Avevamo chiesto un finanziamento per acquistare l’auto nuova o una tv. Poi la pandemia ci ha fatto perdere il posto di lavoro o i guadagni sono andati a picco. Come fare se non riusciamo più a restituire le somme? Ora c’è la possibilità di mettere in stand-by per massimo sei mesi o un anno le rate. In attesa che vengano tempi migliori, soprattutto per le nostre tasche.

Come funziona il prestito

Questa possibilità è frutto di due protocolli firmati dalle associazioni dei consumatori. Il primo, con l’Abi, Associazione bancaria italiana, consente di sospendere fino a un anno i finanziamenti erogati dalle banche. Lo stop, gratuito per chi lo richiede, riguarda però solo la quota capitale, mentre continueremo a pagare gli interessi. Si estende anche ai prestiti a rate erogati prima del 31 gennaio di quest’anno (non coperti da garanzia reale). Sono comprese le rate scadute e non ancora versate dopo questa data.

Il secondo protocollo invece, è stato concluso con Assofin, l’Associazione del credito al consumo. In base a questo accordo è possibile, per massimo sei mesi, sospendere i finanziamenti di credito al consumo e i prestiti di importo superiore ai 1000 euro, concessi dalle finanziarie. E in alcuni casi anche le operazioni di cessione del quinto dello stipendio. Rientrano dunque i finanziamenti – ma solo quelli più lunghi di sei mesi – per acquistare un’auto, un corso di lingue, un elettrodomestico. O i prestiti per far fronte a un bisogno di contanti immediato. La sospensione avrà l’effetto di far slittare di sei mesi il termine del prestito, allungandone la durata. La misura si rivolge a chi, dopo aver firmato un contratto di questo tipo, si sia trovato all’improvviso in difficoltà economica a seguito della pandemia, nel periodo compreso tra il 21 febbraio e il 30 giugno di quest’anno.

Chi può chiedere lo stop

La sospensione, che in gergo tecnico si chiama moratoria, non sarà a beneficio di tutti però. È pensata soprattutto per chi, appunto, è in crisi economica a causa del Covid-19. La difficoltà deve essere dovuta alla perdita del lavoro, subordinato o anche “atipico”. Oppure alla riduzione o sospensione dell’orario di lavoro per almeno 30 giorni (ad esempio per cassa integrazione). A trovarsi in cattive acque possono essere anche lavoratori autonomi, come imprenditori, artigiani, agenti di commercio. Oppure liberi professionisti, tipo avvocati e commercialisti. Purché riescano ad autocertificare che il loro fatturato sia calato di oltre il 33% in un trimestre successivo al 21 febbraio, rispetto all’ultimo trimestre del 2019, e ciò a causa di chiusura o sospensione dell’attività per rispettare le norme delle autorità sul coronavirus.

Infine potranno goderne anche coloro che hanno ereditato contratti di credito al consumo privi della polizza di protezione del credito (che prevede il pagamento di un indennizzo pari al capitale residuo). E ancora: i debitori in ritardo di pagamento per una o due rate, a patto che il prestito non sia stato acceso per rinegoziare un finanziamento non pagato.

La sospensione non è automatica

La domanda, redatta per iscritto, va inviata tramite email a chi ci ha concesso il finanziamento, indicando il possesso dei requisiti richiesti. È la società finanziatrice a scegliere se concedere la sospensione o meno. E, nel caso dell’accordo Assofin, se concederla per l’intera rata del finanziamento o per la sola quota capitale. Inoltre la sospensione non è automatica. Banche e finanziarie verificheranno il possesso dei requisiti da parte di chi presenta la domanda prima di decidere se accettarla o meno. Lo stop, d’accordo con il consumatore, può essere anche più breve di sei mesi.

Cosa accade se, pur avendone i requisiti, si nega lo stop?

L’abbiamo chiesto a Carlo Piarulli, responsabile nazionale credito di Adiconsum. «Anzitutto bisogna continuare a versare le rate, per evitare di finire nell’elenco dei cattivi pagatori. Poi possiamo rivolgerci a uníassociazione dei consumatori per farci tutelare». Anche se è piuttosto raro che ciò accada. A oggi è già boom di richieste: sono oltre 2,2 milioni le domande di adesione inoltrate, fa sapere la Banca d’Italia, per un totale di 233 miliardi di euro. Il 44% delle istanze proviene da società, mentre le richieste delle famiglie sono 1,1 milioni e riguardano prestiti per 72 miliardi di euro. La gran parte delle quali (78%) è stata accolta.

