Ben trovate, innanzitutto. Ci eravamo lasciate alla fine dell’anno scorso – dopo l’evento del 25 novembre al Teatro Elfo Puccini di Milano in cui abbiamo presentato la nostra Road Map contro la violenza – con la promessa di continuare a fare rumore per un futuro più giusto e paritario. E a noi piace mantenere le promesse. Dunque siamo qui per raccontarvi la nuova edizione del nostro progetto Libere e Uguali. Per una nuova idea di parità. Nel 2024 il corposo lavoro di indagine svolto grazie all’Osservatorio sui diritti realizzato con la società di ricerca Swg e alle tavole rotonde organizzate con la collaborazione scientifica dell’Università degli Studi di Milano e la consulenza di D.i.Re – Donne in rete contro la violenza ci ha portato a stilare 25 proposte concrete per contrastare la violenza di genere, che abbiamo consegnato alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
La seconda edizione di Libere e Uguali: abbattiamo gli stereotipi di genere
Quest’anno abbiamo deciso di fare un passo avanti per rendere concrete alcune di quelle proposte. Come? Lavorando su quattro pilastri: lotta agli stereotipi di genere, per abbattere retaggi e condizionamenti che più o meno consapevolmente ancora si annidano nel nostro modo di pensare, parlare, agire e che inchiodano le donne a ruoli predefiniti; educazione all’affettività, per insegnare fin da piccoli a entrare in contatto con le proprie emozioni, rispettando anche quelle degli altri; indipendenza economica e genitorialità condivisa, per garantire a uomini e donne pari opportunità nel lavoro e supportare le madri lavoratrici; contrasto alla violenza e ruolo dei media, per responsabilizzare i professionisti dell’informazione a una cultura rispettosa della donna.
Come si struttura il nostro progetto
La durata e la struttura del progetto, che continuerà ad avvalersi della collaborazione scientifica dell’Università degli Studi di Milano, saranno le stesse dell’anno scorso: 9 mesi, 4 sondaggi realizzati con Swg, 4 tavole rotonde a cui parteciperanno associazioni, psicologi, scrittori, docenti, avvocati, pedagogisti e un grande evento finale il 25 novembre, in cui presenteremo una campagna sociale sugli stereotipi e un report che raccoglierà le riflessioni e gli spunti emersi dai nostri incontri per costruire una società che sia davvero dalla parte delle donne. Seguiteci! Sarà un cammino importante, da fare tutte insieme.
Da tanti piccoli passi nasce la grande rivoluzione
Quegli stereotipi di genere duri a morire
Nella prima indagine della nuova edizione dell’Osservatorio sui diritti abbiamo indagato gli stereotipi di genere, consci e inconsci, che sono la causa principale di una cultura non paritaria. Perché mettono le donne in una posizione di subalternità in tanti ambiti della vita familiare, lavorativa, sociale, rendendole vulnerabili. E creano una narrazione che cristallizza e giustifica la violenza. È un po’ come se rendessero rigidi e vincolanti alcuni nostri pensieri. Ce lo suggerisce l’etimologia stessa della parola “stereotipo”, dal greco “stereos”, rigido, e “typos”, impronta: inizialmente indicava gli stampi di cartapesta rigidi e riutilizzabili usati per stampare le lettere in tipografia. Poi, agli inizi del ’900, quando presero piede gli studi di psicologia sociale, il termine venne usato per indicare le immagini mentali con cui rappresentiamo rigidamente la realtà, come una sorta di “calco cognitivo”.
Smantellare gli stereotipi è un dovere di tutti
Proprio perché questa battaglia riguarda tutti, maschi e femmine, il sondaggio è stato realizzato grazie a più di 1.000 interviste (524 a donne, 477 a uomini, tutti maggiorenni), includendo i ragazzi della Generazione Z. Per cambiare la cultura e costruire un futuro più giusto dobbiamo ascoltare anche le loro voci, i loro punti di vista e le loro richieste. E tutti insieme dobbiamo imparare a conoscere gli stereotipi che ancora ci ingabbiano, a osservarli senza paura né vergogna.
