Mario, primo paziente a morire col suicidio assistito in Italia
La sua battaglia è durata anni ed è stata costellata di ricorsi al Tribunale e denunce. Ora Mario – il nome di fantasia che era stato scelto per raccontare la sua storia e sostenere la sua battaglia – ha posto fine delle sue sofferenze, con il suicidio assistito che invocava da tempo. Il 44enne, originario delle Marche e tetraplegico da 12 anni in seguito a un incidente stradale, è il primo paziente italiano ad aver avuto accesso legalmente al trattamento, ma non senza un’ultima lotta: quella per pagarsi da solo la strumentazione e il farmaco necessari al suicidio assistito. Per farlo l’Associazione Luca Coscioni aveva organizzato una raccolta fondi, raggiungendo in poche ore 5mila euro.
Le ultime parole di Mario
«Non nego che mi dispiace congedarmi dalla vita, sarei falso e bugiardo se dicessi il contrario perché la vita è fantastica e ne abbiamo una sola. Ma purtroppo è andata così, ora finalmente sono libero di volare dove voglio», ha dichiarato Federico Carboni, vero nome di Mario. Si è spento alle 11.05 affidando ai presenti un ultimo pensiero: «Ho fatto tutto il possibile per riuscire a vivere il meglio possibile e cercare di recuperare il massimo dalla mia disabilità, ma ormai sono allo stremo sia mentale sia fisico. Non ho un minimo di autonomia della vita quotidiana, sono in balia degli eventi, dipendo dagli altri su tutto, sono come una barca alla deriva nell’oceano. Sono consapevole delle mie condizioni fisiche e delle prospettive future, quindi sono totalmente sereno e tranquillo di quanto farò”.
Mario: “La lotta per essere liberi di scegliere”
Mario-Federico ha anche ringraziato l’Associazione Luca Coscioni, dicendo: «Ci siamo difesi attaccando e abbiamo attaccato difendendoci, abbiamo fatto giurisprudenza e un pezzetto di storia nel nostro Paese e sono orgoglioso e onorato di essere stato al vostro fianco». «Grazie a tutti – ha concluso – per avere coperto le spese del mio aggeggio, che poi lascerò a disposizione dell’Associazione Luca Coscioni per chi ne avrà bisogno dopo di me. Continuate a sostenere questa lotta per essere liberi di scegliere».
Ma a che punto è l’iter di legge?
A che punto è la legge
Dopo che la Cassazione a febbraio ha ritenuto non ammissibile il referendum sull’eutanasia legale, è arrivato a marzo il primo via libera al disegno di legge sul fine vita che è passato al Senato, dove però potrebbe essere meno facile ottenere un via libera su un testo che affronta una tema tanto delicato come il fine vita. In questo caso si parla di suicidio assistito e la proposta di legge nel primo articolo prevede «la facoltà della persona affetta da una patologia irreversibile e con prognosi infausta o da una condizione clinica irreversibile di richiedere assistenza medica, al fine di porre fine volontariamente e autonomamente alla propria vita». A votare contro è stato il centrodestra compatto, mentre il sostegno è arrivato all’unanimità da Pd, M5s, Leu e Italia viva (che però ha lasciato libertà di coscienza ai propri rappresentanti in Parlamento).
Cosa prevede il ddl: le novità
La proposta prevede che siano istituiti Comitati per la valutazione clinica, cioè team composti da medici specialisti in tutte le Asl, che dovranno esaminare le domande di suicidio assistito, redatte dai medici, su richiesta del paziente. I Comitati “dovranno essere multidisciplinari, autonomi e indipendenti, costituiti da medici specialisti ivi compresi palliattivisti, e da professionisti con competenze cliniche, psicologiche, giuridiche, sociali e bioetiche idonee a garantire il corretto ed efficace assolvimento dei compiti ad essi demandati, tra i quali l’adeguata valutazione dei requisiti e delle modalità per accedere alla morte volontaria medicalmente assistita”.
La sanatoria
Un emendamento al testo prevede una sorta di “sanatoria” sui casi precedenti, cioè che “non è punibile chiunque sia stato condannato, anche con sentenza passata in giudicato, per aver agevolato in qualsiasi modo la morte volontaria medicalmente assistita di una persona prima della entrata in vigore della presente legge, qualora al momento del fatto ricorressero i presupposti delle condizioni della presente legge e la volontà libera informata e consapevole della persona richiedente fosse stata inequivocabilmente accertata”.
