Un tavolo davanti a una finestra con sopra un tablet e una tazza di caffè: sui social è una foto simbolo della casa dello smart worker. Ebbene, è da rifare. Non lo scatto, ma la postazione di lavoro. Il perché lo spiega Debora De Nuzzo, progettista e formatrice della società di consulenza DDNstudio: «Per non affaticare la vista va bene la luce naturale, ma deve arrivare di lato. Il monitor va collocato a un’altezza leggermente più bassa degli occhi e le dimensioni del tavolo devono consentire di appoggiare gli avambracci. La caffeina dà una botta d’energia, però perde presto l’effetto “sveglia”: meglio un frutto. Se proprio vogliamo un caffè, facciamone un rito: sorseggiamolo in piedi variando postura e staccandoci dal video».
Insomma questo smart working, che si chiama così ma tale non è, si rivela una sfida per la salute degli 8 milioni di “dipendenti casalinghi” da marzo, in particolare per quelli non forniti di adeguato equipaggiamento dall’azienda.
Fare una scaletta delle priorità per evitare la telepressione
«Visti i cambiamenti in atto, i metodi di valutazione dello stress lavoro correlato presentano notevoli criticità: questo home working ha impatti organizzativi, ergonomici, tecnici e sociali notevoli» sostiene Patrizia Serranti dell’Unità prevenzione e protezione del Cnr e membro del direttivo della Società Italiana di Ergonomia (Sie).
Concorda Riccardo Martoni, psicoterapeuta presso il Centro clinico Sempione e docente in UniSR: «Dobbiamo metabolizzare una rivoluzione nel nostro quotidiano. Molti, però, faticano a concentrarsi, assorbiti come sono dalle incombenze domestiche e dalla presenza dei familiari. È fondamentale riuscire a darsi una scaletta con priorità e obiettivi chiari; non cedere alla tentazione del frigorifero a portata di mano, mantenendo un ritmo regolare di past-sonno-veglia; coltivare contatti con l’esterno. Altrimenti il rischio è che l’home working non sia più smart».
Un home working disorganizzato crea fatica anche nelle attività all’apparenza più leggere di quelle omologhe in ufficio. «La videoriunione può ottimizzare il bilanciamento vita-lavoro, ma si tramuta in un grande sforzo cognitivo quando la connessione traballa e ci troviamo davanti a una pluralità di volti spesso bloccati in fermo immagine; ciò intacca la predisposizione biologica a leggere la gestualità, la postura e la mimica facciale del nostro interlocutore».
Che cos’è la telepressione
Non mancano i paradossi, come la “telepressione”. Luisa Errichiello, ricercatore Cnr Ismed, esperta del tema, spiega: «Ci si aspetta che poter lavorare in autonomia accresca il senso di libertà migliorando il work-life balance. Ma secondo alcuni studi accade spesso il contrario: ci si sente in dovere di dimostrare che si è presenti anche se fisicamente lontani, avvertendo la pressione di rispondere subito alle mail o ai messaggi, magari senza limiti di orario. Ma questa condizione di “connettività costante” può danneggiare la salute, la concentrazione, la produttività. Non solo. Quando la tecnologia è l’unico canale per la socialità con i colleghi, i cosiddetti “legami deboli”, importanti per la circolazione di idee e conoscenza, tendono a indebolirsi ulteriormente».
Anche l’aspetto anagrafico può avere un impatto. «Si calcola che nel 2025 il 75% della forza lavoro sarà costituita da millennial, ovvero persone mentalmente attrezzate per lo smart working e che lo apprezzano» dice Alessandra Rinaldi, professoressa di Design all’università di Firenze e membro della Sie. «Diversa la situazione delle generazioni più mature». Aggiunge Patrizia Serranti: «Pensiamo all’età media dei dipendenti pubblici: 50,4 anni. Alcuni over 50 hanno faticato a gestire da soli questioni tecniche, a usare le diverse piattaforme di chiamata e a esercitare il controllo, davvero impegnativo, della mimica facciale quando si è in videocall».
Organizzare lo spazio per avere privacy e concentrazione
Chiariamo: lo smart working nasce anche per aumentare il benessere del lavoratore e chi lo ha sperimentato pre-Covid, preparato, attrezzato e quindi in forma non coatta, lo sa. Come osserva Alessandra Rinaldi, «il lavoro 4.0 ora ha subito una brusca accelerazione e per molti sarà un processo irreversibile. Lo spazio a disposizione di chi lavora dovrebbe essere più versatile, trasformabile, personalizzabile, garantire momenti di privacy e di concentrazione e far evitare la sedentarietà.
Non è facile soddisfare queste condizioni nelle nostre case concepite non come uffici. Ma stanno nascendo nuove soluzioni d’arredo: librerie che includono nicchie adatte a una riunione online, pannelli divisori fonoassorbenti, tavoli con annessa una spalliera per consentire esercizi di stretching».
Cruciale, poi, la sicurezza. «L’informativa sul lavoro agile che si trova sul sito dell’Inail dà indicazioni molto chiare: evitare, per esempio, di lavorare in locali mal aerati o mal illuminati e verificare di stare in una postazione idonea per la propria attività» precisa Nausicaa Orlandi, presidente della Federazione nazione degli Ordini dei Chimici e dei Fisici e membro del Comitato tecnico-scientifico per l’emergenza Covid. «I videoterminalisti sono la maggior parte degli smart worker e tra i principali problemi per loro vi sono disturbi muscolo-scheletrici a causa della postura, disturbi oculo-visivi, stress. Ci sono però altre persone che lavorano a casa occupandosi di piccoli assemblaggi manuali o con attrezzature fornite dall’azienda, per esempio nel settore tessile, calzaturiero o manifatturiero, con rischi per la sicurezza legati alle attrezzature stesse che utilizzano».
La domanda ora è: continueremo a lavorare telestressandoci? «La materia è in evoluzione e ogni azienda dovrà adottare la soluzione più opportuna, preparando i dipendenti alle novità tecniche e organizzative» spiega Luca Brusamolino, Ceo della società di consulenza Workitect. «Intanto il vecchio ufficio si sta trasformando in una costellazione di luoghi e nascono coworking periferici in hotel e biblioteche». In attesa che tutto ciò dia frutti e che l’impulso allo smart working promosso dalla task force di Colao sia accolto, possiamo affidarci a un dispositivo tipo smartwatch che, di tanto in tanto, al monito di «Alzati e cammina», ci sciolga dall’incatenamento a tavolo & tablet.