Solo la consapevolezza di nutrire un pregiudizio ci permette di superarlo. E di avere un nuovo sguardo, più aperto e più libero
La parità di genere: un’alleanza di genere è possibile
Partiamo con una buona notizia. Quando si parla di parità di genere, oltre 8 italiani su 10 si sentono vicini a questo tema. E lo sono particolarmente le ragazze della Generazione Z (91%). «Il numero che mi colpisce di più, però, è quello degli uomini (l’80% dichiara che la parità di genere è in linea con i propri valori, ndr): finalmente questo tema sta diventando un punto fermo trasversale e non più una battaglia delle donne per le donne» spiega Irene Pellizzone, professoressa associata di Diritto costituzionale dell’Università degli Studi di Milano, cofondatrice – con Marilisa D’Amico, ordinaria di Diritto costituzionale presso l’Ateneo, figura di spicco degli studi di genere in prospettiva giuridica in Italia – dell’Osservatorio sulla violenza contro le donne dell’Università degli Studi di Milano e autrice – insieme ad Anna De Giuli e Francesca Poggi – del Dizionario breve sugli stereotipi associati alla violenza di genere e alla vittimizzazione secondaria.
L’uguaglianza è ancora lontana
Come dice la regista Cristina Comencini, «bisognerebbe pensare che la ricchezza del cambiamento che le donne hanno prodotto sia nella venuta al mondo di un altro sguardo. Uno sguardo che non vuole cancellare l’altro, ma far vivere un mondo abitato e guardato da due esseri diversi ma pari». Uno sguardo che crea alleanza, che permette alle nostre idee di volare alto e a noi di unire i puntini, accorciando le distanze. «Il femminismo non è morto e dalle ragazze non viene visto più con lo stereotipo della mamma o della nonna che hanno combattuto battaglie che non le riguardano, ma come un patrimonio importante che non ha futuro se non (ri)conosce il proprio passato e che va ampliato e tutelato» osserva Irene Pellizzone.
La strada da fare è lunga e la parità è ancora lontana, come dichiarano il 32% degli uomini e il 45% delle donne (che diventa 53% tra le ragazze)
Gli stereotipi di genere nei ruoli sociali e familiari: noi belle, loro forti
Parlando di ruoli, gli stereotipi vengono subito a galla e pesano sulle spalle sia degli uomini sia delle donne: i primi devono essere i “decision maker” (per il 20% delle donne) e la fonte principale di reddito (per il 27% delle donne); alle seconde, invece, restano ancora incollati addosso i ruoli di cura (per il 61% degli uomini) e gestione della casa (per il 40% degli uomini). La genitorialità? Piuttosto condivisa, finalmente. Alle donne, però, non restano attaccate solo le etichette che riguardano i ruoli nella famiglia o nella società (un dato su tutti: per il 27% delle italiane il successo di una donna si giudica dall’essere una buona madre), ma anche le parole che identificano come dovremmo essere. Nella Top 3 femminile ci sono bellezza (28%), gentilezza (27%) e cura (25%). Come a dire che ancora oggi, nell’Italia del 2025, le donne devono innanzitutto essere belle e curarsi (di loro stesse e degli altri!). Forse siamo ferme lì perché il nostro corpo non è mai solo nostro. Non abbiamo deciso le sue forme e soprattutto è sempre guardato, fotografato, giudicato dagli altri, in particolare dallo sguardo maschile che lo vuole desiderabile.
Se smantellassimo gli stereotipi saremmo tutti più liberi
«Gli uomini, invece, devono essere razionali, forti e fermi: per non deludere questi standard sociali molto spesso mettono il coperchio sull’acqua che bolle, inibendo così le loro emozioni» spiega Irene Pellizzone. Ma dall’acqua bollente si può sviluppare un maremoto di rabbia che, se non viene riconosciuta, può trasformarsi in violenza. Per questa ragione è importante disinnescare le etichette: significa lasciare gli altri e noi stessi liberi di essere ciò che davvero desideriamo. «Ed è bello immaginare, prendendo spunto proprio da una delle domande del vostro sondaggio, che in un mondo senza stereotipi, quando cioè la società non ha aspettative su di noi, occuparsi per esempio delle faccende di casa o dei parenti anziani possa diventare un piacere» aggiunge Chiara Gregori, sessuologa e ginecologa.
Un po’ come se scrollarsi di dosso certe gabbie avesse il potere di rendere le persone più libere di fare scelte virtuose
A scuola a che punto siamo?
