Scrivo all’indomani di un weekend di clausura forzata. I primi due giorni di caldo sole primaverile dopo che il ciclone Poppea ci ha lungamente inzuppati, lasciando sul tappeto la Settenne. Mal di gola e febbrone. Ergo: tutti in casa per il weekend.
Ma i malanni dei piccoli, lungi dall’essere invalidanti, hanno l’effetto di un boost creativo. E così: forbici, carta, colla, colori, nastri, adesivi, tempere. Alla domenica sera: splendidi manufatti, casa inagibile.
Ho finto di non accorgermene e goduto di tutto ciò che la contemporaneità offre.
Ho cenato con i piatti del mio ristorante preferito ordinandoli su un’app di consegna a domicilio.
Ho visto per la prima volta l’intera saga di Star Wars, scaricandola su Google Play.
E ho letto, letto, letto senza dover andare in edicola.
Soddisfatta? Non proprio.
Eppure, secondo il New York Times, avrei trascorso un weekend molto cool.
Per gli americani Stare a casa è il nuovo uscire, come titola un articolo in cui si dice:
«Il cibo, il divertimento, il romanticismo: i fondamentali del nostro weekend sono ora disponibili su richiesta. La forza centripeta delle nostre case non è mai stata più forte».
E lo pensano pure gli italiani, a giudicare dal grande successo della pagina Facebook Stare in casa is the new uscire: 70.000 fan che condividono la filosofia della fondatrice, ovvero che non esiste un luogo di godimento che possa competere con la casa.
Ed eccola lì, la falla. Il punto è che con due bambine e un’indole profondamente disordinata, la casa per me non è affatto uno spazio di godimento, ma un terreno minato dove stare attenta a ciò che calpesto.
Un luogo dove tutto quello che mi occorre non è mai al suo posto.
E dove qualsiasi angolo-rifugio va prima liberato da ciò che lo occupa abusivamente.
E poi concordo con Molly Young, che alla fine del suo pezzo sul New York Times dice:
«Uscire è il modo in cui cresciamo, sfidiamo noi stessi e scopriamo cose che non sono state costruite su misura per i nostri interessi da un algoritmo».
«Mamma, questo weekend è sembrato lunghissimo» mi ha detto la Settenne domenica sera.
«Non dirlo a me, tesoro».