Gli esperti parlano di passaggio dalla pandemia alla sindemia. Un fenomeno spiegato nel Libro Bianco di Fondazione Onda, l’Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, che nell’edizione 2021 si è focalizzato sul Covid.
Cos’è la sindemia
Si tratta di tutte le conseguenze provocate dalla pandemia in particolare sulle donne: l’infezione da coronavirus, infatti, ha impattato pesantemente sulla vita delle donne, sia in termini psicologici (pensiamo al ricorso allo smart working e al carico di lavoro aumentato per donne, madri e mogli), sia in termini fisici. In emergenza, ad esempio, i reparti degli ospedali sono stati riconvertiti con un conseguente blocco dell’attività di diagnosi e visite di prevenzione. Ancora oggi ci sono lunghe liste d’attesa per interventi di routine (ma anche urgenti), senza parlare dello stravolgimento dei percorsi di gravidanza e parto, o dell’aumentato lavoro di cura per le figure femminili, anche nei confronti dei familiari più anziani.
Gli effetti della sindemia
«Il termine sindemia è stato usato per la prima volta da Richard Horton sulla rivista Lancet, lo scorso settembre, in riferimento al Covid: si tratta di un concetto ampio, che include le ricadute che l’emergenza sanitaria ha avuto e continua ad avere su scala globale, per esempio in campo sociale, economico e ambientale, e che hanno effetti ovviamente anche sulla sfera della salute, sia fisica che mentale, in particolare delle donne. Ma ci sono effetti anche in termini lavorativi. Noi abbiamo ripreso questo concetto, tenendo presente le differenze di genere anche in pandemia. Il nostro Paese è stato uno dei pochi e tra i primi a pubblicare ricerche dove emergono proprio i diversi effetti che il Covid ha avuto su donne e uomini» spiega Nicoletta Orthmann, coordinatore medico-scientifico della Fondazione Onda.
Covid e Long Covid: le donne più esposte
Il primo aspetto riguarda proprio la diffusione della malattia e il suo decorso: «Oggi sappiamo che le donne sono più suscettibili all’infezione, ma hanno un decorso in genere migliore rispetto a quello degli uomini: la popolazione femminile si ammala di più, ma si registrano anche meno decessi – spiega Orthmann – Il Long Covid, invece, colpisce di più le donne e porta con sé una serie di sintomi a volte invalidanti nella quotidianità».
Quali malattie di genere sono cresciute
Anche sul fronte della salute mentale ci sono differenze: «È indubbio che siano aumentati vertiginosamente i disturbi del sonno, i fenomeni ansiosi e depressivi soprattutto nei più fragili, come donne, giovani e anziani, ma in quest’ultima categoria rientrano ancora una volta le donne, che hanno una maggiore longevità. Per questo si parla di “epidemia emozionale» spiega l’esperta della Fondazione Onda.
L’epidemia emozionale colpisce le donne
Dallo scoppio della pandemia, tutti ne hanno subito gli effetti in termini emotivi: «Chi perché ha vissuto la malattia, chi perché angosciato nel lockdown, chi per la perdita di cari o amici, ma anche del lavoro in certi casi: le più colpite da questa “epidemia emozionale”, che si è tradotta in un maggiore carico di stress, sono state e sono le donne. Basti pensare a coloro che hanno sacrificato il lavoro per occuparsi dei figli in Dad o dei familiari, come caregivers. Questo carico ha indubbiamente anche conseguenze sulla salute mentale e fisica» spiega la coordinatrice della Fondazione Onda.
Meno screening di prevenzione contro i tumori femminili
Uno dei primi effetti concreti della pandemia è stata la sospensione degli screening di prevenzione e, in alcuni casi, delle terapie: «Soprattutto nella prima fase si è verificata una riduzione degli accessi negli ospedali, a causa dell’emergenza sanitaria, ma anche un minor rispetto delle terapie: i dati del nostro Osservatorio nazionale ci dicono che durante il lockdown si ì verificata una contrazione drammatica degli screening di prevenzione del tumore alla mammella e al colon-retto, che rappresentano una mancata occasione di diagnosi precoce contro queste forme di cancro e dunque anche di cura. Se questo genere di visite interessa le donne soprattutto dai 40 anni in poi, nella fascia più giovani il problema è rappresentato dai minori controlli contro i tumori alla cervice uterina – spiega la dottoressa Orthmann – Per non parlare della mancata aderenza terapeutica da parte di chi, per timore di interferenze tra i farmaci e il Covid, ha smesso di seguire le cure prescritte: eravamo impreparati, ma adesso occorre recuperare».
Come sono cambiati parto e gravidanza
Le donne, poi, si sono trovate spesso sole in sala parto: «Solo adesso gli ospedali sono tornati ad aprire anche ai padri, mariti e compagni (e speriamo che non si debba tornare indietro), anche se rimangono molte differenze tra le strutture, che al di là delle linee generali scelgono al proprio interno regolamentazioni autonome. Ad esempio – spiega l’esperta – ancora oggi può capitare che i compagni possano assistere al travaglio e al parto, ma non alla degenza». «Oggi anche le società scientifiche hanno confermato l’importanza di un accompagnamento e un supporto alla donna in un momento complesso ed emotivamente delicato, che può essere amplificato da una situazione esterna difficile e caratterizzata da incertezza e paura» aggiunge Orthmann.
Donne sempre più caregiver
Nella fascia delle ultracinquantenni e over 60 sono aumentati, invece, i compiti di cura, per esempio nei confronti dei genitori più anziani: «Le donne sono state protagoniste, ma anche vittime: hanno assistito i familiari più anziani, con la paura di essere infettate o infettare, e hanno vissuto l’angoscia e soprattutto la solitudine, in una fascia di età più avanzata, nella quale sono in abbondanza per la maggiore longevità. Sia in ambito domestico che in quello delle RSA è stato un grosso problema che ha un impatto importante in termini di benessere e rappresenta un fattore di rischio» osserva la coordinatrice dell’Osservatorio.
Le donne devono anche imparare a curare se stesse
Cosa bisogna aspettarsi dal futuro e dove intervenire? «Le donne hanno dimostrato una resilienza straordinaria e una forza nel lavoro di cura in famiglia, oltre che una capacità di adattamento in ambito lavorativo (basti pensare allo smart working, in condizioni spesso proibitive, in casa con i figli in Dad e i mariti talvolta non abituati a una loro gestione diretta). Ma lo hanno fatto con fatica e a caro prezzo: come donna e medico che lavora per una Fondazione che promuove la salute femminile, mi sento di dire alle donne che non devono mettere la loro salute in secondo piano. Spesso lo facciamo un po’ per indole e un po’ forzatamente a causa della pandemia, ma è importante preservare il nostro benessere perché da questo passa anche quello dei nostri cari» esorta Nicoletta Orthmann.
«Auspichiamo che questa situazione, anche grazie al PNRR e ai fondi previsti, possa ridisegnare la nostra sanità e offrire servizi sempre più a misura anche di donna, anche a livello di welfare: non è un tema nuovo, ma non si può essere lavoratrici, mogli, compagne, caregiver e madri per sempre».