C’è una piccola Italia che sta sparendo. L’Istat la fotografa con i numeri: 6.000 paesi abbandonati in 30 anni, più di 100 che rischiano di sparire. Gran parte di essi se ne stanno aggrappati sull’Appennino. Il cui spopolamento è un fenomeno complesso, importante. Che sta stravolgendo l’equilibrio di un intero ecosistema. Da anni, raccontiamo una controtendenza ancora troppo timida per essere definita tale. Il ritorno al borgo è una storia romantica, scritta da giovani che decidono di coltivare la terra e nomadi digitali, anziani in pensione e stranieri benestanti.
Abbiamo osservato il fenomeno senza crederci troppo, perché rientrava in quella che il professore di Urbanistica Lucio Zazzara, in un convengo a cui ho partecipato, ha definito la «dicotomia città/non-città che ha caratterizzato gli ultimi due secoli». Tanto più la città concentra i servizi, le opportunità, la contaminazione di competenze, il divertimento, tanto più ne subisce le dirette conseguenze: traffico, smog, disumanizzazione. E porta a elaborare progetti di fuga. Di rado radicali, più spesso concentrati nel weekend. Anche a costo di infinite code stradali per raggiungere il mare o le montagne vicine.
Qualcosa però sta cambiando. Quel convengo si teneva in un ex borgo abbandonato trasformato in albergo diffuso, a Castel del Giudice, in Molise. Vi si inaugurava un’opera d’arte contemporanea, che sarà un nuovo motivo per visitarlo. Appena ho preso possesso della mia casetta, ho controllato che ci fosse il wi-fi e ho provato a collegarmi alla mia redazione. La Rete viaggiava come fossi a Milano e ho lavorato per un paio di ore senza neppure accorgermi di essere in mezzo ai monti, a un’ora e mezza dalla prima stazione ferroviaria. È esattamente ciò che ho fatto negli ultimi sette mesi, riuscendo a lavorare in ogni parte d’Italia mi trovassi.
Forse qualcosa adesso può davvero cambiare. Magari non è il tempo in cui si ripopoleranno i borghi, ma potrebbe essere quello in cui rinasceranno le piccole città, attorno alle quali i borghi gravitano. «Una fuga da città ricche e dinamiche verso aree economicamente stagnanti o addirittura depresse non ha precedenti» scrivono Edoardo Campanella e Francesco Profumo sul Corriere della Sera. Le conseguenze? «I grandi centri come Milano o Londra, dove molti lavori a distanza rimarrebbero localizzati, continuerebbero a mantenere molta della loro influenza economica. Ma la ricchezza sarebbe meno concentrata e raggiungerebbe anche le aree più periferiche grazie a un loro graduale ripopolamento». E questo perché un lavoro ben retribuito ne crea in media altri cinque meno qualificati nella stessa economia locale.
Adesso proviamo a immaginare un’Italia con questa ricchezza diffusa. Non sarebbe un bel sogno? Mentre lo accarezziamo, inizia questa settimana su Donna Moderna un racconto nuovo del nostro Paese. Lo abbiamo chiamato Adagio e ci condurrà una volta al mese, con la guida di scrittori e studiosi, nei territori più remoti della nostra splendida Penisola. Buon viaggio.