Il suicidio assistito non è eutanasia. Con 13 sì e 11 no è arrivato il primo pronunciamento del Comitato nazionale di bioetica su una materia delicata come il fine vita. Non una vera apertura alla possibilità di legalizzare in Italia una pratica finora vietata, quanto piuttosto il tentativo di “fare chiarezza” su “una questione, come quella dell’aiuto al suicidio, che presenta una serie di problemi e di interrogativi a cui non è semplice dare una risposta univoca” come spiegato dal presidente Lorenzo D’Avack.
L’obiettivo è distinguere l’intervento di aiuto al fine vita, deciso volontariamente da un paziente, dall’eutanasia, praticata invece da un sanitario che somministra un farmaco letale a un soggetto in grave sofferenza fisica o psicologica. Al momento in Italia sono regolamentati entrambi come “delitti contro la vita”. Il Comitato di Bioetica ha dunque voluto fornire “tutti gli argomenti, pro e contro” in vista di settembre, entro cui il Parlamento è stato chiamato a legiferare dalla Corte Costituzionale. “È una grande apertura, a mio avviso, perché la maggioranza ha ritenuto ammissibile la legalizzazione del suicidio assistito. Ma anche perché è stato fatto un grande lavoro da parte del Comitato, sia sulla semantica, quindi chiarendo i termini e spiegando le differenze ad esempio con l’eutanasia, sia perché è stato fatto uno studio accurato della legislazione” spiega a Donna Moderna Filomena Gallo, avvocato e segretario nazionale dell’Associazione Coscioni.
Le raccomandazioni del Comitato
Nel documento messo a punto sono contenute sei “raccomandazioni” che sono intese come linea guida per il legislatore, chiamato a pronunciarsi tra meno di due mesi dalla Corte costituzionale, a sua volta chiamata in causa per il caso di Marco Cappato e Dj Fabo. La questione riguarda “la sospetta illegittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale”, che si riferisce al reato di istigazione al suicidio. Il Comitato ora raccomanda prima di tutto che “il dibattito sull’aiuto medicalizzato al suicidio si sviluppi nel pieno rispetto di tutte le opinioni al riguardo, ma anche con la dovuta attenzione alle problematiche morali, deontologiche e giuridiche costituzionali che esso solleva e col dovuto approfondimento che esige una tematica così lacerante per la coscienza umana”. Si chiede poi “l’impegno di fornire cure adeguate ai malati inguaribili in condizione di sofferenza”.
Una terza raccomandazione riguarda l’adeguata informazione che tutti i cittadini devono ricevere sulle possibili cure palliative. Per il Comitato occorre poi sollecitare la partecipazione della popolazione “alla discussione etica e giuridica sul tema”. La quinta raccomandazione riguarda invece la promozione della ricerca scientifica biomedica e psicosociale, mentre l’ultima esorta a incentivare la “formazione bioetica degli operatori sanitari in questo campo”.
I pro e i contro
Il pronunciamento del Comitato non è avvenuto all’unanimità. Alcuni componenti hanno manifestato una forte contrarietà alla “legittimazione, sia etica che giuridica, del suicidio medicalmente assistito”, e “convergono nel ritenere che la difesa della vita umana debba essere affermata come un principio essenziale in bioetica, quale che sia la fondazione filosofica e/o religiosa di tale valore, che il compito inderogabile del medico sia l’assoluto rispetto della vita dei pazienti e che l’agevolare la morte segni una trasformazione inaccettabile del paradigma del curare e prendersi cura”, come si legge nel testo diffuso dal Comitato.
Una posizione favorevole, invece, è stata espressa da altri componenti, motivata dal “valore della tutela della vita” controbilanciato da “beni costituzionalmente rilevanti, come l’autodeterminazione del paziente”, insomma la tutela della possibilità di scegliere della propria vita. Per due membri, infine, il Paese potrebbe correre rischi seguendo la “falsariga” di altri Paesi europei, che hanno depenalizzato o legalizzato.
Suicidio assistito, le condizioni imprescindibili
“È comunque molto positivo che la maggioranza del Comitato abbia accolto la possibilità di legalizzare il suicidio assistito a tre condizioni, che sono anche quelle che sosteniamo noi: 1) in presenza di una patologia irreversibile; 2) quando c’è grande sofferenza d aparte di un malato; 3) se c’è capacità di autodeterminazione, dunque una chiara volontà da parte del soggetto, espressa nel tempo” spiega Filomena Gallo.
Una legge entro settembre?
Entro il 24 settembre il Parlamento dovrebbe mettere a punto una legge, come indicato dalla Corte Costituzionale, che dava un anno di tempo al legislatore, perché quella è la data della nuova udienza della Consulta sul caso Cappato. Se ciò non avverrà la Consulta potrebbe decidere di intervenire, seguendo un orientamento già emerso, dunque ritenendo “incostituzionale l’articolo 580 del Codice penale nella parte in cui prevede e classifica come ‘reato’ anche il solo aiuto al suicidio”. In pratica cadrebbero le accuse nei confronti di Cappato. “Purtroppo la Consulta aveva dato 11 mesi al Parlamento per legiferare. Adesso non ci sono più i tempi tecnici: ci sarà la sospensione dei lavori parlamentari, dopo che in Commissione c’è stata una situazione di stallo per mesi. Ci troveremo nella situazione in cui saranno di nuovo i giudici a decidere sui temi che riguardano la vita delle persone, una sostituzione necessaria e che i cittadini ora si aspettano” commenta la segretaria nazionale dell’Associazione Coscioni. Temi delicati tanto che, secondo una ricerca Eurispes, 7 italiani su 10 sarebbero favorevoli alla’eutanasia.
Suicidio assistito ed eutanasia: due pratiche diverse
Sulla materia a volte si crea confusione, confondendo le pratiche di eutanasia, suicidio assistito e interruzione dei trattamenti. Quest’ultimo indica il diritto, costituzionalmente previsto, del rifiuto alle cure, anche salvavita. È il caso, ad esempio, del distacco del ventilatore meccanico per Piergiorgio Welby e Walter Piludu, o della nutrizione e idratazione per Eluana Englaro.
Per suicidio assistito si intende, invece, l’aiuto a un soggetto che chiede di porre fine alla propria vita e che, autonomamente assume il farmaco letale, come accaduto a Fabiano Anto cheniani (Dj Fabo), aiutato da Marco Cappato a recarsi in Svizzera, dove poi il 40enne tetraplegico ha azionato volontariamente con la bocca una pompa con la sostanza letale. “Nel suo caso c’è stato un grande gesto di disobbedienza civile, ma non di rinuncia alle terapie. Dj Fabo chiedeva di poter scegliere di assumere un farmaco letale” spiega Gallo. La differenza con l’eutanasia sta invece nel fatto in questo caso la somministrazione avviene da parte di una persona terza, un medico o un sanitario.