«Avevo 16 anni quando il ginecologo che mi aveva fatta nascere mi ha scarabocchiato su un foglio, con freddezza, quello che pareva il trailer del resto della mia vita: “Non c’è l’utero. Non potrai avere figli. Le mestruazioni non potranno mai arrivare. Ah, dimenticavo, manca anche un pezzo di vagina”». Federica Salamino ha 39 anni e mi sta raccontando del giorno in cui, sola sul lato corto di una scrivania, ha scoperto di avere la sindrome di Rokitansky. «È una condizione congenita ma non ereditaria che colpisce lo sviluppo degli organi riproduttivi femminili, comportando dalla nascita l’assenza dell’utero e dei due terzi superiori della vagina. I genitali esterni e le ovaie, invece, sono perfettamente normali, esattamente come il cariotipo femminile. Per questo ci si accorge della sindrome solo quando la prima mestruazione non arriva» spiega Elisa Restelli, ginecologa del Policlinico di Milano, uno dei centri italiani di riferimento per lo studio e il trattamento della Rokitansky, malattia rara che colpisce una su 4.000-5.000 nate femmine.
Circo Rokitansky: un libro sulle aspettative sociali
Federica Salamino ne parla in Circo Rokitansky (Le Plurali), un romanzo a fumetti che racconta, con una toccante e ironica prima persona, la storia di Olivia e della sindrome. La metafora circense è presto spiegata: all’esterno tutto appare perfetto, non manca un pelo e nemmeno i dolori mestruali. Ma ecco dove sta il trucco, la “magia”: le mestruazioni non ci sono né ci potrà essere una gravidanza. «Quella di Olivia non è propriamente la mia storia, ma un mix di storie. Volevo che si potesse riconoscere anche chi ha problemi di infertilità o qualsiasi altra patologia per cui sia stato asportato l’utero. Non volevo restringere la rappresentatività a una sola vita, siamo già fin troppo nascoste».
Le “ragazze Roki”, come si definiscono coloro che ne sono affette, si sentono nascoste anche perché la loro è una disabilità invisibile, una condizione non immediatamente evidente agli altri. Dopo anni di psicoterapia, parlare è stata la soluzione di Federica. E ricordare che quelle caselline predefinite che la società ti presenta – sei questa, sposa quello, riproduciti così – non le devi per forza spuntare tutte, o nel modo in cui gli altri si aspettano che tu le spunti. «Quello su cui concentro l’attenzione nel libro sono soprattutto le aspettative. Ci è stato raccontato che a un certo punto sarebbero arrivate le mestruazioni, che avremmo usato gli assorbenti… Eppure ci sono corpi femminili che non mestruano, e va bene così. All’epoca mancava il “va bene anche così”».
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Essere Roki, ieri e oggi
La storia di Federica, nata nel 1985, appartiene a una fase storica in cui le diagnosi venivano date male, soprattutto quelle che riguardavano le donne e i loro apparati riproduttivo e genitale. «Mi è stato lanciato addosso un bagaglio enorme, senza ruote e con due manici inadeguati al peso. Nel libro, però, rendo anche giustizia ai grandi passi avanti fatti: ora si parla molto più di sessualità e di diversità, in ospedale le ragazze sono molto più supportate» dice.
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Me ne dà conferma la ginecologa Elisa Restelli: «L’impatto della diagnosi può essere molto forte, considerato che arriva in un’età già faticosa di per sé: è quindi fondamentale comunicarla in modo chiaro e semplice. I medici formati sulla Rokitansky, non molti in Italia, hanno una capacità di approccio adeguata al tipo di pazienti. Le ragazze e le loro famiglie vengono rassicurate sul fatto che la sindrome non è una condizione evolutiva e che ci sono anche possibili soluzioni. La vita sessuale, per esempio, resa difficile se non impossibilitata dall’assenza di gran parte della vagina, può migliorare con un trattamento chirurgico o non chirurgico che completa il canale vaginale, senza che restino segni visibili. Non è poco: per le ragazze è importante sapere che non portano scritta su di sé una diagnosi».
