Quando appare sulla celebre rivista Life, la 16enne campionessa di scacchi Beth Harmon si accorge con disappunto che non hanno scritto nulla della sua inespugnabile difesa siciliana. «Diventerai famosa» le dice sua madre. «Solo perché sono una donna» risponde lei.
È una fiction, La regina degli scacchi, ma racconta la verità di molte prime donne, ancora oggi: fare notizia in quanto tali. E non solo all’inizio della carriera: anni dopo, quando Beth ormai campionessa americana andrà in Unione Sovietica per sfidare i più grandi del mondo, la stampa inizialmente parlerà più dei suoi vestiti che del suo gioco. Erano gli anni ’70. Oggi, nel 2020, essere “la prima donna” è ancora una notizia da prima pagina, lo spunto per editoriali epici, un requisito sufficiente a tessere grandiose aspettative.
Nel giro di poche settimane, Antonella Polimeni è diventata la prima rettrice dell’università La Sapienza di Roma, Maria Luisa Pellizzari la prima donna vice capo della Polizia, Kamala Harris la prima vicepresidente degli Stati Uniti. Roberta, la nipote 13enne di una mia amica, ha commentato quest’ultima notizia con un: «Peccato, avrei voluto esserlo io». Salvo farle notare che in Italia il posto di prima donna premier è ancora vacante, il suo “Peccato!” mi ha fatto riflettere. Non per l’ambizione che sprigiona, ma per il fraintendimento che lascia trapelare. E cioè che quello di essere le prime sia l’obiettivo e non il contesto. Che l’unico motivo per cui verremo celebrate sarà quel triste primato. Che la poltrona che occuperemo per prime conterà di più di cosa faremo sedute su quella poltrona.
A chi mi ha chiesto cosa significa per il mondo femminile l’elezione di Kamala Harris io ho risposto che ancora non lo so, ma che possiamo già fare un buon bilancio di ciò che ha significato quella di Angela Merkel, Jacinda Arden, Sanna Marin o Ursula von der Leyen. L’istinto umano è di cercare eroi, idoli. Ogni volta che raggiunge una posizione mai conquistata prima, una donna viene caricata del peso di rappresentare una grande speranza per le donne di tutto il Pianeta. Ma quale umano può portare una simile responsabilità sulle spalle? Liberiamole da ciò che rappresentano e guardiamole per ciò che sono. Donne che, anche senza modelli, hanno creduto nella possibilità di farcela. Nessuno è degno di celebrazione per ogni aspetto della sua vita. Restituiamo alle donne la dignità di essere valutate per come hanno giocato, non solo per aver raggiunto il tavolo da gioco.