Fatica e sollievo. Dolore e felicità. Fine e inizio. Il divorzio ha portato tutte queste cose ad Alida Filanti. E tutte insieme. Gli 80 anni appena compiuti si disegnano sul volto e sulle mani di questa donna piena di energia, che abita alle porte di Roma. Pensionata, sempre di corsa tra i nipoti e le mille passioni che solo il lockdown ha archiviato. Questi, allora, sono giorni di relax. E di pensieri. Perché lei quei giorni di dicembre del 1970 se li ricorda fin troppo bene. «Ho seguito l’approvazione della legge sul divorzio con grande trepidazione. Allora non c’erano Internet o la tv accesa ogni secondo, ma se ne parlava ovunque, al bar e al mercato, e l’Italia era schierata come mai prima. Io non mi perdevo i giornali radio e ho fatto incetta di quotidiani in edicola». Quella notizia Alida la voleva per staccare le macchine che tenevano in vita un rapporto finito da tempo. O addirittura mai cominciato. «Ero una ragazza tosta e un po’ ribelle. Non andavo a caccia di marito come le amiche, preferivo leggere e lavorare per mettere a frutto il diploma da segretaria ottenuto a fatica, perché secondo papà era inutile. Però, in fondo, sognavo il principe azzurro». Tanto che a 24 anni sposa Lino, figlio di amici di famiglia che le promette una quotidianità agiata. «Ero innamorata? In realtà non sapevo cosa significasse. Più che altro, volevo andarmene da casa. Conoscevo da parecchio Lino, era romantico e mi fidavo di lui. Ma è stata proprio la fiducia a crollare. Era sempre fuori, diceva per lavoro, e io lo aspettavo insieme ai suoi genitori anziani. Quando sono rimasta incinta, nel 1966, mi ha convinto a lasciare il lavoro».

La vita agiata si trasforma in una prigione fredda, costellata di silenzi, tradimenti e solitudine.

«Non facevo altro che piangere, ma tutti mi dicevano che una buona moglie deve sopportare. Quando ho confessato ai miei genitori che volevo lasciare Lino, mi hanno detto che per me sarebbe stata la fine, sarei stata una ripudiata: chi si sarebbe presa una signora così. Come se fossi un pacco…». Gli anni passano, l’unica salvezza di Alida è il figlio Alessandro. Fino a quel giorno del 1970 in cui nel nostro Paese il divorzio diventa una realtà: la legge viene approvata il 1° dicembre ed entra in vigore ufficialmente il 18. «Ho conservato il ritaglio del giornale in cui si raccontavano le novità e le prime sentenze, sembrava così semplice. E a gennaio del 1971, di nascosto, sono andata da un avvocato. L’ho fatto senza pensarci, d’istinto». In quello studio dai mobili scuri l’ottimismo viene spazzato via da un iter tortuoso e da troppe domande: suo marito accetterà il divorzio e, soprattutto, come sarà il futuro? Anche se gli interrogativi pesano come macigni, Alida non si piega. «Con Lino non ci parlavamo più e quando una sera, nel buio della nostra stanza, gli ho annunciato le mie intenzioni non ha quasi battuto ciglio. Ha solo sentenziato che ero una delusione, un fallimento, e che non mi avrebbe dato un centesimo. I soldi, infatti, erano un incubo: l’avvocato è stato un angelo e ha accettato di essere pagato alla fine e a rate. Così, ho radunato le poche cose che avevo e sono tornata dai miei».

I genitori accolgono Alida, ma per mesi non le rivolgono quasi la parola e negano l’evidenza

«I miei genitori non osavano dire ad amici e parenti che avevo chiesto il divorzio. Ma una mia cugina l’ha capito e mi ha aiutato a ottenere un impiego in un ufficio di assicurazioni. Mettevo da parte ogni centesimo e la notte studiavo per non essere da meno rispetto ai colleghi più giovani e preparati. Dopo un anno, ho trovato una casa tutta mia». Alida mostra orgogliosa le foto Polaroid del primo appartamentino, con Alessandro in piedi sul tavolo del soggiorno. «Anche per lui è stata dura. Non gli mancava il padre, in fondo non l’ha quasi mai avuto. Gli pesava essere diverso, a scuola lo chiamavano orfano». Lo faranno per anni. E anni durerà anche il cammino verso il divorzio. Tra separazione, udienze e rinvii, Alida firma le carte che la rendono una donna libera nel 1982. È talmente provata che non ha neanche la forza di festeggiare. «Ci ho messo un po’ per realizzare. Pian piano, mi sono sentita libera e mi sono ripresa quello che il matrimonio mi aveva scippato: le risate con le amiche, le buone letture e il cinema, le vacanze felici con mio figlio. L’amore? Non volevo sentirne parlare. Qualcuno mi faceva la corte, si dice ancora così? Io ero indifferente, troppo scottata».

È Giovanni a farla ricredere. È il papà di un amico di suo figlio, anche lui con tanti dolori sulle spalle

«È entrato nella nostra vita con delicatezza, senza chiedere nulla. Ecco, lui mi ha fatto la corte, ha abbattuto i fantasmi del passato. Il divorzio mi aveva lasciato tanta sfiducia nei sentimenti: ero diventata ancora più forte e sono orgogliosa di come l’ho gestita, lo rifarei mille volte perché la mia serenità valeva tutto, anche se le ferite emotive ci sono ancora adesso, e a volte fatico a lasciarmi andare. Io e Giovanni abbiamo fatto tutto con calma e siamo andati a convivere solo quando i ragazzi erano già quasi sistemati. Niente cerimonie o matrimoni, non serviva un sì per dire al mondo che volevamo invecchiare insieme». Tra gli album di fotografie che mi mostra, ecco quello delle nozze del figlio Alessandro. «Le sue sono state davvero piene di gioia. Sa, davanti a lui non ho mai parlato male del padre (che intanto si era risposato ed è morto l’anno scorso, ndr), degli uomini o dell’amore. Anzi ho voluto sempre fargli capire che senza affetti diventiamo più tristi e poveri, un concetto che ripeto anche ai tre nipoti. Infatti, l’unico rimpianto che ho è non aver avuto altri figli. Sono un po’ tradizionalista in questo e avrei volentieri regalato una sorellina al maschio. Ma con mio marito non c’era proprio il sentimento giusto e dopo… Già ero una ripudiata, figuriamoci se avessi avuto un bimbo da single».

«Mi piacciono le nuove generazioni, le invidio parecchio»

È tempo di salutarci, Alida deve fare una videochiamata proprio ai ragazzi di casa. «Mi piacciono le nuove generazioni, le invidio parecchio. Non sono obbligate ad andare all’altare per “sentirsi qualcuno” o per diventare madri. E, soprattutto, non devono impazzire per dire addio a una relazione senza senso. Sono favorevole al divorzio breve: alla fine io ho regalato ai tribunali 10 anni della mia esistenza, tanti soldi e notti insonni che magari avrei potuto investire su altro. Le dirò di più, sono d’accordo anche con i contratti prematrimoniali come fanno in America, così metti subito le cose in chiaro e non hai sorprese in futuro. Non è per il divorzio lampo che la gente si lascia di più, ma perché non ha aiuti e tutele per mandare avanti una famiglia. Io ho fatto tanti, troppi sacrifici e capisco che i giovani oggi non vogliano farli. E penso anche che a troncare i matrimoni siano tante coppie dai capelli grigi che non hanno voluto patire le tribolazioni che ho sofferto io in passato, e adesso si riprendono quella felicità che si meritano».