La storia di Roberta Lanzino fa paura perché è la storia di una persona comune, in una situazione comune, con un brutto finale. È la storia orribile di una donna che può capitare a qualunque donna.

Roberta Lanzino ha 19 anni ed è una studentessa, frequenta l’Università della Calabria che ha sede proprio nella sua città, Rende, in provincia di Cosenza.

Siamo alla fine degli anni ’80. Le pettinature sono vaporose e si va in giro con le giacche di jeans e i motorini esili che sembrano poco più che biciclette, come il Sì blu della Piaggio che guida Roberta e che la porta in giro per la città, per lo più dall’università a casa, dove la aspettano tutti i giorni per il pranzo e per la cena. Poi, qualche volta, la sera esce con le amiche. Attraversando il corso, parlano di ragazzi, di esami, di vacanze, di musica, insomma di tutto quello di cui può parlare una ragazza di 19 anni a Rende alla fine di luglio del 1988.

Roberta e la sua famiglia ogni anno per l’estate si trasferiscono a Torremare di Falconara, che è sulla costa, a circa trenta chilometri da Rende. Roberta deve viaggiare con il Sì, perché poi possa usarlo anche lì ed essere indipendente. I suoi genitori invece partono in macchina, ma con qualche minuto di ritardo: devono prendere un paio di cose in garage e, mentre si avviano, pensano che sarebbe carino portarsi già un cocomero e poi forse è meglio riempire un bidoncino d’acqua alla fontanella.

Roberta è sul motorino, potrebbe prendere la statale ed essere in poco più di mezz’ora a Torremezzo, ma non si fida della 107, le macchine vanno troppo veloci e il suo Sì è troppo esile. Così prende una strada interna, che è un po’ più lenta ma è più sicura.

Come nel più angosciante dei racconti, quando è lì sul sentiero si perde. Va avanti, torna indietro. Non sa che strada deve prendere all’incrocio. Chiede indicazioni a un contadino. Poi a delle persone su un furgoncino, che, quando la vedono allontanarsi, si preoccupano perché si accorgono che forse c’è una macchina che sta seguendo la ragazza simpatica e sorridente, con il jeans e i capelli vaporosi, a cui hanno appena spiegato la strada.

La macchina è una Fiat 131 e sopra ci sono due uomini. Affianca il motorino di Roberta. Il furgonicino si allontana.

Roberta viene ritrovata all’alba del giorno dopo in mezzo ai campi. È stata seviziata, violentata e uccisa.

Per quasi venti anni, oltre al dolore della perdita e all’orrore di aver visto la propria figlia ridotta in quelle condizioni, i genitori di Roberta non potranno dare un volto ai due uomini.

Non potranno perché questa è sì una storia comune, la storia di un femminicidio, ma è anche una storia ambientata nella terra dell’ndrangheta dove nessuno parla e il potere della paura governa molte menti.

Ci vuole la confessione di un pentito per dare un nome ai due assassini, nel 2007. Uno è già morto, un anno dopo l’omicidio di Roberta, ucciso dal suo stesso complice per paura che parlasse: si chiama Luigi Carbone. L’altro è Francesco Sansone, uomo legato alla ‘ndrangheta che lo ha aiutato a tenere nascosta questa storia per tutti questi anni.

La storia di Roberta Lanzino è anche una graphic novel pubblicata da Round Robin Editrice in collaborazione con l’associazione daSud, disegnata da Marina Comandini e scritta da Celeste Costantino, oggi deputata alla camera che ha proposto l’introduzione di un’ora di educazione sentimentale nelle scuole proprio per colpire alla radice la malacultura che sorregge le violenze sulle donne e il femminicidio. Abbiamo intervistato Celeste sul n. 27 di Donna Moderna, adesso in edicola.