Grazie alle tecnologie digitali possiamo fare molte più cose e più velocemente. Ma è anche vero che, a causa degli stessi strumenti, dobbiamo impegnarci di più: controllare le notifiche, rispondere alle mail, curare l’immagine online. Come gestire al meglio, nel privato e sul lavoro, il delicato rapporto tra noi e il web? Ne parliamo con Marco Fasoli, ricercatore nel dipartimento di Sociologia dell’università Milano-Bicocca, autore di Il benessere digitale (Il Mulino) e tra i massimi esperti italiani di “tecnostress”.

Lei sostiene che noi consumiamo i media digitali come fossero cioccolata. In che senso? «Alcune attività che facciamo con i nostri dispositivi sono gratificanti per il cervello. Per esempio, ricevere un like può attivare aree cerebrali che fanno parte dei cosiddetti circuiti del piacere. Nelle società del web lavorano psicologi e statistici che applicano la psicologia comportamentale, tanto che alcuni elementi tipici dei giochi d’azzardo vengono presi e adattati alle piattaforme. Si costruiscono siti e app tali da spingere gli utenti a stare a lungo connessi o ad andare online più spesso».

Lo scopo? «Più tempo io utilizzo una certa piattaforma, più le aziende del digitale possono raccogliere informazioni sui miei gusti per poi venderle. Il nostro sovraconsumo di certe attività con i media online, così come le continue interruzioni per dedicarci ad esse, sono prezzi che paghiamo ai colossi del web per usare le piattaforme gratis».

Un prezzo in termini di privacy, ma anche di stress. «Certo, faccio qualche esempio. Le continue notifiche ci distraggono. Se restiamo senza cellulare soffriamo di Fomo (fear of missing out), la paura di essere tagliati fuori dal flusso di comunicazioni. Lasciare messaggi in sospeso ci crea ansia perché ci ritroviamo con un accumulo difficile da gestire. Poi ci sono conseguenze fisiche, dalla postura sbagliata all’affaticamento degli occhi».

Il multitasking aiuta a gestire questo sovraccarico informativo? «Non è efficace perché la nostra attenzione ha limiti rigidi. In realtà facciamo “task switching”, cioè slittiamo da un compito all’altro abbassando così la qualità delle performance. È provato che lo stress digitale porta a una frammentazione dell’attenzione e peggiora sia le relazioni sociali sia la produttività».

A proposito di relazioni sociali, come è cambiato il modo in cui ci si propone alle aziende? «Una volta ci si presentava di persona o con il curriculum, che però riguarda solo la sefra lavorativa. Oggi lo facciamo con i profili social che riportano una nostra immagine più ampia e vanno gestiti in modo strategico».

In che modo cambia il rapporto con i colleghi? «La tendenza a rispondere in tempi brevissimi o nei giorni festivi – soprattutto da parte dei sottoposti ai capi – può essere un modo per mostrare di essere completamente votati al lavoro. Ma così la linea che separa tempo lavorativo e tempo privato diventa sottile e questo incide sulla qualità della vita. Non a caso, l’articolo 55 della Loi du travail francese ha stabilito il diritto alla disconnessione per i dipendenti di aziende con più di 50 persone».

Abbiamo strumenti di difesa? «Diciamo subito che la sola forza di volontà non basta, serve un vero programma di educazione digitale. Ci sono, però, accorgimenti che possono aiutarci. Per esempio, in alcuni momenti impostiamo la messaggistica istantanea di modo che arrivino solo le notifiche di un gruppo di persone selezionato da noi e non a pioggia da tutti i nostri contatti. Usiamo programmi, come Anti-Social e Freedom, che bloccano l’accesso a Internet per alcuni minuti o poche ore. E attiviamo la modalità notturna degli smartphone per eliminare la luce artificiale che interferisce con i meccanismi del sonno».

Sul lavoro cosa si può fare? «Sto preparando un progetto per un ente pubblico per misurare lo stress tecnologico dei dipendenti. E con alcune aziende in Veneto (vedi sotto) partiranno seminari per lavoratori di qualsiasi livello. Saranno proposti un questionario di autovalutazione del proprio comportamento digitale e alcune chiavi di soluzione alla portata di tutti, come app per riflettere sulla qualità del tempo trascorso online. Il senso di tutto è: adottare stategie difensive per poi poter sfruttare il potenziale utile e creativo del web».

IL LIBRO

In Il benessere digitale (Il Mulino) Marco Fasoli mostra lo stress della nostra vita online e come arginarlo. E invita a sviluppare l’intelligenza emotiva basata sulla capacità di frenare le risposte impulsive e a imparare un uso più creativo e proficuo del web.

UN PROGETTO A VICENZA

Niuko Innovation and Knowledge, società di formazione di Confindustria Vicenza, proporrà quest’anno corsi con Marco Fasoli. «Fino a qualche tempo fa il benessere digitale sembrava confinato alla vita privata» dice Marina Pezzoli, a.d. di Niuko. «Oggi c’è una nuova consapevolezza: l’utilizzo senza regole dei mezzi digitali rischia di minare il clima lavorativo e rivelarsi un freno alla produttività, anziché un alleato. Siamo convinti che occorrano formazione e sensibilizzazione. Offriamo alle imprese un percorso specifico su questo tema, perché solo costruendo un codice aziendale condiviso si ottengono risultati concreti».