Tra le “vittime” più famose dello Skin shaming c’è Aurora Ramazzotti (appena diventata mamma), sotto i riflettori non solo per la sua gravidanza, ma anche per l’aspetto della sua pelle, in particolare per l’acne e la presenza di brufoli sul suo viso. La figlia di Michelle Hunziker ed Eros Ramazzotti si era sfogata qualche tempo fa, prima che l’attesa del bebè catturasse tutte le attenzioni, e in quella occasione si era parlato di un fenomeno in crescita, anche se spetto taciuto per vergogna: lo skin shaming.
Skin shaming vs body shaming
A differenza del body shaming in senso stretto, si diventa vittime di pregiudizio e di critiche anche molto feroci, specie sui social, per la condizione della propria pelle.Ora una ricerca mostra come il fenomeno sia molto più diffuso di quanto non si creda: a soffrirne è il 62% degli italiani, soprattutto donne e giovani.
Skin shaming: 6 italiani su 10 ne sono vittime
Secondo la ricerca “Dove Body Love 2023”, condotta su un campione di 1.200 utenti web tra i 20 e i 50 anni, la caratteristica del corpo maggiormente presa di mira oggi dagli hater (gli “odiatori social”) sul web è proprio la pelle (31%), seguita da peso (25%) e misure sproporzionate (20%). Se queste ultime possono dar luogo a un generico body shaming o allo skinny shaming (cioè critiche per una presunta eccessiva magrezza, come era accaduto a Laura Chiatti), con lo skin shaming si può andare incontro a senso d’insicurezza (73%) e stati d’ansia (55%). Gli inestetismi della pelle, dunque, sono motivo di messaggi, post o commenti anche molto aggressivi. Ma come ci si difende quando se ne è vittime? «Isolarsi dal rumore di fondo dei diktat esterni diventa il modo d’elezione per avere cura di se stessi» risponde la dott.ssa Stefania Andreoli, psicoterapeuta e presidente dell’Associazione Alice ETS.
Perché la pelle è così importante
Un primo passo, dunque, è prendersi cura di sé. Eppure dalla ricerca emerge che se il 67% degli intervistati dice di prendersi cura del proprio aspetto per piacere a sé stesso, ben il 56% ammette di farlo per essere accettato dagli altri. «Credo che sia una risposta veritiera, perché testimonia da un lato le buone intenzioni di volersi prendere cura di se stessi e per noi stessi, ma è anche la conferma di quanto teorizzato, per esempio, da Didier Anzieu: lui per primo ha parlato del cosiddetto “io pelle”. La pelle, infatti, è come un carta d’identità fisica ed estetica, il mezzo con cui ci presentiamo agli altri e impatta anche sul piacere di poter avere il favore altri», spiega Andreoli.
Come ci si difende dallo skin shaming?
Il problema, però, sorge quando proprio la pelle diventa motivo di critica o non accettazione da parte degli altri. Come difendersi? «Credo che doverci difendere dalle accuse di avere una pelle inappropriata o impresentabile ci metta nella posizione di vittime, invece non dovrebbe essere così. Dobbiamo spostare l’attenzione dagli altri a noi stessi, per costruire una buona idea di autostima e questo si può grazie a un’educazione precocissima», chiarisce l’esperta. Ma si insegna l’autostima e dove? «La famiglia è importante, ma non può essere lasciata sola in questo compito così delicato e difficile. Credo che occorra un cambio di mentalità, ma occorre tempo e la collaborazione delle istituzioni come la scuola – prosegue la psicoterapeuta – E poi è importante il buon esempio degli adulti, che spesso sono i primi ad attaccare sui social».
Qualcosa sta cambiando
Se le aggressioni social possono avere ricadute pesanti per la propria autostima, c’è però un dato positivo e in controtendenza rispetto al periodo pandemico: il 58% dei partecipanti alla ricerca, infatti, dichiara che il rapporto con la propria immagine è «molto» o «abbastanza» positivo. «Per me è un dato strabiliante e in controtendenza rispetto alle statistiche condotte finora, specie considerando gli effetti della pandemia che ha aumentato i disagi psicologi. Significa che è possibile fare pace con se stessi. Ciò che colpisce è soprattutto il fatto di ammettere di avere un rapporto “abbastanza positivo” con la propria immagine, perché è un risultato sincero: sfido chiunque a dire che siamo sempre contenti della nostra immagine, che è legata a tante variabili (lavoro, umore, scuola, incontri con gli altri, ecc.). Tutti forse abbiamo momenti nei quali vorremo caratteristiche che non possediamo, ma questo non significa che possiamo stare bene anche così come siamo», chiarisce Andreoli.
Donne e giovani i più colpiti
Come confermano i dati della ricerca, comunque, i più colpiti dallo skin shaming sono i ragazzi tra i 18 e i 25 anni (59%), seguiti dagli over 45 (22%) e dalla fascia 33-45 anni (19%), e le donne: oltre 6 su 10 (64%) si sentono maggiormente giudicate per la propria immagine, mentre alla stessa domanda la percentuale di uomini scende al 36%. Perché? «Purtroppo questa non è una novità: le donne sono sempre maggiormente colpite attraverso il loro aspetto fisico, che è ancora ritenuto un punto di vulnerabilità. Quanto ai giovani, pur non volendo in alcun modo giustificare cyberbullismo o body shaming, sappiamo che la competitività estetica e il giudizio – a volte feroce – sono tipici dell’adolescenza e in genere della giovinezza. Fanno parte di una ‘mala educazione sentimentale’, che prende di mira il peso, i capelli, la pelle. È un modo con cui i ragazzi buttano fuori la propria insicurezza e la pulsione all’aggressione tipici di questo periodo della vita. È qualcosa di ineliminabile, anche se va comunque convogliata in modo da trasformarla poi in positività», commenta la psicoterapeuta.
Un progetto per i giovani
«Il nostro auspicio è quello di far arrivare a quante più persone possibili il messaggio che il nostro corpo va amato», commenta Claudia Mennini, Marketing Manager di Dove, che da 18 anni porta avanti «Dove Progetto Autostima», attivo in 150 paesi, e che ha già raggiunto oltre 82 milioni di giovani. L’obiettivo è aiutare 250 milioni di bambini e adolescenti a migliorare la propria autostima entro il 2030.