La miglior difesa (HarperCollins) è un saggio di 500 pagine su un tema piuttosto ostico, il sistema immunitario. L’autore è il giornalista statunitense Matt Richtel: reporter del New York Times e premio Pulitzer, ha deciso di raccontare le ultime scoperte dell’immunologia, probabilmente la più innovativa e complessa disciplina medica del nostro tempo, attraverso le storie vere di Jason, Bob, Linda e Meredith. Una formula nuova per rendere comprensibile a tutti la materia che sta cambiando la cura dei “big killer” contemporanei, tumori in primis.
Per scrivere La miglior difesa. La nuova scienza del sistema immunitario. Un racconto in quattro vite, il reporter ha fatto ricerche, intervistato scienziati, raccolto storie di pazienti. Poi ha “tradotto” tutto il materiale in un racconto a metà tra saggio e fiction, che spiega i meccanismi del sistema immunitario e le ultime scoperte scientifiche.
Cosa l’ha spinta ad appassionarsi a questo difficile argomento?
«Il mio amico Jason, affetto da un linfoma di Hodgkin all’ultimo stadio, è risorto dalla tomba grazie a un nuovo farmaco, il Nivolumab, che stimola la risposta del sistema immunitario. Il suo tumore è scomparso in poco tempo e io mi sono chiesto: “Che diamine sta succedendo?”. Così ho deciso di scoprire come sia possibile tornare dal regno dei morti».
Nel suo libro racconta le tappe più importanti dell’immunologia negli ultimi 50 anni, dalla scoperta dei linfociti T e B fino alla ricerche sui danni dello stress. Cosa ha imparato?
«Ho capito che il sistema immunitario è molto complesso: per combattere gli aggressori, che siano microbi, virus, tossine o altri “alieni”, cerca di provocare il massimo delle perdite ai nemici e il minimo dei danni collaterali al nostro organismo».
Quindi la cosa migliore è cercare di rafforzarlo.
«Questa è una delle convinzioni più diffuse e sbagliate: se il sistema immunitario è troppo potente, reagisce in modo eccessivo agli attacchi e provoca nel corpo uno stato continuo di infiammazione. Da qui derivano febbre, dolori, problemi di stomaco e disturbi anche più gravi. Al contrario, il sistema di difesa umano è una “macchina di pace” che tende naturalmente all’omeostasi, cioè all’equilibrio».
Il titolo originale del libro è: An elegant defense. Perché lo definisce “elegante”?
«Perché è come un danzatore che imbraccia un cannone: attacca con violenza se necessario, ma cerca anche di trovare la soluzione più diplomatica con gli invasori. In certi casi scende a patti con loro perché l’individuo possa vivere a lungo. Lo dimostra la storia di Bob. Bob Hoff ha scoperto di essere sieropositivo nel 1984, ma non ha mai sviluppato i sintomi dell’Aids e ha condotto una vita normale. Qual è l’anomalia salvavita di Bob? Gli studiosi hanno scoperto che, come molti sieropositivi asintomatici, possiede un gene che spinge i linfociti T CD8, preposti a combattere il virus, a un’offensiva non troppo energica. Se dispiegassero tutta la loro forza, i linfociti T ucciderebbero il virus, ma provocherebbero gravi danni all’organismo, fino ad arrivare alla morte. Il sistema immunitario di Bob, invece, ha scelto una risposta meno violenta, un compromesso che ha funzionato bene per 30 anni».
A volte, però, il sistema di difesa diventa il nostro nemico numero uno. Come è successo a Linda.
«Sì, Linda ha scoperto di avere l’artrite reumatoide nel 1996, ma fino ad allora la sua vita era stata perfetta, almeno apparentemente. Aveva un lavoro impegnativo in una prestigiosa società di consulenza, giocava a golf, viveva a San Francisco con il marito avvocato di grido della Silicon Valley, con cui faceva a gara a chi rimaneva in ufficio di più. Dopo la seconda maternità si era presa solo 10 giorni di riposo. Insomma, era andata oltre i limiti di stress sopportabile. Una sera aveva invitato i colleghi e improvvisamente l’alluce destro si era gonfiato come una palla. Era il primo segnale dell’artrite reumatoide, una delle malattie autoimmuni che si sviluppano quando un sistema immunitario troppo aggressivo perde il controllo e attacca il corpo. Per farla breve, è stata fra i primi 5 pazienti a testare un farmaco di nuova generazione a base di un anticorpo monoclonale: su di lei ha funzionato molto bene e ora la malattia è in remissione. Ma ha anche cambiato vita, ha lasciato il marito stakanovista e ha cominciato a lavorare a ritmi umani. La sua storia ci insegna che lo stress è un fortissimo fattore di squilibrio per il sistema immunitario».
Come mai?
«Se viviamo una situazione di ansia continua, l’organismo risponde producendo steroidi, ormoni che inibiscono la risposta del nostro ingegnoso sistema di difesa. Questa reazione era fondamentale per gli uomini primitivi quando dovevano fuggire da un orso o un leone: il fisico doveva essere pronto a dare il massimo e la guerra contro virus e batteri poteva essere rimandata. Oggi il nostro corpo interpreta lo stress quotidiano, dalla lite con il partner alla competizione sul lavoro, come se ci fosse sempre un leone in agguato. Così le difese immunitarie diminuiscono per lunghi periodi e l’equilibrio si rompe».
Perché le malattie autoimmuni colpiscono di più le donne?
«Gli scienziati pensano che la natura le abbia dotate di un sistema immunitario più potente di quello degli uomini per trasmettere difese efficaci ai figli durante la gestazione e l’allattamento. Questo le aiuta a vivere più a lungo, ma è anche più facile che l’equilibrio si scombussoli».