Mentre tutti (o quasi) tornano a casa, loro si siedono sui banchi. È un mondo un po’ al contrario quello degli studenti che frequentano le scuole serali, ed è sempre più affollato. I numeri dei provveditorati regionali non mentono: dal Piemonte alla Sardegna, dal Veneto alla Sicilia, le persone che entrano in classe dopo il tramonto sono raddoppiate nell’ultimo anno, arrivando a circa 600.000. Perché? E chi sono questi alunni speciali? Per capirlo, siamo andati in uno degli istituti più famosi di Milano, il Bertarelli-Ferraris, e abbiamo trascorso una serata tra lezioni e interrogazioni.
Chi frequenta le scuole serali
L’istituto Bertarelli-Ferraris ha aperto i battenti nel 1965, e qualche aula mostra i suoi anni, ma il via vai pulsa di vita. E di gioventù. Si arriva alla spicciolata perché chi è iscritto ha spesso un lavoro e le facce non sono quelle che ci si aspetta. Pochi adulti e parecchi ragazzi, che frequentano uno dei 3 corsi: il professionale per i servizi commerciali, il tecnico economico amministrazione, finanza e marketing e il tecnico per il turismo. Ad accoglierci, la professoressa Maria Butticè, vicepreside e responsabile del serale. «L’anno scorso eravamo un centinaio, ora siamo quasi triplicati e superiamo i 250. Abbiamo dovuto aumentare il numero delle classi. Prima si iscrivevano soprattutto i lavoratori over 40, ora l’età si è abbassata e ci sono molti under 18. Le ragazze sono la maggioranza, circa il 65%».
Qui, infatti ci si può iscrivere dai 16 anni se si motiva l’impossibilità di frequentare una scuola diurna, ovvero quando si ha un impiego o l’esperienza classica non ha funzionato. «Tanti lavorano perché in casa serve uno stipendio in più. Quasi la metà, poi, sono stranieri che spesso si sono diplomati nel loro Paese d’origine: ma il titolo qui non vale e loro ne approfittano anche per imparare l’italiano».
Giriamo per i corridoi mentre suona la prima campanella, quella delle 17.40. Si aprono le porte dell’aula E-future, dove si tengono i laboratori di economia, lingue e scrittura. Nerish, 22 anni appena compiuti, sta accendendo il computer. «Sono nata a Milano ma i miei genitori vengono dalle Filippine. All’inizio mi ero iscritta al corso di Estetista ma poi ho capito che volevo qualcosa di più e ho scelto il professionale per il commercio. Per mantenermi ho anche lavorato in un hotel: adesso che sono arrivata al quarto anno voglio diplomarmi con un buon voto, perché sogno di iscrivermi all’università».
Crediti e maturità sono gli stessi del corso diurno e anche Valerio, 32 anni, rincorre il famoso pezzo di carta. «Avevo fatto un professionale triennale e poi mi sono messo a lavorare. Ho un contratto in un’azienda del settore commerciale ma sono fermo, bloccato, non riesco a fare passi avanti proprio perché mi manca la maturità».
Scuole serali, Covid e didattica a distanza
Il pensiero del domani anima le chiacchiere tra gli iscritti e sono tanti a raccontarci che la pandemia li ha spinti a tornare sui libri. Qui, come in altri istituti d’Italia, ci sono cassaintegrati e disoccupati. Da qualche tempo, infatti, anche per iscriversi ai famosi centri per l’impiego (gli ex uffici di collocamento) bisogna aver assolto l’obbligo scolastico. «Il Covid ha fatto la sua parte e durante il lockdown molti hanno rivisto i propri obiettivi» spiega la professoressa Butticè. «L’ennesima crisi economica ha sottolineato che ormai il mercato del lavoro cambia a vista d’occhio e serve una preparazione migliore».
Anche la Didattica a distanza ha influito, facendo fuggire dall’istruzione diurna gli studenti che erano in difficoltà. Come Silvia, 18 anni e lo sguardo di chi vuole ritrovare la strada smarrita. «Facevo il liceo artistico ed ero già stata bocciata. In Dad è stato un disastro: non riuscivo a seguire e a comunicare con i docenti, sono andata in crisi e ho lasciato a metà anno. Ora mi sono iscritta all’indirizzo turistico e ho ritrovato la voglia di studiare». Silvia sorride e guarda grata l’insegnante di Geografia, Raffaele Ferraioli. Che racconta: «Bisogna trovare un modo per arrivare a questi ragazzi, altrimenti la dispersione scolastica è dietro l’angolo. Per esempio, abbiamo molti alunni stranieri quindi propongo di fare una parte di lezione in inglese per aiutarli. Ognuno poi ha la sua storia, fatta difficoltà e problemi, allora servono empatia e attenzione. Le classi non sono troppo numerose e gli iscritti ce la mettono tutta: sono rispettosi e attenti, vogliono davvero imparare perché per loro può essere l’ultima chance».
Gli studenti stranieri
Lo scoglio della lingua Arethi lo conosce bene: è arrivata dalla Grecia con il papà e ha scelto questa scuola. «Da altre parti mi sarei sentita una mosca bianca, qui siamo in tanti nella stessa situazione e i professori sono comprensivi. E poi ci aiutiamo tanto tra di noi». I compagni di classe annuiscono, ci sono studenti filippini e sudamericani, come Daran, che ha 27 anni ed è nato in Perù. Insieme, si suggeriscono parole e frasi che imparano man mano.
La difficoltà di conciliare studio e lavoro
La campanella suona di nuovo, alcuni mangiano uno snack, altri corrono trafelati: hanno finito la giornata lavorativa, chi in un supermercato o a bordo di una bici a fare consegne. Dea invece ha una borsa piena di spartiti perché di giorno studia pianoforte al Conservatorio e il diploma tecnico può essere il piano B se non riuscirà a vivere di musica. Arriva l’ultima ora e tocca al laboratorio di scrittura tenuto dalla professoressa Butticè. «I ragazzi hanno ideato un canzoniere, un romanzo sulla disparità di genere e ora una commedia teatrale, che diventerà anche un graphic novel, sulla moda fast fashion» dice la vicepreside, che ci mostra tutte le creazioni. «Scrivere e raccontarsi è uno strumento prezioso, sviluppa spirito di osservazione e senso critico, insegna a presentarsi e a integrarsi, tutte capacità utili in ambito professionale. Ed è stato terapeutico anche durante i vari lockdown».
Già, la Dad è ancora uno spauracchio, insieme agli “incastri quotidiani” e all’economia del futuro. «Sa quanti studenti faticano a conciliare studio e obblighi perché i datori di lavoro non vengono loro incontro? Dovrebbero essere più collaborativi. Per il futuro noi puntiamo molto sulla didattica. Il programma è quello ministeriale, ma cerchiamo di valorizzare anche le attività pratiche, di trasmettere non solo nozioni ma competenze».