Lechinacea, l’astragalo, le vitamine. Nell’ultimo anno abbiamo imparato a memoria la lista degli integratori che potrebbero rinforzare il nostro sistema immunitario e proteggerci dall’infezione del nuovo coronavirus. Forse, però, abbiamo dimenticato che esiste un sistema naturale, sicuramente il più vecchio del mondo: dormire bene. E a confermarlo ci sono diversi studi recenti.
«Il sonno controlla le funzioni di tutti i nostri organi, ha un’influenza persino sui tumori e sull’incidenza di parti prematuri, insomma sull’evoluzione stessa dell’uomo» spiega Piergiorgio Strata, professore emerito di neurofisiologia all’Università degli Studi di Torino e autore di Dormire, forse sognare. Sonno e sogno nelle neuroscienze (Carocci, 15 euro). «Un indizio sulla relazione tra sonno e difese immunitarie la ritroviamo già nel libro Stalingrado dello storico Anthony Beevor, che racconta l’assedio tedesco alla città tra il ’42 e il ’43. Tra le file tedesche si registrò un tasso di decessi per malattie infettive di cinque volte superiore alla media. Con molta probabilità quelle malattie erano dovute al fatto che i russi sferravano attacchi notturni, costringendo i soldati a vegliare notte e giorno».
Esiste una relazione diretta tra probabilità di contrarre i virus e sonno? «Sì. Lo conferma definitivamente uno studio recente condotto su 164 adulti. A ciascun volontario è stato somministrato un virus blando del raffreddore per cinque giorni, e contemporaneamente è stata valutata qualità e quantità del sonno. Si è visto che la percentuale di coloro che hanno preso il raffreddore era maggiore tra chi dormiva poche ore a notte: si è passati dal 17% in chi riposava più di sette ore al 45,2% tra chi registrava meno di cinque ore».
Come si spiega scientificamente questo fenomeno? «In condizioni normali durante il sonno l’organismo rilascia particolari proteine, chiamate citochine. Alcune di queste favoriscono il sonno, altre servono a coordinare le attività delle cellule nella risposta immunitaria quando c’è un’infezione o un’infiammazione. La privazione del sonno tende a ridurre la produzione di queste citochine protettive e, di conseguenza, abbassa le difese immunitarie. Anche nei ratti si è visto che questo ha come effetto collaterale, tra le altre cose, il formarsi di ferite infette nella parte profonda della cute».
Vale anche per il Sars Cov 2? «Il nuovo coronavirus non fa eccezione, certo. Inoltre, in mancanza di sonno anche l’efficacia di un eventuale vaccino sarebbe inferiore: l’organismo produrrebbe meno anticorpi».
Quante ore dovremmo dormire per essere in uno stato ottimale? «Nel 1938 lo studioso americano Nathaniel Kleitman e il suo studente Bruce Richardson, trascorsero 32 giorni in una caverna del Kentucky, liberi da ogni condizionamento esterno. La durata del sonno fu di circa nove ore. L’Oms afferma che nei Paesi industrializzati si dorme un’ora in meno, e questo danneggia la salute dell’individuo. Non è necessario andare a letto presto, ma assecondare quanto più possibile il proprio bioritmo: noi umani ci dividiamo tra “gufi”, che sono circa il 40% della popolazione e le “allodole”, è una questione di corredo genetico. A qualunque categoria si appartenga, contano regolarità e mantenimento del ritmo sonno veglia».
C’è chi afferma che gli bastino tre, quattro ore a notte per stare bene… «A volte c’è una sfasatura tra il tempo che si crede di dormire e quello in cui effettivamente si riposa. Servirebbe uno studio clinico che valuti con mezzi adeguati le effettive ore di sonno in questi soggetti e il loro stato di salute».
Quante notti in bianco bastano per indebolirci?
«Perdere qualche nottata non è un problema, si può recuperare nei giorni successivi. Anche i turni di notte non sarebbero consigliabili, ma se c’è un buon recupero del ritmo si può compensare. Chi ha problemi di insonnia è sicuramente in una situazione non facile».
Qualche consiglio? «Quando non ci sono patologie vere proprie le difficoltà a dormire sono spesso legate all’ansia. Per gestirla ci sono piccole regole che hanno un’efficacia dimostrata. La prima è andare a letto solo quando si ha sonno, se impieghiamo più di 20 minuti vuol dire che non era il momento giusto. Gli ansiosi non dovrebbero mai tenere un orologio sul comodino. Inutile dire che per chi soffre di questi disturbi i caffè non andrebbero presi a partire da sette, otto ore prima di andare a letto. Il nostro organismo produce sin dal risveglio adenosina, una sorta di sonnifero naturale. La caffeina è nemica dell’adenosina e le due sostanze “competono” riducendo ciascuna l’efficacia dell’altra. La sua eliminazione, poi, è molto lenta, con due caffè presi entro l’ora di pranzo abbiamo ancora un caffè in circolo all’ora di cena».
I farmaci possono aiutare? «Prolungano il sonno, ma non la sua qualità, perché riducono la durata della sua fase più profonda. Il sonno indotto non è fisiologico, anche se rispetto ai primi barbiturici le benzodiazepine hanno fatto passi avanti in questo senso. Ma c’è un aspetto da non sottovalutare legato ai possibili effetti collaterali. Una review su 15 studi che hanno coinvolto 159.090 persone mostra l’associazione tra l’assunzione di benzodiazepine e l’incidenza della demenza».
Il metodo per ritrovare il ritmo del sonno
Hai perso il ritmo del sonno, fai fatica ad addormentarti o ti svegli nel cuore della notte senza alcuna motivazione clinica? Matthew Paul Walker, professore di neuroscienze e psicologia presso l’Università della California suggerisce una particolare terapia cognitivo-comportamentale.
Tra le tecniche quella di aumentare progressivamente il periodo del sonno. Punta la sveglia in modo da dormire 6 ore. Comunque vada la notte, alzati al trillo. Il giorno successivo, sposta la lancetta in modo da dormire sei ore e dieci minuti, e prosegui aumentando l’intervallo di dieci minuti in dieci minuti per circa una settimana. Potrebbe aiutarti a riprendere il ritmo del sonno.
Anche stare all’aperto può essere d’aiuto. «Trascorrere mezz’ora alla luce del sole soprattutto nella tarda mattinata favorisce il ritmo sonno-veglia» spiega il dottor Piergiorgio Strata. «Una camminata di tre chilometri al giorno aiuta tutti, anche chi è in buona salute».