Prevista l’obiezione di coscienza
Nel testo si autorizza anche l’obiezione di coscienza: “Il personale sanitario ed esercente le attività sanitarie ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure per l’assistenza alla morte volontaria medicalmente assistita disciplinate dalla presente legge quando sollevi obiezione di coscienza con preventiva dichiarazione”.
La svolta con il caso di “Mario”
Il ddl sul suicidio assistito arriva dopo la svolta sul caso di Mario, 43 anni, che vive ad Ancona assistito dalla madre da 10 anni, dopo essere rimasto tetraplegico in seguito a un incidente. Da oltre 13 mesi si batteva per poter aver accesso al suicidio assistito e aveva anche denunciato – per la prima volta in Italia – la Asl di Ancona per omissione d’atti d’ufficio. Ora, e sempre per la prima volta in Italia, ha visto riconosciuto il suo diritto di accesso alla pratica del suicidio assistito. Ad assisterlo c’è stata Filomena Gallo, avvocato e segretario dell’Associazione Luca Coscioni, che proprio nelle scorse settimane ha completato la raccolta firme per indire un referendum sull’eutanasia legale.
Mario: «Mi sento sollevato»
Mario (nome di fantasia, di cui avevamo parlato anche qui) era un camionista. Da 10 anni è tetraplegico in seguito a un incidente che lo ha immobilizzato. Da oltre un anno invocava il diritto al suicidio assistito. Ora il Comitato etico dell’azienda sanitaria nelle Marche, dove vive e che quindi è competente territorialmente per il caso, si è pronunciato a favore. L’equipe, composta da medici e psicologici, ha verificato che sussistono le quattro condizioni per accedere al trattamento. Lo scorso agosto aveva presentato una denuncia penale nei confronti dell’ASUR Marche, l’Azienda Sanitaria regionale per omissione d’atti d’ufficio. Delle sue condizioni si era occupato anche il ministro della Salute, Roberto Speranza, rispondendo a una sua lettera nella quale aveva, tra l’altro, esortato le Asl a praticare il suicidio assistito, legale in Italia, ma di fatto ancora considerato un tabù. Ecco cosa è successo. Ora il 43enne ha commentato: «Mi sento sollevato».
Mario e la prima denuncia contro un’Azienda Sanitaria
Il reato che era stato contestato da Mario, assistito dall’avvocato Filomena Gallo, Segretario Nazionale dell’Associazione Luca Coscioni, era di omissione d’atti d’ufficio. In pratica la ASUR Marche non aveva verificato le condizioni cliniche dell’uomo, che sono condizione necessaria per ottenere il suicidio assistito. A prevedere la pratica è stata la sentenza della Corte Costituzionale n. 242\2019 che di fatto autorizza l’accesso al trattamento in presenza di una serie di condizioni. Condizioni che però spetta proprio alle aziende sanitarie accertare. «Il pronunciamento della Corte Costituzionale dice che l’aiuto fornito a un malato capace di autodeterminarsi, con una patologia irreversibile fonte di gravi sofferenze, dipendente da trattamenti di sostegno vitale, non è reato. Ma solo in quel caso – spiega Gallo – Il problema è che da quella sentenza rimangono esclusi moltissimi malati, sia per la mancanza di una legge, sia per ritardi nella burocrazia». «Oggi un malato può chiedere di sospendere i trattamenti di sostegno a cui è sottoposto ed essere accompagnato con le cure palliative, in base alla legge 219 del 2017 sul testamento biologico. Ma noi chiediamo di legiferare in tema di eutanasia, di fronte a un vuoto normativo» spiega l’avvocato, che l’8 settembre scorso ha depositato in Cassazione (insieme a Marco Cappato e altri esponenti dell’Associazione Luca Coscioni) le firme necessarie per indire il referendum sull’eutanasia legale. Una consultazione che, in caso di “sì” da da parte dei Supremi giudici (si attende una risposta per gennaio), potrebbe essere calendarizzata dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella in una data compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno 2022.
