La solitudine può far male al cuore, soprattutto se over 70. Non solo perché ci si può rattristare, ma perché può essere un fattore di rischio per problemi cardiovascolari. A dirlo sono i risultati di una ricerca australiana, condotta su un campione molto ampio di 11.500 persone, da cui emerge che l’isolamento, la mancanza di socializzazione e la vita solitaria per un anziano possono far aumentare del 66% la probabilità di andare incontro a problemi come infarto o ictus.
Al contrario, una rete familiare o di amicizie può aiutare persino a velocizzare la guarigione in caso di problemi cardiovascolari, come dimostra anche uno studio italiano.
Lo studio australiano
La ricerca, coordinata da Rosanne Freak-Poli dell’Università Monash in Australia e pubblicata su BMC Geriatrics, non lascia dubbi: solitudine e isolamento sociale possono essere considerati potenziali predittori del rischio cardiovascolare. Tradotto in parole più semplici: quando si vive soli, senza il contatto con familiari o amici, il rischio di ammalarsi di patologie cardiovascolari aumenta in modo sensibile. Lo studio è stato condotto su un campione di circa 11.500 persone, in particolare over 70, sia uomini che donne, seguiti mediamente per poco meno di cinque anni.
Nell’esaminare gli effetti di una vita “ritirata” gli esperti hanno considerato come “solitudine” la condizione di chi vive sentendosi solo almeno tre giorni alla settimana. Del campione hanno fatto parte anche coloro che vivono in cosiddetto “isolamento sociale”, cioè senza occasioni d’incontro o partecipazione ad attività con altre persone inferiori a quattro contatti al mese con amici o parenti.
Prognosi peggiori per chi vive solo
I risultati dell’analisi sono chiari, ma non stupiscono gli esperti: «Non si tratta di una novità in assoluto, ma certamente di una conferma importante: esiste un chiarissimo rapporto tra la deprivazione affettiva, cioè la carenza o mancanza di rapporti affettivi, e le patologie cardiovascolari, legato alla depressione che ha un effetto pro-infiammatorio. In pratica la depressione favorisce i processi infiammatori che sono poi alla base di questo genere di malattie» spiega Raffaele Antonelli Incalzi, Direttore UOC Medicina Interna del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, già direttore di Geriatria e presidente della Società italiana di Geriatria e Gerontologia.
Perché stare soli “fa male” al cuore
Ma cosa c’entra la vita “solitaria” con la salute del cuore? «I pazienti isolati tendono a sviluppare depressione, che non riguarda solo i processi cognitivi» spiega l’esperto. Ad essere coinvolto, insomma, non è solo il cervello, ma anche il cuore: «Questo accade perché la depressione altera l’equilibrio a livello del sistema nervoso centrale. Questa ripercussione provoca modificazioni vascolari, favorisce l’aterosclerosi e i fenomeni trombotici, che a loro volta possono scatenare patologie come appunto l’infarto o l’ischemia» aggiunge Antonelli Incalzi.
In compagnia si guarisce prima
Lo studio australiano non è il solo a indagare il rapporto tra solitudine e salute cardiaca. «Una ricerca italiana, condotta a Firenze, ha mostrato come i pazienti ricoverati nei reparti di terapia coronarica per infarto, quando ricevono visite di parenti o amici hanno una prognosi migliore rispetto a coloro che, a parità di condizioni cardiologiche, non le ricevono. La guarigione, dunque, avviene in maniera migliore, maggiore e più veloce – spiega l’esperto geriatra – Quindi abbiamo più conferme che la privazione affettiva abbia un effetto deleterio sullo stato di salute in generale e in particolare per le patologie cardiovascolari». Il principio per cui ciò avviene è identico a quello per cui chi vive in solitudine corre maggiori rischi di andare incontro a patologie cardiovascolari: «In questo caso gli effetti dei contatti con amici o familiari sono ancora più eclatanti. Il motivo riguarda il fatto che un malato che ha avuto un infarto va incontro a un aumento importante dell’infiammazione e a un rialzo brusco del tono simpatico del sistema nervoso centrale» spiega Antonelli Incalzi, riferendosi a quella parte del sistema nervoso autonomo che è responsabile delle funzioni corporee involontarie, come appunto quelle che riguardano il cuore. «È una condizione in cui l’effetto “moderatore” dei rapporti di amicizia e parentela è ancora più evidente» aggiunge l’esperto.
Quanto conta l’età?
Lo studio australiano si è concentrato su un campione di over 70. Quanto conta l’età nel rapporto tra la solitudine e la salute del cuore? «Senz’altro le patologie cardiovascolari sono più comuni dopo una certa età, ma è anche vero che il rischio di abbandono o isolamento è fortemente correlato all’età, insomma è maggiore col passare degli anni. In questa fascia di età, quindi, i rischi sono maggiori in generale» conclude l’esperto.