Quando vedi la gonna addosso a Damiano dei Maneskin, e prima di lui a tante rockstar e altri celebri provocatori, è un conto. Ma quando sono i ragazzi e i bambini a scuola, magari tuo figlio, a metterla, che effetto ti fa? Le iniziative che invitano tutti gli alunni a provarla per un giorno come atto dimostrativo a favore della parità di genere e contro il sessismo, stanno fiorendo in tanti Paesi.

Tutti in gonna anche in italia

In Italia gli studenti del liceo classico Zucchi di Monza hanno aderito per il secondo anno alle giornate “Zucchingonna” il 22 e 26 ottobre. Qualche tempo fa dalla Spagna era partito il movimento #LaRopaNoTieneGenero (i vestiti non hanno genere), lanciato da un prof a sostegno di uno studente espulso per essersi presentato a lezione in sottana. In una scuola elementare di Edimburgo sono stati invece gli insegnanti a proporre una giornata in gonna a tutti i bambini, per promuovere l’uguaglianza. Si tratta di una tendenza svolazzante di balze e plissé che attraversa la scuola solo con apparente leggerezza perché oggi è invece seriamente sentita e dibattuta la necessità di nuovi linguaggi che insegnino l’inclusione e il rispetto degli altri.

È solo un gesto plateale?

La preside del liceo di Monza, che ha dato il benestare all’iniziativa, ha aggiunto che spera che poi si vada oltre il gesto plateale e che la condanna verso la disparità di genere venga applicata tutti i giorni. È legittimo il sospetto che tutto poi si riduca a una foto di classe un po’ più divertente delle solite, ma che questi gesti simbolici durino lo spazio di un post sui social e non riescano invece a cambiare la mentalità è da vedere. «Prima di tutto i simboli sono importanti» dice Vera Gheno, sociolinguista. «Se negli anni Settanta bruciare il reggiseno aveva un valore reale di emancipazione per le donne non vedo perché dovrebbe sembrare meno significativo se i ragazzi oggi indossano la gonna come simbolo di fluidità e solidarietà. E poi ben venga se questi gesti smascherano delle reazioni risentite, scandalizzate. Uno dei risultati per cui tutti dovremmo militare è rendere la discriminazione di genere socialmente impresentabile».

La scuola è il posto giusto

Che la scuola sia il posto più adatto per raggiungere l’obiettivo di eliminare soffocanti abitudini mentali lo dicono gli stessi ragazzi del liceo monzese che, in un account Instagram creato apposta (Zucchingonna), hanno pubblicato il loro manifesto: «Una gonna, per esempio, ci permette di sollevare due importanti questioni, attuali ed evidenti a chi combatte per l’inclusione: la sessualizzazione del corpo femminile e la mascolinità tossica. Sono problematiche diffuse nella nostra società, e quale luogo migliore se non la scuola riflette il sistema nel quale ci troviamo a convivere con tanti altri. L’ambiente scolastico infatti dovrebbe farci sentire protetti e compresi nel nostro esprimerci liberamente».

Imparare un lingaggio inclusivo

La manifestazione dei ragazzi è una richiesta di libertà e anche di cambiamento. A scuola si aspettano sia di poter sperimentare sia di imparare nuovi linguaggi che li aiutino a uscire dagli stereotipi. «E hanno ragione perché l’educazione linguistica è ancora quasi solo formale» dice Vera Gheno. «Cioè si insegna come “si devono dire” le cose ma non come “si possono dire” le cose. In una società complessa dove la diversità è cosa quotidiana, bisogna padroneggiare i diversi registri della comunicazione per rivolgersi in modo appropriato a una donna, a un disabile, a una persona di un’altra cultura».

Creare parole confortevoli per tutti

Significa che anche le parole devono cambiare? «La lingua deve essere un luogo comodo da abitare per tutti, quindi deve continuare ad evolversi, altrimenti muore. E si finisce per abbandonarla a favore di un’altra più adatta. Se nella lingua non si trovano a loro agio le donne o le persone di colore, allora deve cambiare» afferma Vera Gheno.

Libri senza luoghi comuni

Per confermare che un gesto simbolico come quello di indossare tutti la gonna a scuola può avere risvolti sostanziali bisognerebbe sapere se poi, una volta tornati nei banchi, gli studenti fanno caso al fatto che, per esempio, nei loro libri i contributi delle donne sono pochi e marginali. L’editoria scolastica ha un grande peso nel formare e confermare i luoghi comuni e gli stereotipi sessisti. Già da anni esiste Polite, un progetto europeo che ha come obiettivo quello di ripensare i libri di testo in modo tale che donne e uomini, protagonisti della cultura, della storia, della politica e della scienza siano presenti sui libri di testo senza discriminazioni di sesso. «Dovrebbero esserci più autrici donne nelle antologie ma l’attenzione va messa anche sulle immagini e le singole parole. Se per esempio già dalla primaria le professioni vengono tutte declinate al maschile ed esiste solo “il” fisico e “la” cassiera, “lo” scienziato e “la” maestra, poi non ci si può chiedere come mai le ragazze non studiano le Stem» conclude Gheno.

L’appuntamento da non perdere sui temi dell’inclusione scolastica

Vera Gheno parla della necessità di insegnare a scuola con un linguaggio non sessista anche al 13º Convegno Internazionale organizzato da Edizioni Centro Studi Erickson sulla Qualità dell’inclusione scolastica e sociale. Le attività in presenza si svolgeranno dal 12 al 14 novembre al Palacongressi di Rimini e proseguiranno online fino al 30 novembre. Il programma completo del convegno è consultabile al sito: https://eventi.erickson.it/convegno-qualita-inclusione-2021/.

Tra i principali temi che verranno affrontati ci sono i pericoli della disuguaglianza sociale in aumento e la povertà educativa; il futuro della didattica digitale integrata; le forme dell’inclusione tra disabilità, disturbi dell’apprendimento e alunni plusdotati. Gli ospiti e i relatori di rilievo sono tantissimi, la sociologa ed economista statunitense Saskia Sassen, Massimo Recalcati, Daniela Lucangeli, Telmo Pievani, Alberto Pellai, Enrico Galiano, Massimo Ammaniti, Franco Lorenzoni, Anna Contardi.