.
ICTUS È l’ostruzione improvvisa e prolungata di una arteria che porta il sangue al cervello: causa un danno irreversibile o la morte delle cellule cerebrali.