Il caso di Mario e la lettera del ministro Speranza
Lo scorso 9 giugno il Tribunale di Ancona aveva ordinato all’azienda sanitaria delle Marche di pronunciarsi sul caso di Mario, ma a distanza di oltre un mese, il 12 luglio, l’uomo aveva diffidato l’ASUR avvertendo che, in caso di ulteriori ritardi, avrebbe agito nelle sedi opportune. Così aveva fatto, con un esposto presso la Procura della Repubblica di Ancona e una denuncia verso la azienda sanitaria, «ai sensi dell’art. 328 cp che punisce il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo» spiegano dall’Associazione Luca Coscioni. Mario, però, aveva anche scritto al ministro della Salute, Roberto Speranza, che gli ha risposto tramite La Stampa. Dopo aver espresso «il mio profondo rispetto per la dignità con la quale sta affrontando la sua dolorosa condizione e sta cercando di ottenere una risposta dal sistema sanitario pubblico, nel pieno rispetto delle norme attualmente vigenti nell’ordinamento giuridico italiano» aveva esortato le Asl a «garantire il suicidio assistito». La Corte Costituzionale – ha infatti ricordato Speranza – «ha stabilito che una persona, qualora ricorrano i requisiti che il comitato etico competente deve verificare, ha il diritto di chiedere a una struttura pubblica del servizio sanitario l’assistenza al suicidio medicalmente assistito». Cioè proprio le aziende sanitarie.
Le polemiche per l’intervento del Ministro
Le parole di Speranza, però, avevano sollevato polemiche, soprattutto nel mondo cattolico, con l’intervento del Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, monsignor Vincenzo Paglia. Maria Rachele Ruiu, membro direttivo Provita e famiglia onlus, aveva parlato di «completo ribaltamento della vocazione e della professione medica, che è quella di favorire sempre la vita e mai la morte». Ma, dopo la denuncia di Mario contro l’azienda sanitaria delle Marche, Filomena Gallo non si è fermata.
Perché non si pratica il suicidio assistito
Ma a sottolineare il vuoto normativo attuale era stato lo stesso Ministro Speranza, nello scrivere che «il fine vita è naturalmente uno di quegli argomenti su cui si confronta un pluralismo insuperabile di punti di vista etici, culturali, teorici, religiosi, che in un ordinamento democratico come il nostro non può che trovare la sua espressione politica anzitutto nel Parlamento». Il problema è che una legge sull’eutanasia non c’è. Speranza ha dichiarato di essere «personalmente convinto da tempo della necessità e dell’urgenza di un intervento legislativo in materia. Da ministro ho mantenuto, pertanto, la posizione di principio che su materie come questa non ci possa essere alcuna iniziativa del governo che scavalchi o surroghi il ruolo del Parlamento». Al momento, dunque, l’unica possibilità per chi voglia porre fine alle proprie sofferenze, in condizioni di malattia irreversibile e con prognosi infausta, è il ricorso al suicidio assistito. Con la sentenza della Cassazione, detta anche “sentenza Cappato”, è stato stabilito che «il paziente, con patologia irreversibile che produce gravi sofferenze e dipendente da trattamenti di sostegno vitale, può chiedere di accedere alla verifica effettiva, da parte di una struttura pubblica e previo parere del Comitato etico, in modo che la prescrizione del farmaco letale non costituisca reato» spiega Gallo.
Il problema sono le lungaggini burocratiche (ma forse anche una certa reticenza che rende il suicidio assistito un tabù), che spesso fanno sì che le autorizzazioni arrivino fuori tempo massimo, come accaduto a giugno a Daniela, una donna di 37 anni affetta da una grave forma di tumore fulminante al pancreas che, diversamente dal caso di Dj Fabo (sul quale è poi arrivata la sentenza Cappato) non ha fatto in tempo ad andare in Svizzera per ricorrere al suicidio assistito. Si era vista rifiutare l’autorizzazione al trattamento dalla Asl di Roma, dove viveva, e aveva presentato ricorso d’urgenza al Tribunale, ma l’udienza era stata fissata per il 22 giugno, mentre lei è morta 15 giorni prima.
Eutanasia, che fine ha fatto la legge?
Da qui la raccolta firme per il referendum per una legge sull’eutanasia. Finora per ben due volte il Parlamento ha iniziato il dibattito sull’eutanasia, nel 2016 e nel 2019, anche dopo l’esortazione della Corte Costituzionale che aveva dato un anno di tempo per legiferare, ma in entrambi i casi la discussione si è interrotta ancora prima di arrivare in Commissione. L’unica legge approvata è quella sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento (Dat), entrata in vigore il 31 gennaio 2018. Si tratta della possibilità di decidere e comunicare al medico il trattamento sanitario che si desidera ricevere nel caso in cui in futuro ci si trovasse in condizioni di essere incapaci di intendere e volere.