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Senza quel “re della femminilità”: l’utero
C’è poi l’aspetto psicologico, che riguarda la percezione di se stesse. Me ne parla Federica: «La maggior parte delle ragazze Roki che ho incontrato non si sente meno donna per l’assenza dell’utero. Il vero effetto della sindrome ha a che fare con il non sanguinare pur provando i dolori mestruali e con il non poter partorire. In questo senso compromette, più che la nostra, la percezione che gli altri hanno di noi: come mi vedranno se non posso espletare quelle funzioni che hanno detto fare di me una donna? Nel mio caso, per esempio, la sindrome non ha creato particolari problemi alle relazioni sentimentali, ma lo ha fatto con quelle amicali. Mi sentivo diversa dalle mie coetanee e, a un certo punto, il femminile inteso come amicizia ha quasi smesso di esistere». E infatti, quando le chiedo quali siano stati gli impatti della sindrome più sentiti nella vita quotidiana, a lei viene subito in mente il gesto di passare un assorbente a un’amica: per chi non mestrua, un promemoria della propria differenza. «La sindrome non ti permette di condividere il diventare grandi e poi, un giorno, madri».
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La sindrome di Rokitansky apre la questione dei diritti riproduttivi
La maternità è un altro enorme contenitore di emozioni e aspettative personali e sociali rivoluzionato per le ragazze Roki. «L’assenza dell’utero non consente una gravidanza, ma la maternità è possibile mediante l’adozione o percorsi alternativi come il trapianto di utero, che si sta sperimentando sempre di più in Europa e nel mondo» spiega la dottoressa Restelli. Aggiunge Federica: «Ho scelto di scrivere il libro non solo per raccontare la sindrome, ma soprattutto perché la questione dei diritti riproduttivi in Italia è del tutto maltrattata. Se avessimo libero accesso a Pma (Procreazione medicalmente assistita) e Gpa (Gestazione per altri), non sarebbe mai uscito».
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Molte pagine sono infatti dedicate alla Gpa, in Italia vietata dalla legge 40 del 2004 e a ottobre 2024 resa anche reato universale. «Si ignorano del tutto le persone che ne necessitano, ma per le donne Roki, per chi ha subìto un’isterectomia, per chi è rimasta con metà del bacino in seguito a un incidente, la Gpa è una soluzione terapeutica» continua Federica. «Quando avevo 16 anni, mia sorella di 14, nella sua innocenza, mi ha detto: “Ma lo faccio io un figlio per te!”. Così nasce la Gpa nelle case delle Roki: un gesto solidale che non è tanto diverso dalla donazione di un rene. Il progresso della medicina lo usiamo serenamente quando si tratta di lenti a contatto, protesi o terapie oncologiche. Quando invece si parla di riproduzione, diventa superamento del limite con frasi come “perché non ti arrendi?” o “la maternità non era nel tuo destino”. L’infertilità è una patologia, lo dice l’Oms, quindi abbiamo diritto a curarla esattamente come si curano le altre».
A proposito di seconde (e feconde) scelte
Da queste riflessioni nel 2022 è nata l’associazione FecondaScelta, di cui Federica Salamino è co-fondatrice e presidente, per colmare la lacuna esistente nella narrazione di sterilità, infertilità, diritti riproduttivi e genitorialità. «Quando anni fa io e mio marito ci siamo chiesti se volessimo avere un figlio e come, siamo andati nelle cliniche di Pma e abbiamo seguito i corsi per genitori adottivi. In tutti questi posti vedevo facce perse. C’era la tristezza dell’essere lì come ripiego. Anch’io ho sempre pensato che i miei bambini sarebbero nati dalla mia pancia, d’accordo con i racconti di mia mamma e del mondo. Quindi, certo, qualunque strada alternativa avessi preso sarebbe stata una seconda scelta. Ma anche le seconde scelte meritano di essere feconde. Non bisogna dare per scontato che la vita vada sempre come ci si aspetta».
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Fatica e divertimento, come al circo
Anche nel Paese per Incapaci a Riprodursi, come lo chiama Federica nel libro, «dove arrivi senza che nessuno te l’abbia mai mostrato sulla cartina alle elementari», si può scrivere la propria storia. «Mi occupo delle donne Roki da 15 anni e quello che dico sempre alle nuove pazienti è: “State tranquille, la vostra vita farà il suo corso, con le fatiche ma anche con tutte le cose belle che può dare» conclude la ginecologa Restelli. Alla fine della nostra conversazione, Federica mi confida: «Gestire una diagnosi di Rokitansky è una ricerca dell’equilibrio. Come il circo. Che si porta dietro la complessità del fare il giocoliere, ma anche il divertimento concesso quando la fatica è passata, quando si è finalmente imparato a coordinare le palline della vita, su in aria». Signore nel pubblico, tutte col naso all’insù. E poi all’ingiù. A riflettere su una rara assenza, quella dell’utero, da cui tutte le aspettative canaglie – su come dobbiamo essere, comportarci o riprodurci – dovrebbero imparare la “magia” dello scomparire.
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