Purtroppo le gabbie sono ancora presenti anche nel mondo della scuola, dove alcuni stereotipi sono duri a morire: l’84% dei ragazzi della Generazione Z pensa che i maschi siano più propensi a scegliere un percorso Stem, mentre l’88% degli italiani dichiara che per le femmine siano più adeguati studi umanistici. «I dati sono preoccupanti ma, visto che questi stereotipi vengono introiettati già dall’asilo, dobbiamo avere ancora un po’ di pazienza: penso che nei prossimi anni vedremo i frutti di tutto il lavoro che stiamo facendo con i bambini e i ragazzi di oggi» commenta Irene Pellizzone.
Per abbattere gli stereotipi di genere dovremmo moltiplicare i modelli
Meno fiduciosa è Laura Nacci, divulgatrice linguistica, docente di gender equality in ambito professionale, direttrice della formazione dell’ente non profit SheTech e autrice, insieme a Marta Pettolino Valfrè, del libro Che palle ’sti stereotipi: 25 modi di dire che ci hanno incasinato la vita (Fabbri). «Nel 2024 le ragazze laureate in materie Stem sono state il 16,8%, i ragazzi il 37%, più del doppio. E, visto che i dati di una recente ricerca di Google ci dicono che da qui a 5 anni un posto di lavoro su quattro sarà legato alle materie tech, questo significa due cose: che le donne rischiano di perdere il lavoro e che si precludono percorsi di carriera più sicuri e più retribuiti» spiega. La soluzione? «Dovremmo moltiplicare i modelli: se non vedo una storia diversa, non mi viene neanche in mente che si possa intraprendere una strada diversa» continua Nacci. E per farlo dovremmo anche avere il coraggio di usare il potere delle parole, concedendoci la libertà di chiamarci avvocata, ingegnera, architetta… Senza paura. E senza pensare che la desinenza femminile ci sminuisca.
Il linguaggio: quando il sessismo c’è ma non si vede
«Sei una donna con le palle», «Dai, smettila di fare la femminuccia», «È arrivata la maestrina». Sono solo alcuni modi di dire che ci capita di sentire tutti i giorni, a volte anche di pronunciare, e che creano terreno fertile per la disparità, come dichiarano 4 donne su 10. «Sul linguaggio siamo ancora molto indietro» conferma la professoressa Irene Pellizzone. «Da un lato, perché gli uomini sottovalutano il problema, e ce lo dicono anche i dati: per il 50% di loro le tipiche frasi sessiste sono solo battute. Dall’altro, perché da sempre si pensa che le battaglie sul linguaggio siano astratte». Un errore gigantesco.
Il potere delle parole
«Le parole creano universi, segnano confini di genere, costringono le donne (e gli uomini) in ruoli prestabiliti e diventano visioni del mondo, cambiando le percezioni, i racconti della realtà e i comportamenti» spiega Laura Nacci, divulgatrice linguistica. Ma non solo. «Penso che se la genitorialità, come emerge anche da questo sondaggio, oggi è un valore condiviso tra madre e padre, forse il merito è anche un po’ delle parole e della loro evoluzione. Fino al 1975 si parlava di “patria potestà”, dal 2013 si diceva “potestà genitoriale”, adesso il termine usato è “responsabilità genitoriale”» continua Nacci.
Le parole possono accelerare e supportare i cambiamenti sociali
Anche nella sessualità le parole sono importanti
In conclusione, torniamo al tema iniziale: l’alleanza. Fondamentale tra uomini e donne. Ma ugualmente importante tra donne e donne. Siamo infatti le prime a giudicare male le nostre “colleghe” che parlano in maniera esplicita di sesso (lo fa il 31%). «Il problema, anche qui, sta nelle parole. Erroneamente, infatti, si pensa che se usi un linguaggio gergale sei meno bacchettona» spiega Chiara Gregori. «In realtà, la sessualità non ha bisogno di diventare volgare, può essere poetica. Anzi, dare nome al nostro sentire ci rende più liberi e ci permette di identificarci con la nostra sessualità e di trovare storie e parole nuove» conclude l’esperta.
Come disse Pauline Kezer, politica americana, «la continuità ci dà le radici, il cambiamento ci regala i rami, lasciando a noi la volontà di estenderli e di farli crescere fino a raggiungere nuove altezze»
Con la collaborazione scientifica di Università degli Studi di Milano
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