E se dopo sei mesi non si riesce ancora a pagare?

«Di solito i finanziamenti richiesti alle banche hanno tempi più lunghi, mentre i debiti con le finanziarie hanno una durata media più corta. Dunque sei mesi sono sufficienti per “rimettersi in sesto” con il denaro e riprendere con il finanziamento. Ma se ciò non dovesse accadere, a un mese dalla scadenza, possiamo chiedere un’ulteriore proroga per un altro semestre» prosegue l’esperto.

Niente sospensione? Si fa così

Cosa fare se non rientriamo nei requisiti per ottenere lo stop? Non serve perdersi d’animo. Possiamo ricorrere ad altri espedienti per alleggerire le rate. Ad esempio al cosiddetto consolidamento, detto anche finanziamento per ristrutturare i debiti.

«Si tratta di un nuovo finanziamento che ingloba il precedente, previsto dalla legge 3/2012, la cosiddetta ‘salva suicidi’. In pratica si fa la somma dei debiti accumulati con varie società finanziatrici. E ci si rivolge a una di loro o a una terza società affinché ci presti una somma che ci aiuti a coprire la somma totale. In modo da estinguere i vari prestiti e conservarne uno solo con il nuovo soggetto. Un unico piano, con tempi più lunghi per la restituzione e tante rate più piccole e quindi più facili da saldare» chiarisce Piarulli. «La garanzia che renderemo il denaro, in questo caso, deriva da un’ipoteca su un immobile di nostra proprietà o dalla fideiussione di un garante, cioè una persona che si impegna a pagare al posto nostro o una fondazione istituita a questo scopo (come la Onlus San Bernardino di Milano, per citarne una). Anche l’Adiconsum è l’unica associazione dei consumatori che mette a disposizione un proprio fondo dedicato alle situazioni di sovra-indebitamento a cui si può attingere, avendone i requisiti».

Di chi ci si può fidare

I prestiti di consolidamento spesso e volentieri sono offerti dagli intermediari creditizi: agenti che ci propongono prodotti di banche e finanziarie con cui hanno un accordo. Dunque dei veri e propri mediatori tra noi e l’istituto di credito. Non è sempre detto che siano onesti. Gli intermediari devono essere abilitati, spiega Altroconsumo, ed essere iscritti al registro gestito da OAM, l’organismo che gestisce l’elenco dei mediatori creditizi. Come difenderci:

– Verifichiamo sul sito OAM (https://www.organismo-am.it/elenchi-registri/) se il soggetto che abbiamo di fronte è abilitato o abusivo. In quest’ultimo caso, non firmiamo nulla e segnaliamolo all’organismo tramite posta elettronica scrivendo a: [email protected] oppure per posta tradizionale: OAM – Organismo Agenti e Mediatori, via Galilei 3, 00185 Roma;

– Mai pagare spese di intermediazione prima di aver letto i contratti e le condizioni economiche delle offerte che ci vengono proposte. Facciamoci consegnare tutti i documenti previsti per legge per informarci prima di firmare e prendiamoci il giusto tempo per leggerli con cura: il foglietto informativo, il SECCI, il PIES e il contratto vero e proprio;

– Controlliamo il TAEG (tasso annuo effettivo globale) ovvero il costo complessivo del prestito, compresa la cifra che dobbiamo all’intermediario. Teniamo presente sempre che questi agenti possono darci dei consigli e aiutarci con la pratica ma il credito viene concesso sempre da banche e finanziarie. L’intermediario non assicura che il prestito sarà erogato. Abbiamo diritto di recedere, cioè tirarci indietro, dal finanziamento entro 14 giorni dalla firma del contratto. E poi nel corso del finanziamento, recedere prima della conclusione. In caso di problemi possiamo mandare un reclamo scritto alla banca e all’intermediario che ci dovranno rispondere entro 30 giorni dal momento in cui lo ricevono. Se non siamo ancora soddisfatti, possiamo sempre bussare alla porta dell’Arbitro bancario e finanziario.