Nella strage di Sassuolo un uomo ha sterminato la ex compagna, Elisa Mulas, i suoi bambini di due e cinque anni e la suocera. Ha risparmiato il bisnonno, molto malato. Ai suoi bambini invece prima ha portato gli ovetti di cioccolato, e poi li ha uccisi, mentre Elisa (l’hanno sentita i vicini) implorava di non farlo. L’unica sopravvissuta, con il bisnonno, è l’altra figlia di Elisa, che al momento era a scuola. Ma è come se fosse morta anche lei insieme alla sua famiglia: ha perso la mamma, i due fratellini di due e cinque anni, la nonna. Il padre si è – sembra – ucciso. Che ne sarà di lei? Che fine farà? Nessuno ne parlerà perché giustamente calerà il riserbo più assoluto su di lei da oggi in poi. Ma è giusto che tutti noi ci chiediamo quale sarà la sua vita, con chi starà e soprattutto come starà.
Com’è la vita di un bimbo a cui viene uccisa la mamma
È giusto che ce lo chiediamo perché dei figli sopravvissuti a questo orrore non si parla mai. Un orrore poco raccontato e indagato, talmente nell’ombra che non esistono neanche stime certe. Si parla di 2000 bambini orfani di femminicidio e l’unico studio italiano esistente è del 2015. Fotografa una condizione talmente ingarbugliata e impregnata di sofferenza, così avviluppata, che quasi impone – ma non giustifica – una rimozione collettiva. Lo spiega la pediatra Maria Serenella Pignotti, da una vita impegnata nella tutela dei bambini. «Non c’è niente di peggio per un bambino che perdere la sua famiglia così: la mamma, oggetto di amore assoluto e i fratellini, per i quali ogni bambino è disposto a dare la vita, tale è l’istinto materno verso i più piccoli che i fratelli maggiori sviluppano. Questa ragazzina è stata condannata a un lutto eterno. Gli studi esistenti ci fanno pensare che sarà gravemente disabile tutta la vita perché avrà bisogno di un supporto psicologico costante. Molto probabilmente avrà problemi di relazione, disturbi del sonno, cambiamenti di carattere, depressione, aggressività, dipendenze da sostanze stupefacenti e alcol. Senza contare le malattie che può sviluppare come conseguenza di questo trauma: gli studi ventennali sulla violenza assistita dimostrano che i minorenni vittime di violenza in famiglia sono ad alto rischio di malattie del sistema immunitario, ma sono bersagli facili anche per il cancro».
Di violenza assistita e dei danni procurati ai bambini parliamo nella diretta Instagram di mercoledì 25 novembre, Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Con noi proprio la dottoressa Maria Serenella Pignotti e Antonella Fontana, una donna sopravvissuta a varie aggressioni dell’ex compagno e salvata dai suoi figli.
Un orrore prevedibile nel 25% dei casi
Tutto questo orrore però spesso è prevedibile. Un femminicidio è solo il culmine di una serie di atti. «Nel 25 per cento dei casi, questi omicidi sono prevedibili, cioè diretta conseguenza di minacce pronunciate contro la donna» dice la dottoressa Pignotti. «I dati dimostrano però che queste minacce non vengono credute, non si pensa cioè che si trasformino in un assassinio concreto. Come nel caso di Sassuolo, appunto, in cui l’assassino aveva mandato messaggi vocali a Elisa, che lei aveva consegnato ai carabinieri insieme alla denuncia. Eppure, non è stata protetta. Ricordiamoci che anche la minaccia di morte è un reato grave, fa stare male, provoca danni all’equilibrio di vita di una persona, quindi va punito. Chi minaccia va contenuto e la vittima messa in protezione. Almeno un quarto delle vittime, oggi non lo sarebbero».
La legge tutela gli orfani ma spesso solo sulla carta
Scenderà il silenzio anche sulle persone con cui vivrà la figlia di Elisa Mulas, avuta da una precedente relazione. La nonna materna non c’è più. «C’è da augurarsi che resti nel nucleo familiare originario. Spesso questi bambini invece ne vengono allontanati e sistemati in case famiglia. Bisogna combattere invece perché resti in quel rimasuglio di famiglia che ormai ha strutturato dentro di sé» dice la dottoressa. E poi dobbiamo augurarci che resti nelle maglie della tutele previste dalla legge per i bambini orfani di femminicidio. L’Italia ha un’ottima legge entrata in vigore il 16 febbraio 2018. Una legge – unica nel panorama europeo – che ha introdotto per la prima volta tutele per i bambini e i ragazzi rimasti soli dopo l’uccisione della madre da parte del padre. Prevede l’accesso al gratuito patrocinio, l’assistenza medico-psicologica, la sospensione per l’omicida della pensione di reversibilità e del diritto all’eredità, la possibilità per l’orfano di modificare il cognome. Sul fronte economico è prevista l’assegnazione alle famiglie affidatarie di 300 euro al mese per ogni minore, borse di studio, orientamento e avviamento al lavoro, sgravi fiscali per chi assume, rimborso delle spese mediche e sostegno psicologico. Ma spesso resta tutto sulla carta.
Un orfano di femminicidio è come una vittima di guerra
L’iter per accedere ai fondi è complesso e occorre attendere i tempi della giustizia, con tribunali in affanno di fronte a bambini che vivono un’emergenza vera: cambio di casa, di scuola, di contesto. Lo ha spiegato a Sky Tg24 il Prefetto Marcello Cardona, Commissario per le vittime di reati violenti: «Bisogna guardare anche a una immediatezza dell’intervento. In questi ultimi mesi si sta lavorando con l’ufficio legislativo del Ministero dell’interno per poter intervenire a favore degli orfani con una provvisionale che potrebbe essere anche a fondo perduto. Mi spiego: se mi trovo di fronte a questa situazione di emergenza, ho bisogno di trasferire il bambino da una scuola a un’altra, oppure bisogna avere subito una somma a disposizione importante per fargli cambiare casa, addirittura per fargli cambiare contesto sociale». La verità è che un orfano di femminicidio va assistito per tutta la vita, e non solo economicamente. È come una vittima di guerra. Una guerra che, oggettivamente, per quel reato, lo Stato ha perso, perché non lo ha saputo intercettare.